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Porticello, ex base Gladio, torna al centro di misteri internazionali. A bordo dello yacht, file paragonabili a WikiLeaks?

Stanno lentamente affiorando dal mare di Porticello, in Sicilia, le tracce visibili di una tragedia: quella del Bayesian, il superyacht di lusso affondato lo scorso 19 agosto. Tra i pezzi riemersi ci sono il boma - il lungo braccio orizzontale che regge la base della vela -, la vela principale, la catena e persino l’ancora del panfilo. In origine, il piano di recupero prevedeva che, per riportare il relitto in superficie senza rischi, si procedesse al taglio delle parti strutturali ingombranti e ritenute più pericolose, come l’albero maestro e lo stesso boma. Tuttavia, le operazioni hanno subito un drammatico rallentamento dopo la morte di un subacqueo olandese di 39 anni, impiegato proprio nei lavori di taglio. Secondo le prime ricostruzioni, l’uomo sarebbe stato investito dall’onda d’urto provocata da un’esplosione subacquea, probabilmente di natura accidentale. Resta il fatto che la vicenda relativa all’affondamento dell’imbarcazione di lusso appartenente alla famiglia del milionario britannico Mike Lynch - progettata, vale la pena dirlo, con ambizioni record - si è inabissata in circostanze tanto drammatiche quanto misteriose. E alla luce delle recenti dichiarazioni del criminologo e perito forense Federico Carbone, rilasciate durante la trasmissione “Quarta Repubblica”, condotta dal giornalista Nicola Porro, la vicenda assume contorni ancora più intricati.
Torniamo all’inizio, a quanto emerso dalle prime ricostruzioni e accertamenti. Lo scenario che descrive i tragici momenti della notte del 19 agosto è angosciante: il maltempo coglie di sorpresa l’equipaggio nel cuore della notte. Venti di forza tipici di un uragano investono lo yacht, che in meno di un minuto si sarebbe inclinato di 90 gradi, capovolgendosi e intrappolando i passeggeri in un inferno fatto di acqua, panico e urla. Sette persone, tra cui lo stesso Lynch, sua figlia e altri nomi di spicco della finanza e dell’imprenditoria, perdono la vita, mentre i pochi sopravvissuti racconteranno una scena da incubo. Al lavoro per indagare sulle cause del naufragio ci sono, da un lato, le autorità britanniche, dall’altro quelle italiane. Fin da subito, accanto all’ipotesi della tempesta, si sono fatte strada due piste principali: la possibilità che alcuni portelloni siano stati lasciati aperti e la vulnerabilità strutturale dell’albero in alluminio - uno dei più alti della categoria - che avrebbe reso il Bayesian particolarmente instabile in condizioni meteorologiche estreme, come quelle verificatesi quella notte. Per mesi, dubbi e perplessità su questa ricostruzione si sono susseguiti quasi senza sosta. Ad avallare i sospetti che le cose possano essere andate diversamente, ci sono anche le ultime immagini registrate dalle telecamere di sicurezza che mostrano il Bayesian inghiottito dal mare, ma senza ribaltarsi, contraddicendo l’ipotesi che l’acqua sia entrata a seguito del capovolgimento e di portelloni lasciati aperti.
Oggi, lo scenario si complica ulteriormente con le dichiarazioni del criminologo Carbone, perito forense presso il Tribunale di Palermo. Durante la trasmissione televisiva di Rete 4, Carbone ha spiegato: “Secondo fonti confidenziali vicine a chi sta indagando, altri sarebbero arrivati prima dei militari italiani” sul luogo del naufragio. Presumibilmente, “nelle prime 24 ore dopo l’incidente”. A giungere per primi, secondo Carbone, sarebbero stati “militari stranieri”, forse “agenti segreti dell’MI6” - i servizi segreti britannici - con l’obiettivo “probabile di ottenere i dati relativi all’azienda Darktrace”, la società di cybersicurezza fondata da Mike Lynch. Dati che, sempre secondo Carbone, sarebbero stati custoditi all'interno di hard disk presenti a bordo del Bayesian e ritenuti altamente strategici. Non si tratterebbe di semplici documenti aziendali di alto valore, ma di prove potenzialmente in grado di dimostrare il coinvolgimento di Lynch in una rete di relazioni ad altissimo livello con l’intelligence globale - CIA, MI6 e perfino i servizi israeliani - con cui Darktrace avrebbe avuto stretti legami. Alcuni membri vicini alla governance di questi apparati - ha sottolineato Carbone - “risiederebbero all’interno del consiglio di amministrazione di Darktrace”. Si tratterebbe, dunque, di “dati estremamente importanti. A mio avviso - ha ribadito - paragonabili allo scandalo WikiLeaks di Julian Assange”.
Al di là delle possibili suggestioni mediatiche, la questione più urgente sollevata da Carbone riguarda l’integrità della scena del naufragio. Se davvero agenti stranieri hanno operato sul relitto prima dell’arrivo delle autorità italiane, si aprirebbe un problema serio di compromissione delle prove. La possibilità che elementi cruciali siano stati rimossi, manipolati o anche solo alterati rischia di minare l’intero impianto investigativo e rende estremamente complesso il lavoro della Procura di Termini Imerese, che - sempre secondo  il noto criminologo - sarebbe già a conoscenza di queste interferenze. A rendere la vicenda ancora più inquietante, si aggiunge un altro elemento: la località stessa dell’affondamento. Porticello sarebbe, infatti, da tempo un punto strategico per operazioni opache e scambi sotterranei. Un crocevia in cui, già in passato, si sarebbero intrecciate le attività di Cosa Nostra con gli interessi dei servizi segreti. “Mi occupo di quell’area già da diverso tempo per varie indagini, anche in relazione alla struttura nota come ‘Gladio’”. La rete segreta riconducibile al programma NATO “Stay Behind”, che in Italia è finita al centro di vicende mai del tutto chiarite. Attività che, in passato, avrebbero avuto l’obiettivo di destabilizzare il Paese anche attraverso atti terroristici, come quelli che hanno insanguinato l’Italia durante gli anni di piombo. L’area di Porticello - ha proseguito Carbone - “era anche quella in cui gli uomini di Gladio si esercitavano. Era l’avamposto del centro ‘Scorpione’, la base Gladio collegata a Trapani. Tra l’altro - ha aggiunto - era anche il luogo di attracco di grandi partite di droga e di interscambio tra uomini dei servizi segreti e quelli di Cosa Nostra”. Una zona, dunque, che i servizi segreti conoscono molto bene. La stessa zona in cui si trova il villino dove Giovanni Falcone scampò all’attentato dell’Addaura, e che fu teatro anche di varie esercitazioni di Gladio.

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