Pioggia di dollari per fermare i cartelli: Trump raddoppia le taglie, oltre 11 milioni in 100 giorni, il doppio di Biden
Ben diciassette familiari di Ovidio Guzmán, uno dei figli di Joaquín "El Chapo" Guzmán, si sono recati negli Stati Uniti per quella che molti considerano una “trattativa” con le autorità americane. Attualmente Ovidio è detenuto negli Stati Uniti e da circa sei mesi negozia un patteggiamento con il Dipartimento di Giustizia, dopo l’estradizione dal Messico avvenuta nel settembre 2023. Secondo diversi media messicani, si tratterebbe di una strategia per limitare i danni giudiziari, forse anche nel tentativo di proteggere parte della sua famiglia o la struttura del cartello stesso. Tra i familiari di Guzmán che si sono recati negli Stati Uniti ci sarebbe anche la madre di Ovidio, nonché ex moglie di “El Chapo”. Secondo quanto riferito dalla stampa messicana e confermato dal governo locale, i parenti non sono formalmente ricercati in Messico. Il loro viaggio è avvenuto in coordinamento con l'FBI e i servizi di intelligence statunitensi: partiti da Culiacán, capitale dello stato messicano di Sinaloa e roccaforte storica del cartello omonimo, hanno poi attraversato il confine da Tijuana. Si tratta di un dettaglio non di poco conto, che potrebbe avallare il sospetto che i familiari di uno dei narcotrafficanti più potenti al mondo intendano partecipare attivamente a un dialogo con il governo americano, probabilmente nel tentativo di ottenere garanzie e facilitare il percorso di patteggiamento avviato da Ovidio con la procura statunitense.
A spiegare la direzione intrapresa dal figlio di El Chapo potrebbero contribuire anche le condizioni di detenzione del padre. Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, noto appunto come "El Chapo" per la sua bassa statura ("il corto" in spagnolo), è stato il leader del Cartello di Sinaloa, una delle organizzazioni criminali più potenti e violente del narcotraffico internazionale. Negli anni è diventato famoso non solo per il controllo delle principali rotte della droga verso gli Stati Uniti, ma anche per le sue “spettacolari” evasioni dal carcere, che hanno alimentato la sua leggenda criminale. Un’abilità che sembra aver ereditato un altro dei suoi figli, Iván Archivaldo Guzmán, scampato per un soffio alla cattura lo scorso febbraio grazie a un tunnel segreto nascosto dietro un armadietto del bagno. Tornando al padre, El Chapo è stato condannato all’ergastolo nel 2019 da un tribunale di New York ed è attualmente detenuto in regime di isolamento in un carcere di massima sicurezza. Da tempo, i suoi legali denunciano la durezza del trattamento carcerario, che a loro giudizio violerebbe i diritti fondamentali. Una condizione che potrebbe intrecciarsi con le trattative in corso e rafforzare il sospetto che la famiglia Guzmán stia cercando, in qualche modo, di ottenere condizioni più favorevoli anche per il patriarca incarcerato.
La tattica di Trump contro i narcotrafficanti
Parallelamente, l’amministrazione statunitense continua a investire risorse significative per ottenere la cattura di altri grandi nomi del narcotraffico. I dati del Narcotics Rewards Program del Dipartimento di Stato parlano chiaro: durante i primi cento giorni del mandato di Donald Trump, sono stati pagati oltre 11 milioni di dollari in ricompense per informazioni decisive. Una cifra considerevole, raddoppiata rispetto a quella stanziata durante la precedente amministrazione Biden. Ad ogni modo - come ha ricordato anche il quotidiano messicano “El Sol de México” - il governo statunitense ha speso finora oltre 170 milioni di dollari in premi, che hanno contribuito all’arresto e alla condanna di più di 90 narcotrafficanti di rilievo internazionale. A finire nel mirino degli Stati Uniti ci sono nomi di primo piano come Nemesio Oseguera Cervantes, detto “El Mencho”, leader del CJNG, per la cui cattura si offrono ben 15 milioni di dollari, e Ismael "El Mayo" Zambada, figura storica del cartello di Sinaloa. Altri soggetti chiave sono, appunto, Iván Archivaldo e Alfredo Guzmán Salazar, figli di "El Chapo", e Aureliano Guzmán Loera, detto “El Guano”, nonché fratello del boss, accusato dagli Stati Uniti di controllare direttamente le rotte del traffico di stupefacenti verso il territorio statunitense. Non è un caso, infatti, che le autorità statunitensi abbiano dichiarato alcuni di questi cartelli come organizzazioni terroristiche. L’intento è chiaro: rafforzare la capacità d’intervento, giustificare azioni extraterritoriali e incentivare chiunque, anche all’interno delle stesse famiglie criminali, a collaborare con le autorità in cambio di protezione o vantaggi legali. Alla luce di ciò, il viaggio dei parenti di Ovidio Guzmán appare meno come un episodio anomalo e più come un ulteriore tassello della guerra psicologica, giuridica e politica contro i narcos.
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