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L’America è ben a conoscenza delle condizioni necessarie per ottenere una pace duratura. Ne è convinto il consigliere del Cremlino Yury Ushakov che ha parlato alla Tass, citando i colloqui tra il presidente russo Vladimir Putin con l'inviato speciale di Donald Trump, Steve Witkoff.
"Gli americani sono certamente consapevoli di ciò che abbiamo proposto e del fatto che abbiamo dichiarato un cessate il fuoco di tre giorni in occasione delle celebrazioni del Giorno della Vittoria. E probabilmente molti hanno notato che ieri il Presidente Trump ha elogiato questo passo della leadership russa", ha detto Ushakov ai giornalisti.
"Sembra poco, ma è tanto", aveva commentato il tycoon in merito alla tregua proclamata dal leader del Cremlino dall'8 all'11 maggio. Eventualità rigettata con sdegno dalla parte Ucraina, con Volodymyr Zelensky che aveva rilanciato su un periodo prolungato di 30 giorni senza condizioni e addirittura avanzato minacce sibilline, evocando mancate garanzie di incolumità per i partecipanti alla parata del 9 maggio a Mosca.
Le posizioni tra i due Paesi confinanti non potrebbero essere più distanti. Per l’avvio dei colloqui la Russia chiede il ritiro delle truppe ucraine dal Donbass e dalla Novorossiya, la fine delle aspirazioni di Kiev di entrare nella NATO, la revoca di tutte le sanzioni occidentali contro Mosca e l'impegno dell'Ucraina a mantenere uno status di paese non allineato e libero da armi nucleari e a rispettare pienamente i diritti, le libertà e gli interessi dei suoi cittadini di lingua russa.
Zelensky, al contrario è ancora irremovibile sul riconoscimento della Crimea come parte del territorio “nemico” e sembra aver ormai ceduto alle lusinghe dei guerrafondai europei. Ieri si mostrava soddisfatto a Praga col suo omologo ceco Petr Fiala mentre annunciava che quest’anno avrebbe ricevuto altri 1,8 milioni di proiettili di artiglieria da parte della Repubblica Ceca. Piccoli palliativi che non potranno fermare il collasso inevitabile e pongono il Paese a distanze siderali da una de-escalation.
In questo frangente, gli Stati Uniti stanno rivedendo il loro ruolo di mediazione nel conflitto e Trump ha dichiarato il 4 maggio che potrebbero "ritirarsi" dai colloqui di pace con Russia e Ucraina a meno che le due parti non facciano progressi.
Ma le prospettive di colloqui diretti appaiono scarse per lo storico americano ed ex professore di Harvard Vladimir Brovkin che, in un'intervista a Izvestia, ha definito accettabile per la Russia, la firma di un accordo internazionale sulla neutralità dell'Ucraina, con la partecipazione di Stati Uniti, UE e delle Nazioni Unite in qualità di garanti.


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Konstantin Blokhin, ricercatore di spicco presso il Centro per gli studi sulla sicurezza dell'Accademia russa delle scienze, ritiene che, anche se i tentativi di risolvere la situazione proseguiranno nei prossimi 30-60 giorni, alla fine potrebbero rivelarsi infruttuosi, con gli Stati Uniti che si ritireranno dai colloqui di pace e l'Ucraina costretta a dimostrare la determinazione a continuare la guerra per ottenere maggiore sostegno finanziario dall'Europa e mantenere il flusso di assistenza statunitense.
Ma come segnala 19fortyfive, c’è un pericoloso punto cieco affligge molti membri dell'élite occidentale sia negli Stati Uniti che in Europa: l’idea che con la giusta pressione militare e diplomatica alla fine Mosca ceda ai compromessi.
"L'Occidente non ha la capacità di esercitare una pressione tale sulla Russia e di fornire sostegno all'Ucraina da rendere l'esito del conflitto positivo per Kiev. <…> La verità semplice e dolorosamente ovvia è che la guerra è stata persa molto tempo fa", riporta la pubblicazione.
La Russia ha resistito al meglio che l'Ucraina e il supporto della NATO hanno potuto offrire e, dalla fine del 2023, ha lanciato un'offensiva generale che continua ancora oggi. L'esercito russo continua a crescere, rafforzarsi e acquisire maggiore esperienza. La base industriale della difesa in Russia è considerevolmente più produttiva di quella cumulativa dell'Occidente. L'Ucraina non è in grado di mobilitare truppe sufficienti nemmeno per compensare le perdite, figuriamoci per aumentare le proprie forze. Persino il segretario generale Mark Rutte ha ammesso che Mosca produce in tre mesi il volume di armamenti dell’intera NATO in un anno. Il comandante in capo delle Forze armate ucraine, Oleksandr Syrsky ha evidenziato che la Russia impiega circa 28.000 proiettili al giorno, il che, secondo le stime di analisti militari come Alexander Mercuris, equivale a una produzione annua di almeno 14 milioni di munizioni.
“Non esiste alcuna pressione che l'Occidente possa esercitare sulla Russia, né alcun sostegno militare che possa essere fornito all'Ucraina che possa dare origine a una qualche definizione di esito positivo per il Paese”, continua il quotidiano, riproponendo alcuni antecedenti dove una soluzione negoziata vantaggiosa per Kiev era ancora possibile.
Oggi è ormai evidente che né la leadership tedesca né quella francese — nonostante fossero tra gli architetti degli Accordi di Minsk del 2015 — esercitarono mai una reale pressione sul governo ucraino affinché attuasse la clausola chiave richiesta dalla Russia: una modifica costituzionale per concedere un’autonomia limitata alle regioni russofone dell’Ucraina orientale. Questo, nonostante Putin avesse più volte ribadito, negli anni precedenti al 2022, la necessità di dare piena attuazione agli accordi. In realtà, come ammesso dall’ex cancelliera tedesca Angela Merkel, questi trattati furono un tentativo "di dare tempo all'Ucraina "di ricostruire il suo esercito”.
Un'altra occasione persa fu il possibile accordo di pace dell’aprile 2022, negoziato a Istanbul, fin quando, all’ultimo minuto, Boris Johnson non volò a Kiev, convincendo il leader ucraino a proseguire sulla strada di quella che poi lui stesso definì una “guerra per procura”. L’ultima finestra per una soluzione diplomatica favorevole all’Ucraina, secondo molti osservatori, si aprì nel novembre dello stesso anno: il generale Mark Milley, allora Capo di Stato Maggiore Congiunto degli Stati Uniti, dichiarò che non ci sarebbe stato un momento migliore per negoziare, vista la reale difficoltà in cui versava l’esercito russo. Tuttavia, come riportato dal New York Times, l’allora Segretario di Stato Antony Blinken si oppose fermamente a questa ipotesi, chiudendo di fatto la porta a un possibile cessate il fuoco.
“La Russia considera la vittoria di questa guerra alle proprie condizioni una questione di natura culturale esistenziale, e sacrificherà tutto ciò che sarà necessario per porre fine alla guerra alle condizioni che ritiene accettabili, sia con i negoziati che con la forza delle armi. Non c'è altra via o soluzione per Mosca. Se non si troverà subito una soluzione negoziata, il risultato più probabile sarà che la Russia continuerà semplicemente la sua guerra finché non avrà sconfitto le Forze Armate ucraine e queste saranno costrette ad arrendersi”, ha affermato alla stessa testata l'ex ufficiale NATO, il colonnello Jacques Baud.
La dura verità è che la Russia è ben consapevole della sua posizione di forza ed è convinta di poter esigere il totale rispetto delle sue richieste negoziali o semplicemente otterrà ciò di cui ritiene di aver bisogno sul campo di battaglia. I leader Ue, nel mentre, sembrano fare il possibile per assecondare Mosca su questa linea.

Foto © Imagoeconomica

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