Il fratello della giovane cittadina vaticana ripercorre gli ultimi momenti prima della scomparsa avvenuta nel giugno 1983
“Sono ancora arrabbiato verso quella che considero ancora parte della mia famiglia, il Vaticano”. Lo ha detto Pietro Orlandi nel corso del programma Rai “Linea di confine”, per ricordare il dramma che ha cambiato per sempre la sua vita e quella della sua famiglia: la scomparsa di sua sorella Emanuela. Era il 22 giugno del 1983 quando, di Emanuela Orlandi, giovanissima cittadina vaticana, si perdono completamente le tracce. A distanza di oltre quarant’anni, suo fratello Pietro continua a battersi instancabilmente per scoprire cosa sia effettivamente successo a sua sorella durante quella calda estate del 1983. Insieme al giornalista Antonino Monteleone, Orlandi ha ricostruito le ultime ore note di sua sorella, ripercorrendo anche i tanti misteri che ancora circondano il caso. Il giorno della sua scomparsa, Emanuela si trovava come sempre alla scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria”, vicino alla basilica di Sant’Apollinare, nel cuore di Roma. Proprio in quell’area si perdono le sue tracce. Secondo la ricostruzione di Pietro Orlandi, quel pomeriggio Emanuela fu avvicinata da un uomo distinto a bordo di una BMW, che le offrì un compenso per distribuire volantini durante una sfilata di moda. Colpita dalla proposta, la giovane Orlandi telefonò a casa per chiedere consiglio e parlò con la sorella Federica. Disse che avrebbe incontrato l’uomo all’uscita. Ma qualcosa andò storto. “Quel pomeriggio - ha raccontato Orlandi - Emanuela scende, ma non vede quella persona. La aspetta qualche minuto e, prima di andare da sua sorella Cristina, con cui aveva appuntamento al Palazzaccio, va alla fermata del bus davanti al Senato. Non doveva prendere l’autobus, ma decise di tornare lì dove lo aveva incontrato, nella speranza di ritrovarlo”. Durante la sua ricostruzione dei fatti, Orlandi ha ipotizzato che, in un secondo momento, quell’uomo possa averle detto di aver lasciato i volantini all’interno della basilica e, con la sua fiducia cieca negli ambienti religiosi, Emanuela sarebbe entrata senza esitazione. “Se la mia ipotesi è giusta - ha proseguito Orlandi - è stata fatta rientrare a Sant’Apollinare, dove non è difficile narcotizzarla, farla uscire sul retro, caricarla in auto e portarla via”.
La basilica di Sant’Apollinare a Roma ha sempre rappresentato un luogo cruciale nel caso Orlandi, più volte al centro di teorie e sospetti. Proprio lì, infatti, venne sepolto - dopo la sua morte avvenuta per omicidio - il boss della Banda della Magliana, Enrico “Renatino” De Pedis. Una sepoltura che ha suscitato molte critiche. Ad ogni modo, grazie a un permesso speciale concesso dal cardinale Ugo Poletti e dal rettore della basilica, don Pietro Vergari, De Pedis venne sepolto all’interno della chiesa. Pietro Orlandi ha sempre sottolineato l’amicizia che legava i due, considerandola una chiave fondamentale per comprendere il contesto attorno a cui gravita la scomparsa della giovane cittadina vaticana.
Oltretutto, anche l’ex boss Antonio Mancini ha sempre sostenuto che il caso Orlandi avesse dei collegamenti con la Banda della Magliana. A rafforzare questa ipotesi c’è anche la testimonianza dell’ex poliziotto Armando Palmegiani, che durante un sopralluogo in un covo della Banda della Magliana in via Pignatelli, a Monteverde, scoprì un seminterrato insonorizzato trasformato in prigione. Proprio lì, secondo le dichiarazioni di Sabrina Minardi, l’ex compagna di De Pedis, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela Orlandi. Inoltre, come ulteriore conferma del fatto che la Banda della Magliana avrebbe avuto un ruolo nella scomparsa di Emanuela, ci sono anche la testimonianza del magistrato Giancarlo Capaldo, che ha condotto la seconda inchiesta sul caso, e quella di Maurizio Abbatino, altro ex componente della Banda, che ha raccontato come il rapimento sarebbe stato organizzato per recuperare il denaro del boss della mafia Pippo Calò. Il boss, infatti, avrebbe avuto legami con il Vaticano, avendo investito del denaro attraverso lo IOR, tramite l’arcivescovo Paul Marcinkus. Infine, uno dei dettagli più inquietanti e controversi è quello emerso grazie alla testimonianza dell’ex maresciallo dell’Aeronautica, Giuseppe Dioguardi, che ha raccontato di un volo militare partito da Ciampino verso Londra, a fine agosto del 1983, richiesto da un alto prelato: il cardinale Piovanelli. Il volo fu organizzato in modo anomalo: a bordo vi erano due uomini e due donne, equipaggio ridotto al minimo, ingresso dal varco VIP e nessuna vigilanza. Sebbene non vi sia alcuna prova che Emanuela Orlandi fosse su quell’aereo, l’insistenza per ottenere l’autorizzazione e le insolite pressioni politiche per accelerarne l’esecuzione hanno alimentato dubbi e perplessità, questo, nonostante alcuni colleghi di Dioguardi, appartenenti ai Servizi, abbiano provato a sminuire la questione.
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