Assemblare idee, ricordi e momenti vissuti intorno alla persona Eduardo Galeano, vale a dire intorno alla sua figura come scrittore e come giornalista, a dieci anni della sua scomparsa fisica, non è solo un piacere personale, ma riteniamo sia anche un nostro dovere militante. 
Perché? Perché lui, se un implacabile cancro non avessi strappato la sua vita, sicuramente, a 85 anni, sarebbe tra noi, presente in questo mondo con il proprio stile, denunciando con il suo talento (e di presenza come fece nel 2013 alle porte della Suprema Corte di Giustizia in difesa della Giudice Mariana Mota), quelle ingiustizie che si stanno denunciando da molte trincee del Mondo: genocidio ed apartheid, in Palestina, per esempio; ingiustizie sociali ed autoritarismi, come quelle di Javier Milei, in Argentina; il crimine organizzato di indole mafiosa vorace e sanguinaria, radicato nel mondo, in America Latina e in Uruguay; corruzione pubblica, anche nel suo paese natale; il disprezzo ed il razzismo ricorrente esercitato contro i popoli originari; il saccheggio sfacciato di risorse naturali in America Latina, calpestando sovranità (una realtà niente lontana dall'Uruguay con i contratti di UPM, ecc. ecc.); un estrattivismo ombroso ed in crescita, sottomettendo popoli e vite in terre americane; e potremmo enumerare tonnellate di mali che ci angosciano. Mali che hanno il sigillo dell'impero del Nord e del sionismo, in società in accomandita. 
Mali detestabili e funzionali ad un fascismo assordante che fa stragi di democrazie limitando libertà, con aria nefasta, a dimostrare che la vita umana vale poco, e che il denaro è tutto, per non dire che oggi è il valore assoluto del denaro a dirigere, dominare e definire il mondo, oscenamente, non importa le conseguenze.
Mali come i brutali colpi contro i pensionati nella piazza del Congresso argentino, un altro esempio; o le ricorrenti violazioni dei diritti umani che purtroppo sono diventati qualcosa di naturale con i signori potenti che festeggiano ogni volta che vengono commesse quelle atrocità in piena democrazia - come gli oltre 200 casi di sparizioni forzate in Argentina, ricordiamo Santiago Maldonado e Julio González -, e rivendicano la cultura dell'impunità per i repressori del Piano Condor che seminarono di desaparecidos Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile e Brasile. Mali ogni dove. I mali di ieri, di oggi e di domani.
Eduardo si sarebbe immerso con i suoi 85 anni nel continuare a segnalare con la sua piuma mordace tutti i mali di questa comunità umana mondiale che si sgretola nel tempo delle reti sociali, sovraccariche di delusioni e di torbidezze, insieme alle nuove invenzioni tecnologiche - per quanto utili, per quanto scabrose - dei tempi attuali che non sono i miei e nemmeno di Eduardo, ovviamente.
Eduardo sarebbe - come sempre è stato - vicino a Madri e Familiari di Uruguaiani Detenuti Scomparsi, che già da oltre 29 anni reclamano tenacemente che siano loro consegnati i resti dei loro cari sepolti in proprietà militari; un reclamo che anno dopo anno ha messo in evidenza la vergognosa assenza di volontà politica da parte di tutti ed ognuno dei governi post dittatura, sia di destra, sia di sinistra. Una sinistra che non ha approfondito al riguardo come ci si sperava, e una sinistra che oggi dovrà assumersi la responsabilità per compensare quel vecchio errore. Succederà?
Eduardo continuerebbe ad essere la voce dei dimenticati; di quelli che non hanno né profilo, né denaro, né proprietà, né futuro, ma sono senza speranze con maiuscola, con i loro sentiti e molteplici reclami, che proprio per essere legittimi saranno definitivamente ignorati, o peggio ancora, ripresi.
Eduardo avrebbe continuato la sua vita insieme ai suoi compagni di lotta. Uno di questi, solo uno di questi, che ho avuto il piacere di ritrovare dopo alcuni anni, è il dirigente socialista ed avvocato José Díaz - 93 anni molto ben portati - che lo ricorda con parole che riassumono, non solo la sua ammirazione verso Eduardo, ma inoltre costituiscono il suo sincero e sentito omaggio alla sua figura come scrittore e giornalista. 
“Ho un lungo legame con Eduardo Galeano che considero uno dei miei migliori compagni ed amici socialisti. Io l’ho visto aderire al Partito essendo un adolescente, andò a Casa del Pueblo, quando noi militavamo nelle gioventù socialiste, ad affiliarsi al partito, e ci sorprese che un ragazzo così giovane volessi affiliarsi ad un partito politico. Lo abbiamo osservato e gli abbiamo detto, ma fratello, qui nel Partito per aderire, prima ci inseriamo nella gioventù. Fino ai 18 anni è gioventù. E dopo, ti potrai affiliare al Partito”.
“Lo abbiamo visto crescere, fare disegnini nel Sole, diventare prima un gran giornalista e dopo un gran scrittore. Io lo dico senza pretese accademiche, perché non sono accademico. Credo che Galeano è creatore di uno stile letterario. Ne ho parlato con esperti in opere letterarie per studiare il fenomeno letterario dell'opera di Galeano che ha uno stile di
letteratura concisa, breve, di piccoli racconti, impeccabili, dal punto di vista del contenuto, ed anche dal punto di vista formale, perché quello non è facile farlo. Quando uno vuole essere sintetico bisogna riconoscere e ricordare Galeano, perché lui aveva la capacità, di dire tanto in poche righe”.  
“Io sono stato compagno di vita di Galeano, perché è successo che il nostro primo esilio fu a Buenos Aires. Lì siamo stati insieme, fino a quando il colpo militare in Argentina ci obbligò a cercare un altro posto ed è successo che senza nemmeno consultarci ci siamo reincontrati a Barcelona. Lì abbiamo nuovamente ripreso a scambiarci informazioni su quanto stava accadendo in America. Un'altra volta che ci siamo incontrati a Barcelona fu a causa del trattamento del suo cancro. Sono andato a trovarlo quando lo hanno dimesso. L’ho trovato molto colpito per il trattamento. Ma curiosamente tre o quattro mesi dopo, già qui in Uruguay, in un incontro di amici, ho visto che Galeano aveva ringiovanito molto in poco tempo”.
“Galeano è una gran figura dell'Uruguay. Purtroppo, né l'accademia, né la sinistra ha fatto quello che si deve fare per ricordare, omaggiare, e riconoscere valenza storica di Eduardo Galeano”.
“Oggi, non ho il minimo dubbio, che Galeano sarebbe nelle migliori posizioni, perché non l’ho mai visto venire meno, non l’ho mai visto
fare un passo indietro di fronte ad alcun problema dell'uomo e dei lavoratori”.
Un altro ricordo di Galeano questa volta viene da una persona molto vicina alla casa di Eduardo. Una donna di temperamento che oggi lo ricorda emozionata; una persona che ha raccolto momenti vissuti nell’intimità stessa della casa di Dalmiro Costa, al Buceo, dove Helena Villagra, moglie di Eduardo e la sua mascotte Morgan, erano gli anfitrioni di una poliedrica e molto peculiare convivenza. E lì Galeano era il senti-pensante più empatico, più affabile e più amabile. Era lui. Così come diceva di essere. E non un Eduardo che si crea un'immagine.
“Eduardo era come si vedeva, quello che faceva, quello che diceva. Lo ricordo come una persona molto tranquilla, molto gentile, molto empatica e semplice allo stesso tempo e aveva molti amici, da Serrat, Gelman, China Zorrila, Sabina, Benedetti, molti politici. Riceveva a tutto il mondo, li trattava allo stesso modo. Sempre aveva delle storie da raccontare, ma lasciava molto agli altri raccontare. Si nutriva di quello che raccontavano”.
“Portava molti regali da tutte le parti del mondo, nessuno restava senza regali. All’ora di pranzo il frigorifero era a disposizione di tutto il mondo, dal postino a chi viveva nella casa, al giardiniere, a tutti. Incluso il suo cane Morgan, il suo gatto nero e due tartarughe e due gattine. Galeano portava Morgan a passeggiare lungo la rambla tutti i giorni, andata e ritorno. Eduardo andava spesso al caffè Brasiliano. Morgan era la sua gioia”. 
“Quando ricevette un premio molto grande, credo negli Stati Uniti, lo donò alla Casa dell'Arte. Erano molti dollari. Donò tutto”.
“Aveva molti atteggiamenti di persona staccata dal denaro. Era una persona semplice. Sempre se poteva aiutava tutto il mondo. Era una persona molto, ma molto generosa. In quanto al tema politico, era molto impegnato nei temi di diritti umani e le minoranze, alle quali appoggiava sempre”.
Eduardo Galeano, con il quale mi sono incontrato innumerevole volte nei corridoi del Canal 4, negli anni 90 – e dialogavamo su temi del momento - mi ha lasciato ugualmente dei ricordi. Abbiamo coltivato un'amicizia effimera, esclusivamente nei corridoi di un mezzo televisivo che mi lasciò un mare di indescrivibili emozioni. Ma insisto, furono effimere, ma non perciò insignificanti. Tutto il contrario. Con il passare del tempo ho fatto tesoro della sua voce, delle sue parole, del suo sguardo. La sua amicizia. La sua personalità. Ma in essenza il suo messaggio. Cioè, la sua enorme capacità di trasmettere vita, speranze e saggezza, a volte in minuti. Ma siccome erano incontri ricorrenti, quasi impercettibili, se li sommavamo tutti diventavano ore e giorni, sufficiente per lasciare in me un'orma indelebile. I sufficienti incontri per rimpiangerlo oggi, dall'anima. E mi pentirò fino al giorno della mia dipartita non aver visitato la sua casa, come più di una volta mi aveva suggerito.
Ma adesso lasciamo che sia lui stesso a dire la sua, spiegando il suo stile e la sua opera di ieri: “Quella sera mi resi conto che io ero un cacciatore di parole. Per quello ero nato. Quello sarebbe stato il mio modo di rimanere insieme agli altri dopo la mia morte, e così non sarebbero morte completamente le persone e le cose che io avevo amato”.
Grazie Eduardo, non potevi essere più chiaro e più veritiero. Oggi ci sei Eduardo, te lo assicuro. 

Foto © Fábio Rodrigues Pozzebom/Agência Brasil

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