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L’ex Presidente Jair Bolsonaro sarà processato dalla Corte Suprema per tentato colpo di Stato. Lo ha stabilito la prima sezione del Supremo Tribunal Federal (STF) con una decisione presa all’unanimità. Assieme all’ex capo di Stato andranno alla sbarra altri sette tra politici e militari, sospettati di aver partecipato al complotto che tra il luglio 2022 e il gennaio 2023 cercò di impedire l’insediamento del neoeletto Presidente Lula, consentendo così a Bolsonaro di restare alla guida del Paese. Un tentativo golpista naufragato per mancanza del sostegno dell’esercito e sfociato l’8 gennaio 2023 nell’invasione del Congresso da parte di un migliaio di militanti bolsonaristi.
I reati contestati all’ex Capo di Stato sono di associazione a delinquere, abolizione violenta dello Stato democratico di diritto e colpo di Stato. Tre imputazioni che, se ritenute provate dagli undici ministri della Corte Suprema, potrebbero infliggere a Bolsonaro una condanna di quasi 28 anni di carcere. Piccata è stata la sua risposta al termine dell’udienza: “Le accuse sono infondate. C’è un accanimento personale contro di me”.
Le prove raccolte dalla Polícia Federal sono contenute in un dossier di 884 pagine, passato prima al vaglio della Procura Generale di Brasilia e ora finito sul tavolo della Corte Suprema, organo responsabile di giudicare i reati commessi dagli amministratori pubblici in Brasile. Come hanno affermato i giudici del STF nel corso dell’udienza di rinvio a giudizio, “ci sono indizi ragionevoli per ritenere Bolsonaro il capo del progetto golpista”. Non solo avrebbe saputo in anticipo del piano per assassinare Lula, ma si sarebbe pure riunito con figure di alto profilo dell’esercito per garantirsi il loro sostegno prima di dare il via all’effettivo colpo di Stato.
Secondo le carte dell’inchiesta, l’ipotesi di un golpe avrebbe iniziato a circolare negli ambienti bolsonaristi già nel giugno del 2021 a suon di attacchi sempre più forti contro il sistema di voto elettronico. Una vera e propria campagna di fake news sostenuta da Bolsonaro per “delegittimare un possibile risultato sfavorevole alle elezioni”. Motivo per cui, sostengono i magistrati, l’allora Capo di Stato si sarebbe attivato per ritardare la pubblicazione della relazione ministeriale sulle urne elettroniche. Un documento che certificava la legittimità della vittoria di Lula alle presidenziali del 2022.
Incassata la sconfitta elettorale, ai cospiratori non restava che tentare il colpo di mano. Come documentano le carte della Polícia Federal, sin dal luglio del 2022 la cupola bolsonarista si riuniva in gran segreto per discutere di questo piano eversivo. Il meeting decisivo sarebbe avvenuto il 12 novembre 2022 a casa di Walter Braga Neto, ex candidato di Bolsonaro alla Vicepresidenza e suo coimputato in questo processo. “Erano necessarie azioni che creassero grande instabilità e ciò avrebbe permesso a Bolsonaro di varare leggi speciali per mantenere il potere” ha raccontato alle autorità Mauro Cid, ex braccio destro del Presidente.
Come ha ricostruito la PF, questo progetto prevedeva il rapimento di Alexandre de Moraes, giudice della Corte Suprema molto critico nei confronti dell’ex capo di Stato, e l’avvelenamento di Lula. Un piano descritto nei minimi particolari in un documento chiamato ‘Punhal Verde-amarelo’, il quale venne stampato il 9 novembre 2022 da Mario Fernandes, ex segretario generale del Presidente. Qualche minuto più tardi, Fernandes si sarebbe recato al Palácio da Alvorada, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica, dove si ritiene che Bolsonaro venne messo al corrente del progetto golpista. Interpellato dalle autorità, quest’ultimo ha smentito questa circostanza.
Di pari passo, come sostengono le carte dell’inchiesta, l’alta cupola bolsonarista avrebbe lavorato alla redazione di un decreto per indire nuove elezioni e arrestare il giudice della Corte Suprema, Alexandre de Moraes. Un documento che, tenendo fede alle parole dello stesso Mauro Cid, sarebbe stato consegnato a Bolsonaro il 7 dicembre 2022. Il giorno seguente, la bozza di decreto iniziò a circolare sui tavoli dei principali ministeri di Brasilia.
In seguito, Bolsonaro avrebbe presentato il decreto al generale delle Forze Armate Freire Gomes. Una ricostruzione quella di Cid che collima con il registro dei visitatori del Palácio da Alvorada, oltre che con la deposizione dello stesso Freire Gomes. “So che stai avendo una riunione molto importante all’Alvorada” – scrisse Fernandes a Mauro Cid alle nove di quel mattino. Oltre che sul cellulare di Cid, quel documento è stato ritrovato anche durante una perquisizione a casa di Anderson Torres, allora ministro della giustizia di Bolsonaro. Il decreto non venne approvato dato che il generale Freire Gomes mise in chiaro al Presidente che “l’esercito non darà mai il suo appoggio a leggi che possano cambiare l’esito delle urne”.
Una nuova versione di questo decreto venne ripresentata durante una riunione con i capi delle forze armate il 14 dicembre 2022. Sia Freire Gomes che il tenente Baptista Junior, però, si rifiutarono di sostenere un gabinetto di crisi controllato dai militari.
Il gruppo di congiurati non si sarebbe perso d’animo nemmeno a ridosso dell’insediamento di Lula.  Secondo le indagini, l’allora ministro della giustizia Anderson Torres (coimputato assieme a Bolsonaro) avrebbe saputo con 48 ore di anticipo dell’intenzione dei manifestanti bolsonaristi di invadere il Congresso, ma non avrebbe preso alcun provvedimento per impedirlo. “Una scelta – si legge nell’atto d’accusa della Procura Generale – non dettata dall’impreparazione, ma dalla volontà di giustificare la decretazione dello stato d’assedio”. 

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