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Ormai il bilancio quotidiano della tragedia palestinesi è tanto drammatico, quanto ricorrente a tal punto da non fare più notizia. Un’altra mattinata di terrore si è abbattuta nella striscia di Gaza, dove la mattina del 3 aprile l’esercito israeliano ha condotto una serie di attacchi che hanno colpito scuole trasformate in rifugi di fortuna, uccidendo almeno 112 palestinesi, molti dei quali bambini, donne e anziani.Altri attacchi aerei si sono abbattuti su Khan Younis, colpendo un campo tendato designato come zona "umanitaria" e diverse abitazioni civili, uccidendo almeno 26 palestinesi.
Il bombardamento più devastante ha preso di mira la scuola Dar al-Arqam a Gaza City, causando 31 morti in un solo colpo.
Un’area che, per l’appunto, la stessa Israele aveva dichiarato come “sicura” per gli sfollati. Le immagini diffuse da Al Jazeera mostrano scene di devastazione che lasciano ammutoliti. La scuola Dar al-Arqam, che ospitava centinaia di civili in fuga dai bombardamenti, è stata colpita da quattro missili israeliani in pieno giorno. Tra le macerie, i soccorritori hanno estratto corpi senza vita, molti dei quali mutilati dalle esplosioni. "Eravamo qui perché pensavamo di essere al sicuro. Invece, hanno bombardato tutto", racconta Mohammed, un sopravvissuto disperato che ha perso la moglie e due figli.
Poche ore dopo, un secondo attacco ha colpito lo stesso edificio, aumentando ulteriormente il numero delle vittime. Le ambulanze, già a corto di carburante e attrezzature, faticano a raggiungere i feriti, molti dei quali muoiono dissanguati prima di arrivare in ospedale.
Israele continua a dichiarare di agire contro Hamas, ma i suoi attacchi colpiscono sistematicamente civili e infrastrutture essenziali. Solo nelle ultime 24 ore, 135.000 palestinesi sono stati costretti a fuggire dalle loro case, molti a piedi, trascinando i pochi averi su carretti trainati da asini. L'esercito israeliano ha diffuso una mappa con codici colore, ordinando l'evacuazione forzata dei quartieri di Zeitoun, Tal al-Hawa e Sabra, già devastati dai bombardamenti. Ma dove dovrebbero andare queste persone? Le cosiddette "zone umanitarie" designate da Israele, come al-Mawasi, sono state più volte bombardate. "Non esiste un posto sicuro a Gaza", dice Hani Mahmoud, corrispondente di Al Jazeera sul campo. "Le scuole, gli ospedali, le tende degli sfollati: tutto è nel mirino".
Oltre ai civili, anche i medici e gli operatori umanitari sono nel mirino. Due settimane fa, 15 soccorritori della Mezzaluna Rossa Palestinese sono stati uccisi dall'esercito israeliano mentre cercavano di raggiungere i feriti a Rafah. I loro corpi, ritrovati giorni dopo in una fossa comune, mostravano segni di esecuzione sommaria: mani legate e colpi alla testa o al petto.
"Il cielo è pieno dei loro droni, vedono tutto. Sapevano benissimo che erano medici", ha detto il dottor Ahmed al-Farra, direttore dell'ospedale Al-Tahreer di Khan Younis. L'Alto Commissario ONU per i diritti umani, Volker Turk, ha definito questi omicidi "possibili crimini di guerra", chiedendo un'indagine indipendente.


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Viktor Orbán © Imagoeconomica


Israele ha intensificato gli attacchi dopo il fallimento dei negoziati per il rilascio degli ostaggi detenuti da Hamas. Il ministro degli Esteri Gideon Saar ha dichiarato che la guerra potrebbe finire "domani" se Hamas liberasse i prigionieri e abbandonasse Gaza, ma Hamas rifiuta di negoziare senza un cessate il fuoco permanente.

L’Ungheria lascia la corte penale internazionale per ospitare Netanyahu

La comunità internazionale, intanto, invece di esprimere condanna, rafforza i legami di complicità con i criminali di guerra. Come annunciato dal capo dello staff del primo ministro Viktor Orban, Gergely Guly Gualys, l'Ungheria ha deciso di ritirarsi dalla Corte penale internazionale (CPI).
"Il governo inizierà la procedura di ritiro giovedì, in conformità con il quadro giuridico costituzionale e internazionale", ha detto Gulys, dandone notizia poco dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu è arrivato in Ungheria in visita di stato. Netanyahu è stato invitato a Budapest nel novembre dello scorso anno, un giorno dopo che il mandato di arresto è stato emesso contro di lui.
La Corte Penale Internazionale (CPI) ha avviato un'indagine sui possibili atti di genocidio commessi da Israele durante la sua offensiva militare nella Striscia di Gaza, scatenata in risposta all'attacco di Hamas del 7 ottobre 2023. Un passaggio cruciale si è verificato il 21 novembre, quando la corte ha emesso mandati di arresto contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e l'allora ministro della Difesa Yoav Gallant, accusandoli di crimini di guerra e crimini contro l'umanità.
Tuttavia, la decisione ha innescato una forte opposizione politica. Diversi paesi, tra cui Germania, Argentina e Polonia, hanno chiarito pubblicamente che non eseguiranno i mandati qualora Netanyahu o Gallant dovessero entrare nei loro territori.  L' Ungheria si è distinta per la sua ferma condanna delle azioni della CPI. Il premier Viktor Orbán ha definito i mandati "oltraggiosi e cinici", mentre il ministro degli Esteri Péter Szijjártó, in un intervento a novembre, ha accusato la corte di "disonorare la giustizia internazionale".
"Questa decisione equipara ingiustamente i leader di una nazione vittima di un brutale attacco terroristico con i capi dell'organizzazione terroristica responsabile", ha dichiarato Szijjártó, ribadendo il pieno sostegno ungherese a Israele e denunciando quello che definisce un tentativo di politicizzazione delle istituzioni globali.

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