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Von der Leyen dirotta sulla Difesa i fondi sottratti a istruzione e sanità. Titoli azionari sfiorano i massimi storici

Dopo l’acceso confronto di venerdì scorso alla Casa Bianca tra il presidente americano, Donald Trump, e quello ucraino, Volodymyr Zelensky, la situazione in Europa appare sempre più tesa. I leader europei hanno provato a mostrare compattezza, pur lasciando intendere un’unità più formale che sostanziale. Resta il fatto che lo scontro tra Trump e Zelensky sembra aver rafforzato il senso di urgenza nel voler sostenere Kiev, alimentando ulteriori aspettative su un incremento della spesa militare. Infatti, già nelle prime ore di contrattazione di lunedì, le azioni delle principali aziende della difesa hanno registrato ottimi risultati, confermando così la strategia europea, che, almeno dal punto di vista dei mercati, appare sempre più vincente. Ad ogni modo, è stato durante il vertice di ieri a Londra che i principali leader europei hanno espresso ancora una volta il concetto di “pace giusta”, ribadendo la necessità di proseguire con la corsa al riarmo. In parte lo ha confermato anche il primo ministro britannico Keir Starmer, che, a margine dell’evento, in conferenza stampa, ha dichiarato: “Siamo di fronte a una sfida generazionale e a un momento unico per la sicurezza dell’Europa”.


Von der Leyen e la sua idea del “porcospino”

Bisogna riarmare l’Europa urgentemente”. Con queste parole, Ursula von der Leyen,  presidente della Commissione Ue, ha chiuso il vertice di Londra e, con toni allarmanti, ha precisato: “Dopo anni di investimenti inadeguati, è arrivato il momento di aumentare gli investimenti nella Difesa a lungo termine. Dobbiamo prepararci al peggio, dobbiamo aumentare le spese militari”. Ha aggiunto: “Per questo presenteremo un piano completo per il riarmo dell’Europa il 6 marzo, quando avremo il Consiglio europeo dei leader”. Così, appoggiata dal primo ministro britannico Starmer e dal presidente francese Emmanuel Macron, von der Leyen ha illustrato la sua visione di “pace”: formare una “coalizione di volenterosi”, un gruppo di Paesi europei disposti a inviare un contingente militare di circa 30mila soldati per fare dell’Ucraina un “porcospino d’acciaio”, una vera e propria fortezza inespugnabile contro qualsiasi aggressione russa. Sulla stessa linea di von der Leyen anche il cancelliere tedesco Olaf Scholz, che al termine del vertice di Londra ha precisato: “L’Ucraina è il Paese attaccato, vittima dell’aggressione russa. Questa è la verità che resta per tutti molto chiara.” - prosegue - “Dobbiamo sostenere l’Ucraina con mezzi finanziari e militari”. Qualche dubbio, invece, è arrivato dalla premier italiana Giorgia Meloni, che sulle truppe da mandare a Kiev ha detto: “Per l’utilizzo di truppe europee ho espresso qualche perplessità. La presenza di truppe italiane in Ucraina non è mai stata all’ordine del giorno”.
Insomma, su alcune questioni le posizioni di alcuni leader europei sembrano distanti tra loro. Tuttavia, su una cosa sembrano intendersi alla perfezione: la corsa al riarmo con l’avvio di un’economia di guerra.


Prima le armi, poi il resto

L'Unione Europea ha accelerato come mai prima d’ora sulla creazione di una difesa militare comune, ormai considerata una priorità strategica, soprattutto alla luce degli ultimi cambiamenti geopolitici, che l’Europa non sembra aver fatto molto per evitare. Dopo la linea adottata dall’amministrazione Trump negli Stati Uniti, nel Vecchio Continente si è rafforzata la consapevolezza della necessità di trovare nuove risorse economiche da destinare al settore della difesa. Per questo motivo, la Commissione Europea sta esplorando ogni possibile via per riuscire a reperire i fondi necessari senza dover attendere il prossimo bilancio settennale, che entrerà in vigore solo nel 2028. Del resto, Ursula von der Leyen è stata chiara: “Bisogna riarmare l’Europa, e bisogna farlo urgentemente”. Tra le soluzioni già individuate - e ampiamente criticate - vi è l’introduzione di una “clausola di salvaguardia” per escludere le spese per la difesa militare dal calcolo del deficit pubblico, incentivando così gli Stati membri ad aumentare gli investimenti nella difesa senza violare le regole di bilancio. Tuttavia, ed è proprio questo il punto più contestato, questa flessibilità resterebbe limitata esclusivamente alla difesa militare, mentre settori come istruzione e sanità continuerebbero a essere soggetti alle normali restrizioni del Patto di Stabilità e Crescita. Un’altra misura in discussione è il potenziamento del programma “InvestEU”, nato per stimolare gli investimenti pubblici e privati. La proposta prevede una modifica volta a sbloccare altri 50 miliardi di euro, vincolandoli però esclusivamente a progetti legati alla difesa militare. Inoltre, ulteriori risorse per il settore della difesa in Europa potrebbero provenire dai fondi inutilizzati del “NextGenerationEU”, il grande piano di ripresa post-pandemia. Dei 385 miliardi di euro stanziati per i prestiti agli Stati membri, circa 93-94 miliardi non sono stati richiesti entro la scadenza del 2023. L’idea sarebbe quella di impiegarli per finanziare progetti di sicurezza e difesa attraverso l’emissione di nuovi bond europei, i cosiddetti Eurobond, il cui valore - secondo Il Sole 24 Ore - ha già raggiunto i 600 miliardi di euro e potrebbe superare i mille miliardi entro la fine del 2026. C’è poi la questione dei fondi di coesione, il nodo più controverso. Questi fondi, pari a circa 500 miliardi di euro, sono destinati allo sviluppo regionale e, per normativa, non possono essere utilizzati per scopi militari. Tuttavia, anche in questo caso, la Commissione europea, presieduta da von der Leyen, starebbe valutando soluzioni per riassegnarli al settore della difesa, sottraendoli alle regioni.


Settore delle auto in crisi? Ci pensa Meloni

Da un lato i prezzi di listino, dall’altro i costi sempre più insostenibili per le famiglie: acquistare un'auto nuova è ormai un miraggio, e quando possibile si ripiega sull’usato. Ma per la premier Giorgia Meloni, la crisi che ha colpito il settore automobilistico è una questione di status symbol. In pratica, Meloni ha ammesso che buona parte della popolazione non ha i mezzi per permettersi un’auto nuova e, in alcuni casi, nemmeno per mantenerla. Da qui nasce l’idea di rilanciare la produttività italiana: investire nelle armi e riconvertire parte dell'industria automobilistica - ormai in forte crisi - verso la produzione di componentistica per la Difesa. Una strategia che ricalca il modello tedesco, dove è già in corso una riconversione simile con un investimento previsto di duecento miliardi di euro nel settore. Sebbene il piano sia ancora in fase embrionale, l’industria si sta già muovendo. Aziende come Leonardo, attraverso una joint venture con la tedesca Rheinmetall, e Iveco Defense sono già attive nella produzione di mezzi corazzati. Secondo alcune fonti - ha reso noto il Corriere della Sera - persino Ferrari starebbe valutando collaborazioni nel settore militare, segno che la corsa agli armamenti sta diventando la nuova corsa all’oro. In effetti, l’ennesima conferma dell’interesse dei grandi gruppi industriali per il settore bellico è arrivata già nelle prime ore di questa mattina. Poche ore dopo il vertice di Londra, in cui i leader europei hanno discusso un piano per l'Ucraina, le azioni delle principali aziende della difesa hanno registrato impennate record. Secondo Reuters, Rheinmetall è salita dell’11,4%, raggiungendo un nuovo massimo storico. BAE Systems ha segnato un incremento del 13,5%, mentre Leonardo ha toccato il +11,6%. Anche le francesi Thales e Dassault Aviation hanno registrato forti rialzi, rispettivamente +11,7% e +13,4%.

Foto © Imagoeconomica

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