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L’intervista di Our Voice alla radio uruguaiana Undertake Media, ospite nel programma ‘No te apretés’ di Georges Almendras

Santiago Leguizamón è stato un giornalista assassinato alla fine della dittatura del 1989 in Paraguay. Leguizamón sosteneva di preferire la morte fisica alla morte intellettuale. Con lo stesso spirito si sono espressi ai microfoni due dei referenti dell'organizzazione Our Voice, Sonia Bongiovanni e Matias Guffanti. Ed è con quello stesso spirito che Georges Almendras, conduttore di ‘No te apretés’, ha dialogato con gli invitati. Negli studi di Undertake Media (in Uruguay) sono stati affrontati temi importanti per questi tempi di cambiamenti bruschi e violenti. I due ospiti hanno riassunto la genesi ed il presente del loro percorso, le esperienze vissute, le vicissitudini nonché gli interrogativi che si pongono ad ogni passo della lotta sociale.


La posizione di una giovane di fronte ad un mondo in crisi

“Le donne e i dissidenti affrontano già moltissime cose in questo sistema patriarcale. La prima lotta che voglio rivendicare come donna è la lotta femminista che porta avanti anche Our Voice, la nostra è una lotta femminista contro tutto il sistema patriarcale e capitalista che governa non solo in Uruguay ma in diversi paesi dell’Abya yala, dell'America latina ed anche del mondo. Prendiamo posizione come donne e dissidenti in Our Voice, dove c'è anche uno spazio contro il sionismo, contro tutto ciò che è potere patriarcale, fascista”, ha affermato Sonia Bongiovanni.


Il ruolo dell'uomo nei movimenti pluralisti e come abbracciare il femminismo da una prospettiva maschile

Matías Guffanti: “È importante capire che la lotta contro questo tipo di mentalità e cultura, fa parte delle molteplici oppressioni che il sistema presenta. Noi stiamo affrontando un sistema fatto di molteplici oppressioni, possiamo parlare di mentalità patriarcale come possiamo parlare di mentalità razzista, di mentalità coloniale, di mentalità mafiosa, di differenti mentalità che compongono una cultura oppressiva radicata nel mondo moderno, nel mondo globalizzato di oggi”. 
“Quindi da questa prospettiva Our Voice, praticamente fin dall'inizio, propone una lotta trasversale contro tutte quelle oppressioni perchè sarebbe assolutamente incompleto lottare contro una cosa e non contro un'altra, quando il sistema è uno”.
Il sistema che noi stiamo affrontando è razzista, colonialista, patriarcale, capitalista, mercificatore e anche mafioso. E’ tutto questo allo stesso tempo. Ovviamente, ha le sue sfaccettature e i suoi modi di manifestarsi, ma è tutto insieme”.
“Quindi, il grande dilemma dei movimenti sociali, a mio
parere e vale anche per le organizzazioni politiche, è come affrontiamo tutto questo? Possiamo affrontarlo tutto insieme? Iniziamo solo da una parte? È una discussione che va avanti da molti anni”.
"Credo che, ad esempio, il movimento ambientalista abbia sempre toccato altri tipi di questioni e cause quando si parla di estrattivismo, quando si parla di territorio, di popolazioni indigene. Quando affronti una causa, inevitabilmente ti trovi di fronte ad un’altra. Un chiaro esempio è Chico Méndez quando diceva che non possiamo fare ambientalismo senza considerare i diritti umani”.
“Fare ambientalismo senza diritti umani è giardinaggio. Quindi, ci sono grandi esempi di questo. Il femminismo principalmente mira alla trasversalità, mira ad affrontare questo sistema di oppressioni multiple, in particolare per il femminismo africano che è il primo a sollevare la lotta”.
“Deve essere necessariamente trasversale. E credo che questo sia un tema che tutti noi dobbiamo abbracciare, indipendentemente da come ci vediamo, perché non si tratta di un punto di vista, ma di un dato di fatto su come funziona la società di oggi".


manifestazione femm

© Lisa Capasso

Per una femminista che vive con i giovani, con le persone della tua stessa generazione, con gli uomini, come vedi il fatto che Matías parla come una
femminista essendo uomo? Può essere? Come lo vedi?

“Penso che il femminismo sia portato avanti dalle donne e dai dissidenti. Ovviamente gli uomini hanno per me la visione e diciamo l'obiettivo o il ruolo di creare una nuova mascolinità che sia anti-patriarcale. È così che la definisco, una nuova mentalità dell’insieme, come diceva Matías, con tutte le persone che possono iniziare a demolire il patriarcato, iniziando dalle stesse collettività. Io ritengo che sia un cammino che accomuna tutti in generale, di tutti. Non finiremo mai di demolire quello che riguarda il tema patriarcale e le mentalità capitaliste, fasciste di questo sistema, come dice Matías”.


La speranza di un cambiamento per i prossimi anni

Secondo Matías: “Questa è una domanda che ci facciamo continuamente quando ci impegniamo a cercare di cambiare le cose. È una domanda ricorrente. E questo porterà realmente ad un cambiamento?”.
“La vita si trasforma, la vita si evolve, la vita avanza e le trasformazioni portate dai diversi movimenti sociali degli ultimi anni sono un dato di fatto. Possiamo capirlo o non capirlo, analizzarlo, avere differenti punti di vista, ma le trasformazioni sociali ci sono state. I diritti sono stati conquistati, le società si sono trasformate ed oggi viviamo quello che stiamo vivendo come risultato di processi storici lunghissimi, di lotte eterne, di persone che hanno dato la vita in Italia, nel mondo e in America latina”.
“Oggi le democrazie
e le costruzioni sociali che abbiamo sono il risultato delle lotte dei 30.000 desaparecidos in Argentina, delle lotte in Uruguay, sono il risultato di un intero processo storico, è da questo punto che lo analizzo. Credo che inevitabilmente questi processi avvengano, queste trasformazioni, non so come definirle. Molte volte ci chiedono, ci viene posta la domanda, beh stai dedicando tutta la vita a questo, ma ci riuscirai in cinque o sei anni? Non lo so, credo che sia un processo molto più grande di quanto pensiamo e che vada ben oltre la vita di una sola persona, ha a che vedere con movimenti sociali che a volte si protraggono per 50 anni, 100 anni e lotte che si trasmettono di generazione in generazione e trasformano la società. Oggi la gioventù non pensa come si pensava 30 anni fa, è un fatto concreto. Oggi abbiamo un altro tipo di pensiero, oggi c'è un’evoluzione”. 


Sonia parla di Our Voice e dell’8M, della persecuzione ed il sionismo.

“Si è trattato di un processo in tutti i sensi. Noi come femministe abbiamo uno spazio femminista in Our Voice. Abbiamo creato un intervento artistico che abbiamo portato nelle strade, l'ultimo 8 marzo di questo anno, per solidarizzare con il popolo paese palestinese e denunciare il genocidio in corso ad opera del sionismo, dello Stato sionista e genocida di Israele a Gaza”.
“Abbiamo realizzato un intervento artistico in segno di solidarietà. Poi la lobby sionista dell'Uruguay ed alcuni mezzi di comunicazione spinti da quella stessa lobby sionista, ci hanno criminalizzato, c’è stata una persecuzione mediatica, una criminalizzazione della nostra protesta ed anche della nostra libertà di espressione”.
“È stato un modo per censurare assolutamente qualsiasi pensiero che noi avevamo in quel momento e per censurare l'arte. E dopo una persecuzione mediatica, siamo state denunciate dal Comitato Centrale Israelita dell'Uruguay”.
“Come Our Voice abbiamo avuto una denuncia per incitamento all'odio, come se noi stessimo parlando contro il giudaismo, invece no, perché c'era anche un cartellone in quello stesso intervento che diceva “mai antisemita, sempre antisionista”. Quello che noi sottolineiamo sempre è che il sionismo non ha niente a che vedere con l’ebraismo. Noi denunciamo il sionismo, noi stiamo denunciando Israele, noi stiamo denunciando uno Stato che è stato creato con la pulizia etnica per 76 anni in un territorio che appartiene alla Palestina e che è la Palestina, dal fiume fino al mare. Quindi è questo che rivendichiamo attraverso l'arte e denunciamo un genocidio che ad oggi ha ucciso oltre 40.000 persone a Gaza ed in Cisgiordania”.
“Alla fine il processo non è nemmeno iniziato perché la causa è stata archiviata. Una piccola vittoria popolare, non solo nostra, ma di tutti i collettivi e di tutte le persone che dall'Uruguay, da vari paesi dell'America latina, dall'Argentina, Cuba, soprattutto le donne femministe, le donne e i dissidenti che ci hanno appoggiato. Perché l’8M rappresenta la nostra lotta come donne e dissidenti, e l’8M in Uruguay e in tutto il mondo si stava esprimendo contro Israele e per la Palestina”.
“Quindi con quell'intervento e grazie alla collettività che ci ha appoggiato, la causa è stata archiviata, ma noi sosteniamo sempre anche tutte quelle persone che oggi, in tutto il mondo, in tutta l'America latina, vengono criminalizzate per appoggiare la Palestina. Donne e dissidenti e tutte le persone in generale, e noi li appoggiamo ovviamente”.


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Sonia Bongiovanni

Parole per il popolo uruguaiano che sostiene la posizione della lobby sionista

“Prima di tutto, quello che sta succedendo lì è molto più grande di noi. Quindi ciò che ci ha colpito di più, e siamo rimasti davvero scioccati e sconvolti, è che un intervento artistico abbia fatto più scalpore di 40.000 persone assassinate”.
“Qui non stiamo parlando neanche di Our Voice, neanche di alcune persone che volevano manifestare il proprio appoggio attraverso l'arte. È questo quello che mi colpisce, non tanto quello che è accaduto a noi, il punto non è quello. Il punto è 40.000 persone assassinate, un territorio distrutto, città intere distrutte, ospedali, bombe sugli ospedali, bombe sulle scuole, bambini che ancora oggi dopo oltre un anno continuano a sanguinare in mezzo alla strada, ma di cosa stiamo parlando? Quello che direi a loro è di vedere, aprire Instagram per un secondo e vedere quello che sta succedendo, perché tutto il mondo lo vede, nessuno può dire che non esiste. Quindi come ci poniamo di fronte a quello? Perché molte persone forse non lo sanno e non sono informate, ma la verità è che agli occhi del pianeta stiamo vivendo un genocidio e non è solo la Palestina, oggi è Haiti e il Libano, e ci sono molte altre terre che sono sempre state oppresse, popoli oppressi".


Palestina in prima persona

Matías Gufantti è stato testimone diretto della barbarie durante la sua permanenza in Palestina: “L’anno scorso siamo stati lì in Palestina e abbiamo visto direttamente quello che stava succedendo, testimoniando ciò che stava vivendo il popolo palestinese. Abbiamo percepito fin dal primo momento che si trattava quasi di una dittatura occulta, una dittatura mondiale, una dittatura globalizzata e legalizzata. Una dittatura secondo l'opinione internazionale e l'avallo internazionale dei paesi del mondo, persino legittimata da molti paesi”.
“Oggi è diverso, oggi la maggioranza dei Paesi si oppone al genocidio che Israele sta commettendo, eppure Israele continua ad andare avanti. Quindi penso che quello che stiamo vivendo sia una sorta di dittatura internazionale, una dittatura globalizzata da parte del sionismo, io la vedo così, la analizzo così, l'ho interpretata così quando volevamo attraversare il confine e uno dei nostri compagni non poteva attraversarlo, è stato arrestato, L'ho interpretato così quando ho visto l'estremo razzismo che i soldati hanno nei confronti di qualsiasi palestinese, e mi riferisco a volte a bambini di 12, 8, 10 anni, non mi riferisco a persone di sempre, come si dice, o a terroristi, o a persone armate, sto parlando della popolazione. Quindi credo che quello che stiamo vivendo sia un'enorme dittatura che per certi versi è molto più forte sul territorio palestinese, ma che comunque ha un'enorme censura a livello internazionale”.
“Oggi alzare una bandiera palestinese in un concerto è sufficiente per essere buttati fuori dal concerto, questo è successo anche durante la dittatura argentina, durante la dittatura uruguaiana. Oggi dire nei media che Israele è genocida, uno stato genocida, o che Israele è uno stato terroristico, può essere motivo per farmi perseguire domani, come è successo alle ragazze durante la manifestazione dell’8M. Ci potrebbero anche denunciare per quello che stiamo dicendo in questo momento”.
“In Argentina ci sono stati esempi di persone che per aver messo un post su Facebook sono state fermate e detenute per aver parlato contro Israele.
Queste sono caratteristiche di una dittatura”.
“Non è un'esagerazione, non è un pensiero esagerato quando si dice che esiste una censura globale da parte del mainstream, da parte della lobby sionista, degli stati complici e soprattutto delle persone che non vogliono perdere gli accordi commerciali con Israele, è questo il punto. Perché il punto centrale sono gli accordi commerciali che i paesi latinoamericani e del mondo hanno con Israele”.


Voi avete paura?

Sonia Bongiovanni risponde con un sincero “Si. Credo che la paura sia un fattore umano, diceva Giovanni Falcone, giudice assassinato dalla mafia in Italia. Ma che non dobbiamo farci condizionare da quella paura perché altrimenti, diceva lui, diventa… non è più coraggio. Quindi credo che la paura sia un fatto umano che riguarda tutti. Come possiamo dire di non avere paura? Credo che l'essere umano sia fatto anche di paure”.


Ma non vi fa tacere, questa è la cosa più importante.

“È più la sensazione che se qualcosa accade in Palestina, sta accadendo anche a me. Per difendere anche un po' di quell'umanità che facciamo fatica a vedere in questa società, che non troviamo quasi più perché siamo obbligati a nascere dal primo momento in questa terra, in questo sistema. Quindi penso che sia quel sentimento che mobilita una persona, quell'empatia, quella sensazione che ciò che sta accadendo attraversa tutti noi, che non ne siamo lontani, che siamo anche noi parte di esso e che è lo stesso sistema che ci opprime anche da un altro lato, con altri privilegi, ma è lo stesso”.


Sonia che aneddoto potresti ricordare brevemente del tuo periodo in Medio Oriente, in Palestina?

“Sì, mi emoziona già solo pensarlo. Ad essere sincera tutto, tutto quello che abbiamo visto, tutto quello che ho visto con i miei occhi. Ma vi racconto questo, perché per me è molto importante”.
“Una donna con tutta la dignità del mondo, con tutto il coraggio e l'amore del mondo in casa sua, metà della quale è occupata oggi dai sionisti. A questa donna e al suo compagno, i sionisti tolsero un figlio. I sionisti, i militari sionisti, lo portarono via, lo torturarono, prima lo hanno arrestato e poi non è più ritornato.
Proprio come è successo qui in America latina”.
“Dopo di che, siamo stati nella casa di questa donna, eravamo lì con lei, oggi è un'artigiana e non solo le è stato portato via il figlio, ma anche molte altre cose che non vi racconteremo. Metà della casa è occupata dai coloni sionisti, gliel'hanno portata via con la forza e ogni giorno gettano piscio e materia fecale, scusate lo spagnolo, sul suo tetto. Ebbene, questa donna ci sorrideva e noi le abbiamo chiesto: cosa possiamo fare? Ci siamo sentiti così impotenti di fronte a una tale ingiustizia che le abbiamo chiesto: cosa possiamo fare? E lei ci ha risposto: “Parlate di loro, parlate di quello che fanno i sionisti, parlate di loro, perché noi palestinesi ci difendiamo da soli, lottiamo da 76 anni, non abbiamo bisogno di altre persone che ci difendano come se fossimo vittime, loro non sono vittime, sono i primi combattenti, sono i primi che stanno ancora combattendo oggi, stanno ancora vincendo grazie al numero di palestinesi nel mondo che stanno ancora combattendo”.


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Matias Guffanti © Our Voice


"Questo ci ha detto, di parlare di quello che loro fanno, parlare dei coloni sionisti, di questa ingiustizia, parlare di questa disumanità, di questo nazismo. Questo è quello che mi è rimasto di più. Diverse volte i sionisti, i coloni le avevano offerto di lasciare la casa, per non so quanti soldi, un milione di dollari, non so”.
“Le hanno anche proposto lo scambio con suo figlio, che gli avrebbero permesso di ritornare a casa. E lei disse di no perché per i palestinesi, al di là del dolore che stava provando in quel momento, anche quando ci raccontava tutto, la casa, il territorio, rimanere nella propria casa è la prima richiesta. Dire no ai coloni, dire no all'occupazione sionista, anche a costo di perdere un figlio”.
“Quindi io credo che di fronte a parole come queste, di fronte a fatti come questi, non puoi fare altro che raccontarlo, semplicemente”.


Matías, quale messaggio puoi dare ai giovani?

“Penso che le lotte universitarie in atto in Argentina siano un esempio. Contro Milei, ovviamente, contro lo stop dei finanziamenti alle università.
“Mi sembra sempre un fatto estremamente ammirevole ed un insegnamento per la società intera. Ricordo la protesta studentesca in Cile quando in quegli anni, per esempio, c’era, non so se ti ricordi, Camila Vallejo, che poi culminò nella rivolta di ottobre del Cile, non molti anni fa. La protesta universitaria in Argentina, in questo momento mi sembra una delle più ammirevoli, insieme ai pensionati, che si stanno organizzando e sono usciti per affrontare il fascismo di Milei”.
“La protesta universitaria anche per la Palestina si è svolta negli Stati Uniti e in molti paesi dell'Europa. Io credo che la gioventù sia un individuo politico fondamentale per la trasformazione”. "La gioventù non è il futuro. La gioventù è il presente per la trasformazione politica.
E dobbiamo intenderla così”.
“È importante non avere paura, è importante convivere con la paura, è importante affrontare questi problemi e non restare in silenzio. Qualcosa di tanto semplice, che sembrerebbe tanto semplice, ma che a volte costa tanto. Parlare di questi temi nel mainstream, tu lo sai meglio di chiunque, è quasi impossibile”.
“Parlare di quello che sta succedendo realmente dietro gli Stati, dietro il mercato, dietro il potere del sionismo, a volte è quasi impossibile. Non si può in una conversazione, non si può nell'Università, non si può in una scuola, non si può nei media. Allora bisogna rompere questa barriera, bisogna rompere questo silenzio della società che è omertoso, bisogna rompere quei limiti che cercano di porci già dall'educazione, dalle istituzioni, dallo stato, dalla legalità".
“Romperlo. Romperlo come ci hanno insegnato i giovani lungo la storia, come ci hanno insegnato le madri di Plaza de Mayo, con quella ribellione di potere andare oltre lo stabilito per ottenere delle trasformazioni reali”.


Parole finali di Sonia Bongiovanni

“Vivere con allegria le battaglie, portare avanti queste battaglie, queste rivendicazioni, qualsiasi rivendicazione che parta dal difendere i nostri diritti contro quel sistema di cui tanto parliamo, viverlo con gioia”.
“Lo dico anche a me stessa, lo dico a tutti, ai giovani ed in generale a tutte le persone che si sentono mosse in un modo o nell’altro da quello che succede a livello sociale. Viverlo con allegria, lo dico a me stessa, senza perdere la speranza e credere nell'utopia, non smettere di credere nell'utopia”.

Foto di copertina © Antimafia Dos Mil

Articolo del 17 novembre 2024

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