L'invasione ucraina della regione di Kursk, in Russia, ha sollevato molte domande sulla strategia adottata da Kiev in un contesto di apparente inferiorità numerica e logistica rispetto alla Russia. Il professore Alessandro Orsini, sulle pagine de Il Fatto Quotidiano, analizza questa mossa, a prima vista controintuitiva.
“Mykhailo Podolyak, uno dei principali consiglieri di Zelensky, ha affermato che l'invasione di Kursk è stata progettata per diffondere paura tra le fila dell'esercito russo - spiega -. Tuttavia, considerando che l'organico delle forze armate russe conta circa 2.210.000 persone, di cui almeno 1.320.000 militari attivi, è difficile immaginare che l'ingresso di poche migliaia di soldati ucraini possa generare un tale panico da destabilizzare una macchina militare così vasta. Questa motivazione sembra quindi non reggere di fronte alla realtà dei numeri e delle capacità militari in campo”.
Un'altra spiegazione avanzata da Zelensky stesso è che “l’invasione miri a costringere il presidente russo Vladimir Putin a negoziare alle condizioni ucraine - continua Orsini -. Tuttavia, questa mossa appare poco plausibile, dato che l'invasione ucraina del territorio russo non può essere paragonata per scala e impatto a quella russa in Ucraina. Mentre la Russia ha lanciato un'invasione su vasta scala, l'azione ucraina in territorio russo appare limitata e simbolica. In risposta, Putin non ha mostrato segni di voler negoziare, ma ha invece optato per un contrattacco”.
Una terza ipotesi è che “l’invasione sia finalizzata alla conquista della centrale nucleare di Kursk, con l'intento di usarla come leva di pressione contro Mosca. Tuttavia, questa strategia appare estremamente rischiosa e potenzialmente catastrofica. Un'eventuale minaccia di far esplodere la centrale potrebbe portare a una rappresaglia russa devastante, compreso l'uso di armi nucleari”, aggiunge.
La quarta spiegazione riguarda l'idea che l'invasione di Kursk possa innescare un crollo del regime di Putin. Secondo alcuni ambienti vicini a Kiev, Putin potrebbe essere isolato dai suoi generali e perdere il sostegno popolare a causa di questa incursione. Tuttavia, l'esperienza della rivolta di Prigozhin suggerisce che un attacco esterno al territorio russo tenda a rafforzare il sostegno interno a Putin, piuttosto che indebolirlo, poiché la popolazione percepisce la Nato come l'aggressore e Putin come il difensore della patria.
La quinta motivazione sostiene che l'invasione costringerà Putin a spostare truppe dal Donbass, sembra contraddetta dai fatti. Per organizzare l'invasione di Kursk, Zelensky ha dovuto ridurre la presenza militare ucraina sul fronte orientale, dove le forze ucraine continuano a perdere terreno. Al contrario, la Russia ha la capacità di mobilitare nuove truppe per difendere Kursk senza compromettere le operazioni nel Donbass.
Infine, la sesta spiegazione è quella più simbolica: l’invasione sarebbe un atto di vendetta, un modo per far sperimentare ai russi cosa significhi essere invasi. Tuttavia, questa motivazione rischia di ignorare la consapevolezza storica e politica del popolo russo, già profondamente segnato da secoli di conflitti e invasioni.
Foto © Roberto Pisana
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