Avvocato: “Dagli Usa risposte inadeguate sulle garanzie” nei confronti del fondatore di WikiLeaks
Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, ha il diritto di presentare appello contro la richiesta di estradizione negli Stati Uniti. Lo ha sancito questa mattina l’Alta Corte di Londra, riconoscendo come "non infondate" le argomentazioni della difesa del giornalista australiano sul timore di un processo non giusto oltreoceano e della mancata tutela della libertà di espressione sancita dal Primo emendamento della Costituzione statunitense. Assange è accusato negli Stati Uniti di spionaggio e rischia fino a 175 anni di prigione; le accuse sono relative alla pubblicazione di centinaia di migliaia di documenti diplomatici e militari sulle guerre in Afghanistan e Iraq.
Stando al verdetto, i giudici Sharp e Johnson non hanno ritenuto evidentemente adeguate le presunte "rassicurazioni" messe sul piatto dagli avvocati del Dipartimento di Giustizia di Washington sui due punti sollevati dai difensori rispetto alla garanzia di un giusto processo negli Usa: il rischio di una condanna a morte - prevista se non altro sulla carta per il reato contestato ad Assange di violazione dell'Espionage Act del 1917, mai contestato in oltre un secolo a un giornalista - e il timore di non poter invocare il Primo Emendamento della Costituzione americana in materia di libertà d'espressione e d'informazione. Sul primo punto i legali di Washington hanno garantito, almeno verbalmente, che la pena capitale non sarebbe stata chiesta dalla pubblica accusa statunitense, accettando - di fatto - le rassicurazioni Usa; mentre sul secondo punto si sono limitati a riconoscere ad Assange un vago diritto di fare istanza per ottenere la protezione del Primo Emendamento, pur in veste di cittadino australiano, rinviandone tuttavia la concessione concreta o meno alla futura pronuncia di "una Corte" d'oltre oceano.
Il verdetto dei giudici d'appello Victoria Sharp e Jeremy Johnson non entra nel merito del ricorso, che sarà a questo punto dibattuto più avanti. Ma riapre la partita dell'estradizione, dopo che già a marzo era stato introdotto un primo spiraglio con il rovesciamento del “No” secco opposto in primo grado dalla giustizia britannica all'istanza di ricorso della difesa. Dopo la lettura del breve dispositivo, gli avvocati di Assange si sono abbracciati in aula tra loro, mentre reazioni sorridenti riecheggiavano anche da parte della moglie di Julian - Stella Assange -, da suo padre John Shipton e fra i sostenitori radunati fuori dal palazzo di giustizia. Il cofondatore di WikiLeaks avrà ora "alcuni mesi" per preparare un nuovo "processo d'appello" con tutti i crismi, come precisa la Bbc. Anche se, nel frattempo, resta in custodia cautelare nel carcere di massima sicurezza londinese. "Per quanto ancora la mia famiglia potrà andare avanti? - ha commentato Stella Assange - Questo caso è vergognoso e sta causando danni a Julian, che da cinque anni subisce pressioni nel carcere di Belmarsh. L'ordine di estradizione avrebbe dovuto essere revocato due anni fa. Ora però è il momento affinché il presidente Joe Biden lo faccia decadere. Lancio un appello agli Stati Uniti: lasciate cadere il caso, basta".
L’editore australiano, 52 anni, ha trascorso gli ultimi cinque anni nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh (Londra) in condizioni disumane e senza alcuna condanna. In precedenza, inoltre, si era rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, dove aveva trascorso sette anni perché perseguitato a livello giuridico. Se estradato, rischia di finire nella peggiore prigione degli Stati Uniti: l’ADX Florence. Conosciuta anche come l’Alcatraz delle Montagne Rocciose. Viene considerato il carcere più sicuro del Paese, al cui interno sono reclusi più di 400 detenuti di primo livello, tra cui alcuni membri della famiglia mafiosa Gambino e terroristi internazionali. L’ex direttore della prigione Robert Hood definì l’ADX come un luogo “non fatto per l’umanità”, descrivendolo “come l’inferno”.
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