Nei libri di storia si legge che Cristoforo Colombo giunse in America il 12 ottobre 1492 sull'isola di San Salvador, nelle Bahamas. Qui di seguito proponiamo questo articolo pubblicato anni addietro nella nostra rubrica cartacea Terzomillennio. Un modo per ricordare quell'Olocausto americano di cui pochi parlano e che produsse milioni di vittime: quello dei Nativi d'America
Olocausto americano
La conquista del Nuovo Mondo
di Mara Testasecca
Non è di certo raro trovare opere letterarie sulla storia e la cultura dei nativi d'America. Spesse volte, però, le informazioni che su questo tema entrano a far parte del nostro bagaglio culturale non ci aiutano ad eliminare gli stereotipi che ci condizionano fin dalla nostra infanzia.
Chi, asce e pistole finte alla mano, non ha giocato, almeno una volta, ad “indiani e cow boy” schierandosi da una parte o dall'altra? E quante cose abbiamo sentito dire su quei “musi rossi, ladruncoli e collezionisti di scalpi” e su quei “visi pallidi” che uscivano di corsa dai saloon sparando all'impazzata per ricacciare quei selvaggi nelle loro riserve?!
Nel suo “Olocausto americano. La conquista del Nuovo Mondo”, Davide E. Sannard, prof. di studi americani all'Università delle Hawaii, documenta la storia dei pellerossa, riordinando le informazioni confusionarie di cui noi abitanti della vecchia Europa siamo in possesso.
Le guerre indiane, così eufemisticamente definite negli Stati Uniti, risalgono o, meglio, hanno inizio in quel famoso 12 ottobre 1492, data dello sbarco delle tre caravelle portoghesi guidate dall'italiano Cristoforo Colombo.
Il notevole e dettagliato lavoro dell'autore è quello di fornire decine e decine di documenti, di scritti e testimonianze per poter comprendere la dimensione umana dell'immane distruzione che ha colpito quei popoli, vittime della violenza occidentale e delle nuove malattie mortali da "noi" esportate.
Fatti che rientrano in un contesto culturale, ideologico e sociale che, inevitabilmente e con logica, devono indurci a riflettere sul fatto che razzismo e genocidio sono componenti fondamentali e non superate della civiltà euro-americana.
Un esempio per tutti è il lancio della bomba atomica su Hiroshima, testata solo 21 giorni prima nel deserto del Nevada, che provocò la morte di 130.000 persone.
Sull'isola di Hispaniola, come vennero ribattezzati i Caraibi da Cristoforo Colombo, ci volle più tempo (l'arco di qualche generazione), ma appena 21 anni dopo lo sbarco delle prime caravelle erano quasi 8 milioni le persone sterminate dalla violenza, dalla malattia e dalla disperazione. L'equivalente di oltre 50 Hiroshima.
E fu solo l'inizio.
L'alba del 12 ottobre 1492, infatti, segnò il preludio di orge di distruzione umana che toccarono, in maniera diversa, ma al pari dell'alba atomica, livelli di devastazione mai raggiunti nell'intera storia del mondo.
Per anni, fino ai tempi più recenti, gli storici hanno rivelato, regione dopo regione, un calo demografico compreso tra il 90 e il 98 per cento, con tale regolarità che il 95 per cento è considerato ufficialmente un valido criterio di approssimazione.
Le lacune nella descrizione dei contesti sociali e culturali delle due Americhe sono tante, perché solo pochi, tra le decine di milioni di individui uccisi, hanno lasciato tracce sufficienti a ricostruire la loro biografia. Di sicuro i più tremendi nemici dei nativi furono “i nemici invisibili” che gli invasori europei “si portavano con loro nel sangue e nel respiro”, vale a dire le grandi epidemie del Vecchio Mondo, dell'Africa e dell'Asia: il raffreddore, il colera, la sifilide, la tubercolosi, la febbre gialla, la difterite.
Autorevoli firmatari dei documenti storici sopracitati sono personaggi degni di nota come il nostro Cristoforo Colombo, esploratore e negriero fino a qualche anno prima della realizzazione della sua più grande avventura, alla quale si sono aggiunte quelle di Hernàn Cortes, del famoso Pizar, di Miguel de Estete (alcuni dei primi conquistatori spagnoli) o di De Soto e Fernandez de Oviedo. A questi si sommano i diari e gli scritti di missionari come Bernal Diaz e Bartolomè de Las Casas o di eminenti Governatori, di illustri puritani e quant'altri.
Nella città di Tenochtitlàn, descritta come “grandiosa e la più bella del mondo”, gli Spagnoli vennero accolti con un inaspettato rispetto. Diaz scrisse che vennero ricevuti da "un mare di nativi stretti attorno al potente sovrano azteco Montezuma" e portati sulla cima di uno dei templi. Il re mostrò loro le strade rialzate, i ponti sotto i quali le acque fluivano fresche, pulite e canalizzate per tutta la città, i templi, gli edifici sacri, le torri e le fortezze, tutte di un bianco splendente. Di sicuro gli occhi di Diaz e dell'intera legione non avevano mai visto giardini galleggianti, tanto meno quelle casse elegantemente lavorate, con quella tale quantità di oggetti d'arte, di armi intarsiate di perle e fornite di punte di rame.
In quegli anni, nel Sud, vivevano insieme agli Aztechi i Maya, i Toltechi, le tribù dell'Amazzonia, gli Inca nell'impero più vasto del mondo, esteso in un territorio come quello compreso tra le attuali città di New York e di Los Angeles. Nel Centro America, oltre all'influenza del Sud, erano stanziati i popoli Lenca, i Paya, i Sumue, i Chorotega ecc., tutti culturalmente e linguisticamente indipendenti. Nell'altrettanto immenso Nord c'erano gli Hopewell, che nel corso del tempo divennero gli epici nomadi a cavallo (anche questo importato dagli spagnoli), i quali contribuirono alla formazione dello stereotipo americano di tutte le società indiane. Questi furono i progenitori dei Mandan, dei Cree, dei Blackfoot, - Piedi Neri - insieme con i Crow, i Piegan, gli Omaha, i Cheyenne, gli Arapaho, i Comanche, le diverse nazioni Sioux, gli Apache, gli Ute e gli Shoshoni ad ovest.
Sicuramente avevano i loro problemi, le loro ingerenze territoriali, livelli di cultura differenti che si esprimevano in forme di civiltà anche austere, ma risulta storicamente unica la pulizia eccezionale di città come Cuzco, nelle quali non esistevano né serrature né chiavi, ma nulla nei palazzi veniva rubato, poiché, alla base, si confidava ad occhi chiusi nell'onestà dei cittadini per nascondere i beni e le statue d'oro dei loro sovrani morti. Sicuramente, a parte il mistero che circondava quegli scenari e quei mondi favolosi, ciò che più stupì e spaventò gli Europei riguardava piuttosto il fatto che quelle terre fossero abitate da innumerevoli tribù indipendenti che sembravano molto felici e che vivevano in assoluta libertà.
Militari degli Stati Uniti che combattono i nativi americani
A volte le società erano organizzate in vasti e complessi sistemi politici interni, come la confederazione delle cinque nazioni della Lega Irochese, che ispirò scrittori, storici ed antropologi ad affermare che la Lega ha costituito un modello per la Costituzione degli Stati Uniti. Il dibattito è rimasto acceso per molto tempo, e per quanto se ne dica dovettero trascorrere più di centocinquant'anni prima che l'uomo bianco accettasse il suffragio femminile, che era invece parte fondamentale del governo indiano. Ancora oggi negli USA non si è giunti all'abolizione della pena capitale, come avevano stabilito gli Irochesi attraverso un semplice espediente legale, insieme alla legislazione per la tutela dell'infanzia, basilare per la società irochese.
A proposito delle tribù amazzoniche, il missionario calvinista Jean de Lery scrisse, nel 1550, che "Non vi erano re, né principi e tutti erano gran signori, eccellenti artisti e manipolatori della ceramica e dell'oro".
Onestà, dignità, autocontrollo costituivano i valori cardine che venivano tramandati di generazione in generazione.
Altro fattore comune era il profondo rispetto per l'equilibrio ambientale: la Madre Terra; a prova di ciò il fatto che per millenni hanno mantenuto in modo permanente le riserve a lungo termine dei generi alimentari di origine vegetale e animale dei loro territori.
Per contro, nella vecchia Europa i problemi erano serissimi tanto che non si riusciva a distinguere chi moriva per fame da chi moriva per un'epidemia. Nelle città del XV secolo i canali di scolo sui bordi delle strade, pieni di acqua stagnante, erano usati come latrine pubbliche e sarebbe stato cosÏ anche nei secoli successivi. Persistettero inoltre cattive abitudini come, ad esempio, lasciar marcire in strada le frattaglie in decomposizione degli animali macellati, fino alle fosse comuni, quel “particolare problema di Londra”, come fu definito dallo storico Lawrence Stone. Si trattava di vaste e profonde fosse aperte, nelle quali erano ammucchiati i corpi dei poveri, fianco a fianco, una fila dopo l'altra. Si può solo immaginare il fetore e l'alto rischio di epidemie, soprattutto nella stagione umida e calda, in quanto quelle fosse venivano chiuse, cioè coperte di terra, solo quando erano piene di corpi. In tempo di carestia le città in continuo dissesto diventavano lo scenario di atti di brigantaggio e di insurrezioni popolari causate dalla mancanza di cibo. Va comunque specificato che se i prodotti dell'incuria totale erano le malattie veneree, la scabbia, le piaghe in suppurazione, per contro i nobili non avevano certo l'abitudine di lavarsi, mentre le grandi religioni predicavano la realizzazione spirituale che si raggiungeva attraverso il disprezzo del corpo, aborrendo quindi (di facciata), qualsiasi libera espressione corporea, pratica sessuale, ecc.
A livelli più alti la Chiesa era corrotta, mentre il basso clero era scoraggiato e sempre più disilluso. Erano questi gli Europei che definivano razze selvagge, lascive, incivili e lontane da Cristo, quelle che vivevano in una terra lontana ancora inesplorata, ai margini della terra.
Si diffuse subito la comune opinione che lo stile di vita dei primi indigeni scoperti era selvaggio, libertino, voluttuoso e quant'altro, così che si arrivò a distorcere (volontariamente o per distorsione di immagini?) le informazioni inerenti gli usi, i costumi e persino le forme dei loro corpi.
Così come i termini della realtà vengono rovesciati, questa forma di menzogna ufficiale si trova comunemente alla base dei falsi resoconti storici scritti dai conquistatori delle società coloniali e postcoloniali di tutto il mondo.
Voce girava che Satana in persona vivesse su una di quelle isole del mar Caraibico, quindi all'iniziale idea del paradiso terrestre si sostituì l'immagine di un continente ostile, popolato da guerrieri armati che spuntavano dalle foreste tropicali o da strane città per impedire l'avanzata dei soldati spagnoli e gli sforzi "pacificatori e missionari" dei frati.
Al Nord accadde la stessa cosa. A dimostrarlo le citazioni tratte da acclamati libri di storia di recente pubblicazione, ad esempio per quanto riguarda l'area del Rio Grande. I milioni di indiani che per secoli vissero in comunità sedentarie, e talora urbane, su questo vasto continente sono stati spesso descritti come "esigui gruppi di indigeni", i cui villaggi erano "disseminati" su una terra vergine ed un vasto spazio libero e addirittura disabitato.
by farwest.it
Resoconti che indicavano gli indiani stessi semplicemente come una parte del paesaggio, la cui cultura era nel migliore dei casi "statica e passiva".
Purtroppo nelle fasi successive della continentale “opera di pacificazione” questi nativi divennero veri e propri "pericoli ambientali", perché dimostrarono di essere “perfidi” e “bellicosi”, “avversari selvaggi” e “predatori”, la cui minaccia di “terrore notturno” ossessionò i coloni per l'intera epoca coloniale e per cui "il massacro e la tortura" divennero "la norma" che fece comprendere agli Europei il significato dell'espressione "guerra totale".
L'onorificenza di quanto sopra affermato spetta a Hugh Trevor-Roper, regio professore di storia moderna all'Università di Oxford, che all'inizio del libro "L'ascesa dell'Europa cristiana", scrive degli "sterili movimenti di tribù barbariche che vivono in pittoreschi, ma irrilevanti angoli del mondo", che non sono nient'altro che popoli senza storia.
“Forse in futuro ci sarà una storia africana che potrà essere insegnata - ammette - ma oggi non esiste o è molto limitata: c'è solo la storia degli europei in Africa così come la storia dell'America precolombiana e pre-europea. Il resto non è altro che oscurità e l'oscurità non è oggetto di storia".
E poco tempo passò prima che lo stereotipo dei nativi selvaggi e ostili subisse un'ulteriore trasformazione. Grazie a Juan Gines de Sepulveda, la successiva rappresentazione degli indiani del Nuovo Mondo fu quella di creature di natura subumana, così “destinate da Dio a essere sottomesse all'autorità di principi virtuosi o nazioni civilizzate, in modo che possano apprendere il potere, la saggezza e le leggi dei loro conquistatori e acquisire una morale più elevata, abitudini più meritevoli e uno stile di vita più civile".
E con questo si giustificò il trasporto delle prime centinaia di indigeni in Europa come esemplari subumani da mostrare a tutta la bella nobiltà, insieme ai favolosi prodotti in oro e in pietre preziose. Ma nella traversata perdeva la vita la quasi totalità di quei disperati strappati dai loro cari e chi arrivava non sopravviveva più di qualche mese. Inoltre è documentato che alla prima occasione che Colombo cadde malato i suoi uomini si scatenarono accecati dal richiamo del nobile metallo: rubarono, uccisero, violentarono e torturarono i nativi nel tentativo di costringerli a rivelare dove si trovassero i presunti tesori.
Bartolomé de Las Casas, il più famoso dei missionari spagnoli che prese parte a quel secondo viaggio, descrisse quegli scenari d'orrore col particolare di re Hutuey della tribù Cacique che fuggì con altri disperati a Cuba. Fu catturato, massacrato e bruciato vivo con gli altri per il poco oro che portava con sé. Al francescano che, mentre lo stavano legando al rogo, lo esortò a lasciar entrare nel suo cuore Gesù così la sua anima sarebbe andata in paradiso, rispose che se il paradiso era il luogo dove andavano i cristiani allora preferiva andare all'inferno. Sì, perché quei bravi e "pacificatori" cristiani mozzavano le mani, spezzavano i polsi, strappavano i seni, sventravano, tagliavano la testa a bambini innocenti, infilzavano con la spada i corpi dei neonati, sgozzavano senza preavviso intere famiglie o comunità sedute nei loro intenti. Questi avevano solo il tempo di sbalordirsi alla vista dei guerrieri e delle giumente perché nel giro di pochi minuti, dall'interno degli edifici dove si svolgevano le comuni mansioni, provenivano torrenti di sangue. Alcuni di loro venivano appesi in file di 12 in un unico patibolo abbastanza basso da permettere alle dita dei piedi di toccare il terreno (al fine di evitare lo strangolamento), per poi venire squarciati con un colpo (facendo fuoriuscire le interiora). Tutto ciò accadde nei Caraibi, a Cuba e nell'attuale Honduras. In Messico gli invasori trovarono un po' di resistenza, perché in quella terra c'era un'ottima esperienza di guerra. Gli indiani erano formidabili nei combattimenti singoli: i loro guerrieri erano pari e superiori a tutti i militari spagnoli che, per indole, erano vigliacchi. Seguì poi la rivolta delle altre tribù e degli stessi popolani che reagirono rimproverando i loro capi di essere stati troppo leggeri nell'accogliere quei "trucidatori venuti da lontano".
Quando questi ultimi si ritirarono lasciarono dietro di loro l'invisibile e più terribile nemico: il vaiolo che, tra gli Aztechi, fece una strage apocalittica per il fatto che essi mangiavano e dormivano insieme. In più, avendo l'abitudine di farsi il bagno per curare ogni disturbo il contagio divenne incontrollabile: furono letteralmente stroncati dalla malattia e dalla conseguente carestia.
Per giustificare le loro violenze gli Spagnoli si fecero scudo del fatto che Aztechi ed Incas commettevano sacrifici umani, ma alcuni ricercatori attuali contemporanei hanno cominciato a sostenere che la portata dei sacrifici umani commessi dai nativi di queste terre sia stata ingigantita dai Conquistatori del Nuovo Mondo.
Piccolo dettaglio: anche se la cifra di ventimila guerrieri nemici (catturati in battaglia) sacrificati all'anno fosse esatta, è bene specificare che durante l'assedio di Tenochtitlan gli invasori Spagnoli ne massacrarono il doppio ogni giorno uccidendo indiscriminatamente innocenti, donne, bambini, anziani. L'invasione si propagò a macchia d'olio e si consumarono pure le guerre per la spartizione dei territori tra Spagnoli e Portoghesi nell'attuale territorio compreso tra Brasile, Argentina e Paraguay.
Las Casas scrisse che Pedro de Alvarado, insieme ai suoi fratelli e a tutti gli altri, avrebbero ucciso tra il 1525 e il 1540 (15 -16 anni) più di 4,5 milioni di persone. La lista delle torture inflitte non ha nulla da invidiare a quelle espletate durante l'Inquisizione o nel più oscuro dei regimi.
E con le donne? Tranquilli. Oltre alle migliaia e migliaia di ragazze, mamme e nonne scarnificate e uccise, Michele da Cuneo, nobile italiano, descrive ben bene come dopo aver frustato a sangue una bellissima donna caraibica donatagli dall'ammiraglio raggiunse "un accordo tale che dopo aver fatto l'amore sembrava cresciuta in una scuola di bagasce".
Il grand'uomo esprime quindi un atteggiamento verso le donne violentate che sarebbe ben presto divenuto l'elemento basilare delle più sadiche e pornografiche fantasie maschili: le era piaciuto.
Il libro Maja di Chilam Balam spiega "Ciò che l'uomo bianco fece quando arrivò alla nostra terra: ci hanno insegnato la paura e hanno fatto appassire i fiori. Perché potesse vivere il fiore della loro civiltà, hanno mutilato e distrutto il fiore degli altri popoli. Predoni di giorno, criminali di notte, assassini del mondo".
Per ricercare l'oro, l'argento e le pietre preziose era necessaria una quantità infinita di duro lavoro ed era molto più conveniente sfinire gli indiani fino alla morte per poi sostituirli con altri nativi piuttosto che nutrirli e prendersi cura di loro. Pare che le speranze di sopravvivenza di un indiano sottoposto a lavoro forzato in una miniera o in una piantagione non superasse i tre o quattro mesi, tempo pari all'incirca a quello dei deportati costretti alla lavorazione della gomma sintetica di Auschwitz, durante la seconda guerra mondiale.
Nella seconda metà del sedicesimo secolo, mentre Spagnoli e Portoghesi erano intenti a "pacificare" i popoli indigeni del Messico e delle regioni meridionali, gli Inglesi erano impegnati con gli irlandesi nel nord del Nuovo Continente.
I britannici si consideravano il popolo più civile della terra per cui approvarono subito la dichiarazione di Oliver Cromwell, cioè che Dio era inglese. Tra il 1550 e il 1600 Spagnoli, Francesi e Inglesi raggiunsero con regolarità le acque al largo della costa della Florida, della Georgia, della Carolina e della Virginia con predatori che si recavano nell'entroterra per catturare schiavi e diffondere malattie e distruzione . Padre Rogel, gesuita che era vissuto nella popolosa Florida scrisse a proposito della Virginia: "Ci sono più persone qui che in tutte le terre che ho visto lungo la costa".
25 anni dopo le truppe colonizzatrici britanniche raggiunsero Jamestown. Trovarono una terra, scrisse uno di loro, "che promette più della terra promessa; invece del latte trovammo le perle e oro invece del miele". Schermaglia dopo schermaglia furono uccisi centinaia di indiani perché a false proposte di pace seguivano complotti che miravano all'avvelenamento in massa, dopodiché, una volta placati gli indiani con false promesse, i coloni tornavano all'attacco in una continua carneficina.
Il Primo Governatore dalla colonia della baia del Massachusetts nel 1634 scrisse che i 4000 coloni puritani erano in ottime condizioni di salute: "Grazie all'eccezionale provvidenza del Signore non sono morte più di 2 o 3 persone per semplici febbri ricorrenti. I nativi invece sono quasi tutti morti di vaiolo, così Dio stesso ha messo in chiaro il nostro diritto su ciò che possediamo".
In virtù di ciò gli inglesi penetrarono in massa nell'accampamento indiano, squarciando e colpendo tutto ciò che si muoveva e appiccando il fuoco. Le dichiarazioni degli stessi puritani sono agghiaccianti. Cotton Mather, - teologo puritano - scrisse: "... in poco più di un'ora il mondo fu liberato da 500, 600 seicento selvaggi Pequot. Fu giusta opera di Dio".
Ai sopravvissuti spettava di essere cacciati fino all'annientamento, stanati, catturati, venduti come schiavi o legati mani e piedi per essere gettati nell'oceano, donne e bambini compresi. E questa abitudine europea di uccidere donne e bambini durante le ostilità con i popoli nativi delle Americhe non fu solo un'atrocità. Si trattò chiaramente di un genocidio intenzionale perché nessuna popolazione può sopravvivere senza donne e bambini. Mentre i nativi di tutte le tribù cercavano di resistere per mantenere il possesso del loro territorio, sempre più gli immigrati bianchi occupavano le colline, i prati e i boschi, soprattutto in cerca di oro. Presero possesso delle riserve e delle scorte indiane, li costrinsero a firmare trattati di cessione, li cacciarono nei boschi e acquistarono filoni minerari nelle terre ormai sgomberate, uccidendo bisonti e selvaggina in quantità industriale con il deliberato risultato di ridurli alla fame. Alcuni ceppi come i Cherockee resistettero pacificamente, altri no. Storie come quelle di Geronimo o Cavallo Pazzo non sono solo frutto di leggende, ma la loro estrema resistenza risultò vana; le città inglesi continuavano a moltiplicarsi e i coloni continuavano a premere verso le terre e le valli circostanti.
Lo schema terribile e carico di morte era comune, agli indiani non restava che apprendere l'autodifesa, mentre veniva richiesta la comprensione del concetto europeo di guerra, vale a dire che le promesse degli Inglesi venivano infrante ogni volta che gli obblighi fossero stati in contrasto con la convenienza; che l'idea di guerra degli Europei non conosceva né scrupoli né pietà, e che le armi di fattura indiana erano pressoché inutili contro le armi europee. Anche nel Nord le stime di distruzione degli autoctoni si calcolano per l'80-90% senza nessun appunto e ripensamento. Gli indiani dopo tutto non erano tanto diversi dai lupi, per cui non c'era ragione alcuna di sentirsi moralmente oltraggiati quando si veniva a sapere che, tra tutte le atrocità commesse, le truppe vittoriose si erano dilettate a scorticare quei corpi "dalle anche in giù, per fare coperture per gli stivali o gambali".
Un altro esempio.
Nel Colorado, territorio dei Cheyenne, si toccò il fondo dal 1864 in poi.
Una famiglia di coloni fu uccisa da un gruppo di indiani; di quali indiani si trattasse nessuno lo sapeva e nessuno se ne curò. A ciò seguì un'autorizzazione governativa ufficializzata e ratificata dal governatore, che aveva annunciato di uccidere con debito pagamento, di perseguitare e distruggere tutti quei "diavoli rossi”. La frase di raccolta delle truppe era: “le lendini fanno i pidocchi”. I pidocchi erano gli indiani e le lendini i loro figli. L'unico modo di liberarsi dei pidocchi era uccidere anche le lendini. Un chiaro anticipo in questo caso del colonnello Chnington; questa citazione risalirebbe a un po' più di mezzo secolo prima che Himmler definisse lo sterminio di un altro popolo - quello degli Ebrei - “simile alla disinfestazione dei pidocchi”. Quei pidocchi avevano volontariamente rinunciato alle armi per dimostrare che non erano ostili, avevano tenuto solo quelle per la caccia al bisonte. I massacri avvennero nonostante questi sventolassero le bandiere bianche. I resoconti dei testimoni con riferimento a nomi e cognomi ben definiti sono stomachevoli: ho visto interi villaggi - con la quasi totalità di donne e bambini - dove non c'era alcun cadavere che non fosse stato privato dello scalpo o con parti mutilate (con la pelle dei testicoli ci facevano borsellini).
Senza commento l'unico punto su cui i puritani del New England ed i cattolici della Spagna si trovavano d'accordo: la possibilità di redenzione di “quei selvaggi”.
Per citare un esempio, il ministro puritano John Robinson si era lamentato con il governatore di Plymouth del fatto che, benché un gruppo di indiani meritasse di essere ucciso, “sarebbe stato molto bello se li aveste convertiti!”.
Successe anche che gli indiani smisero di concepire nuove vite e successe che le ruberie notturne di quei "cani rossi" divennero l'ulteriore esplicito sostegno della guerra in termini di sterminio.
Tale guerra per annientare gli indiani era già in corso, ammise il governatore Peter Burnett, che aggiunse: “Deve continuare a essere condotta tra le razze fino a quando gli indiani non si saranno estinti”.
E così fu; i calcoli sono inadeguati anche se le stime del 95-98% (siamo nel 1800) risalgono a quando la popolazione era già stata ridotta selvaggiamente dalle precedenti invasioni e dalle pestilenze. In tutto il paese, in questo periodo, solo un terzo dell'1% della popolazione americana - duecentocinquantamila su settantasei milioni - era composto da nativi.
Il peggiore olocausto a cui l'umanità abbia mai assistito, dilagato in due continenti, senza sosta, per quattro interi secoli consumando le vite di milioni e milioni di persone, finalmente si era fermato.
Un immane olocausto che ebbe radici profonde in una tradizione che lo predisse, lo preparò e lo portò a compimento.
Alla fine non era rimasto quasi più nessuno da uccidere.
Il libro, l'opera di David E. Stannard non si conclude qui. La terza parte, intitolata sesso, razza e guerra santa collega la storia al presente, poiché negli stessi Usa anche la gente di colore ha attraversato un periodo durissimo.
“Il comportamento dei bianchi era irrefrenabile - scrive Toni Morrison - intere città erano state ripulite dai negri; solo nel Kentucky c'erano stati ottantasette linciaggi in un anno; quattro ragazzini di colore erano stati bruciati; adulti frustati come bambini, bambini frustati come adulti; donne nere violentate; proprietà rubate, colli rotti. E l'odore di 'carne, carne e sangue caldo arsi dal fuoco del linciaggio' era dappertutto”.
In molti, nel corso dell'ultimo millennio si sono posti le stesse domande: chi erano queste persone le cui menti e le cui anime alimentavano cosÏ avidamente lo sterminio di musulmani, africani, indiani, ebrei, zingari e altre minoranze etniche, religiose e razziali?
E ancora: chi sono quelli che ancora oggi continuano un simile e immenso massacro?
Ancora oggi gli indiani che vivono nelle terre tribali che ancora esistono, poco più del 2% del territorio più inospitale degli Stati Uniti, corrono continuamente il rischio di perderne il diritto.
In Guatemala, dove gli indiani costituiscono il 60% della popolazione, il moderno "requerimiento" (in spagnolo 'ingiunzione', era una dichiarazione di sovranità letta dai conquistadores spagnoli ai nativi) induce i popoli indigeni a scegliere se accettare che le loro terre siano confiscate dal Governo e che le loro famiglie siano impiegate nel lavoro forzato sotto il controllo dei padroni ladino o criollo, oppure essere assoggettati alle violenze degli squadroni militari di morte. Chi fornisce armi e poteri a queste truppe militari?
In South Dakota, il moderno "requerimiento" preme sul 6% di indiani rimasti affinché scelgano se lasciare le riserve ed entrare a far parte della società americana, dove saranno gente priva di cultura in una terra in cui i poveri di colore subiscono un'oppressione sistematica e vivono in situazioni sempre peggiori di disuguaglianza, oppure rimanere nelle loro riserve e tentare di conservare la loro cultura in mezzo alla rovina della povertà, col sostegno economico di qualche squallido Casinò pieno dei loro souvenir.
Così va il mondo.
Ognuno dei genocidi consumati è stato unico e distinto per una ragione o per l'altra. In qualche caso è la percentuale di persone uccise a renderli unici. In altri ancora è il periodo di tempo estremamente limitato in cui il genocidio ha avuto luogo. In altri ancora è proprio il vasto arco temporale in cui si è svolto a conferire unicità. Certamente il freddo utilizzo di strumenti tecnologici di distruzione, come le camere a gas, e i metodi burocratici e sistematici, da catena di montaggio, rendono unico l'olocausto ebreo. D'altra parte però, anche il selvaggio uso di mezzi non tecnologici, come sguinzagliare cani addestrati e affamati per far loro divorare neonati o bruciare e fare a pezzi gli abitanti di intere città, rende unico il genocidio degli indiani compiuto dagli Spagnoli prima e dalle altre nazioni europee a seguire.
Per noi di Terzo Millennio la domanda più indignata ed urgente rimane: si potrà fermare tutto questo?