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Più di 500 popoli hanno scelto l’isolamento

L'arrivo di Colombo nel nostro territorio, che la spedizione chiamò America, comportò uno scontro culturale che continuiamo a vivere ancora oggi. Dall'imposizione di nuove abitudini e religioni alle migliaia di morti causate dalle malattie portate dall'Europa. Dopo circa 530 anni di resistenza attualmente possiamo vedere molti popoli originari, definiti oggi “indiani urbani” riferendosi a quei popoli che non vivono più nelle loro terre, che per decisione propria o perché sono stati estromessi oggi vivono nelle città, convivendo con la società ma mantenendo le proprie radici ed abitudini.
Ma non è questo il caso dei 200 popoli originari che contano circa 10.000 membri, che vivono in isolamento volontario nell'Amazzonia. Queste sono le cifre indicate nel rapporto della Corte Interamericana per i Diritti umani (CIDH) dato che il numero non è preciso per la  mancanza di un censimento ufficiale. La Coordinatrice delle Organizzazioni Indigene della Cuenca Amazzonica (Coica) sostiene invece che sono circa 511 i popoli indigeni in isolamento in Amazzonia, con ben 500 lingue diverse.

Isolamento volontario
La parola isolamento, per la nostra società, ha una connotazione negativa. Soprattutto quando l'isolamento è stato obbligatorio nei primi mesi di Covid-19. Tuttavia ci sono popoli originari che preferiscono farlo volontariamente, senza avere contatti con le autorità o le città vicine.
Secondo la CIDH i popoli indigeni in isolamento volontario sono quei popoli che non furono colonizzati e che non hanno attualmente relazioni permanenti con le società nazionali prevalenti. E specifica: “Sono popoli che scelgono in qualche modo di non avere contatti con la popolazione non indigena ma, essendo in condizioni di vulnerabilità, lo Stato deve comunque proteggerne i diritti fondamentali”.
Nel proteggere i loro diritti lo Stato è mezzo secolo indietro. E le condizioni di vulnerabilità derivano dai governi stessi e dai loro affari: industrie estrattive, sfruttamento pubblico di risorse naturali come fonti di energia, business agro alimentari. Ma anche dal crimine organizzato che si espande insieme al settore minerario, la pesca ed il disboscamento illegale.
La chiave non sta nella difesa e protezione delle loro terre. È una visione semplicistica. La visione corretta è riconoscerli come popoli originari che vivono ancestralmente nelle loro terre. Riconoscerli e non  averne cura come se  fossero un patrimonio.
E se prima d'ora non sapevamo nulla di loro non è perché non esistevano ma perché l'Amazzonia è tanto grande che ancora non “stavano disturbando” in terre potenzialmente ricche per lo sfruttamento.

Sentenza della Corte Interamericana per i Diritti umani (CorteIDH)
Per la prima volta due popoli che vivono in isolamento volontario in Ecuador hanno presentato alla CIDH le loro rivendicazioni attraverso organizzazioni indigene ed ambientaliste in loro difesa. Hanno esposto che l'attività petrolifera che si sviluppa sul posto ha ridotto il loro spazio ancestrale e non si è tenuto conto di quanto questa attività produttiva colpisca i ritmi stagionali di semina e raccolta.
La corte ha concluso che “non è possibile intervenire sui loro territori per sfruttamento economico quando questo può entrare in conflitto con la salvaguardia della loro sussistenza”. Ora lo Stato ecuadoriano deve cercare una soluzione conciliante.
Nel frattempo in Perù il governo ha recentemente riconosciuto legalmente cinque popoli indigeni che vivono in isolamento nell’Amazzonia. Si tratta dei popoli Aewa, Taushiro, Tagaeri, Taromenane e Záparo. Per proteggere le terre abitate da questi popoli il Perù ha creato riserve naturali.
La CIDH riconosce l'isolamento volontario come parte dell'autodeterminazione dei popoli e la posizione dello Stato deve essere quella di vigilare sui loro diritti basilari in considerazione del fatto  che si tratta di comunità estremamente vulnerabili.
L’effettivo godimento del territorio fa riferimento a “La protezione dei diritti umani di una collettività che basa il proprio sviluppo economico, sociale, spirituale e culturale sul rapporto con la terra”, ha dichiarato la CIDH.
Che esistano popoli in isolamento volontario non significa che lo Stato non deva fare niente per garantirne i diritti basilari. Ma anzi deve necessariamente pensare ed agire con cognizione della cosmovisione di questi popoli. I diritti che come società moderna pretendiamo ci siano garantiti non sono gli stessi di cui ha bisogno un popolo indigeno. Accesso all'acqua, salute, educazione non sono richiesti da questi popoli che vivono in isolamento volontario (come invece lo sono da parte di quei popoli che vivono vicino alle città, come i wichí in Argentina).
Ma è dovere dello Stato riconoscere la loro autodeterminazione e far sì che siano garantite le condizioni fondamentali affinché la loro vita si esplichi.

Foto: it.depositphotos.com

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