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L'intervista de “Il Fatto Quotidiano” a Luca Bonaccorsi, direttore della Finanza Sostenibile dell’ONG Transport & Environment e tra gli autori del rapporto approvato quasi all’unanimità dalla Platform for Sustainable Finance (PSF), mette in luce l’accordo che Italia e Francia hanno stipulato per difendere i propri interessi e tenersi a debita distanza dal Green Deal e dal Trattato di Parigi.
Secondo il gruppo ufficiale di esperti convocato dall’Unione Europea per redigere l’elenco delle fonti energetiche “green”, l’atto delegato della tassonomia verde proposto dalla commissione Europea lo scorso 31 dicembre non può prevedere la qualificazione del nucleare e del gas come energie “green” e quindi, neanche il loro inserimento tra gli investimenti necessari per la transizione ecologica. “Né nucleare né gas fossile, pur potendo avere un ruolo nell’uscita dal carbone, possono essere inseriti tra le fonti di energia etichettabili come sostenibili” sostiene Luca Bonaccorsi.
E aggiunge “la bozza di legge è anche il più grande incentivo della storia per la produzione di biogas”. Il piano di Bruxelles è quello di incentivare la produzione di biogas proponendola come attività “green”, per sostituire gradualmente i combustibili fossili con altri carburanti a bassa intensità di carbonio, come appunto biogas o idrogeno, con grado di miscelazione del 30% entro gennaio 2026, del 55% entro gennaio 2030 e arrivando alla sostituzione totale entro il 2036. Nonostante l’obbligo di legge, Bruxelles non ha ancora svolto alcuna indagine a riguardo.
Secondo lo studio della Platform for Sustainable Finance, spiega Luca Bonaccorsi, “per rimpiazzare il solo carbone con il biogas, come prevede la legge, dovremmo destinare più del 20% della terra coltivabile al mais, per esempio, e produrre tre volte l’attuale quantità prodotta” e per sostituire tutto il gas “ci vorrebbe l’80% della terra arabile”. Questo potente incentivo rischia di provocare “un disastro paragonabile solo a quello che l’olio di palma e la soia stanno causando in Asia e nell’America del Sud”.
Per quanto riguarda la seconda alternativa, l'Idrogeno verde, il problema è molto più semplice: “Per ottenere un litro di idrogeno verde ci vogliono tre unità di energia. E quando bruci questo gas nella centrale produci appena una unità di energia”. Il mito dell’idrogeno pulito “è una favola che hanno inventato le lobby per sostenere che non stanno costruendo le centrali a gas, ma le centrali dell’idrogeno del futuro”.
Riguardo il nucleare, la Platform for Sustainable Finance si dichiara contraria bocciando l’energia dell’atomo che, a detta di Bonaccorsi, “non può rientrare nella Tassonomia verde che si basa su una serie di principi, non solo quello di dare un contributo ad almeno un obiettivo ambientale, ma anche quello di non arrecare danno (DNSH) agli altri cinque obiettivi”. I 6 obiettivi inseriti nella tassonomia consistono nella mitigazione e nell’adattamento ai cambiamenti climatici, nella salvaguardia e nella sostenibilità dell’uso delle acque e risorse marine, nella transizione verso un’economia circolare, nella prevenzione e nel controllo dell’inquinamento, nella protezione e nel ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.
Per questo, specifica Bonaccorsi, il nucleare presenta un enorme problema; infatti, “le scorie sono il rifiuto più inquinante che il pianeta conosca e ad oggi non esiste nessuna tecnologia che ci faccia pensare a come processarle e utilizzarle”.
“Il vero problema è la tempistica, perché per costruire l’impianto devi oggi o accedere a un prestito o emettere un bond, chiamandolo green perché prometti di utilizzare poco la centrale” spiega Bonaccorsi.
In questo modo il finanziamento arriva, addirittura ad un tasso agevolato, ma solo tra molti anni, si capirà, grazie agli effetti dannosi che verranno rilevati, che l’investimento nel nucleare non è per niente verde. E a quel punto, però, “i soldi saranno già stati distribuiti e spesi. Quest’ultimo criterio è una truffa totale ed è stato disegnato per l’Italia”.
Riguardo al gas fossile, i parametri stabiliti dalla Commissione “permettono emissioni di CO2 ben al di sopra della soglia minima per non arrecare danno al clima, per l’intera durata dell’investimento e sono incompatibili con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi” ricorda Bonaccorsi.
Se è vero che il gas causa meno emissioni di gas serra rispetto al carbone, è vero anche che non può rientrare nelle fonti di energie pulite, soprattutto quando sfora il limite di 100 grammi di CO2 per kilowattora nelle emissioni dirette e indirette. Senza contare le fuoriuscite di metano durante l’estrazione e lungo la rete, difficili da calcolare. Il metano è un pericoloso gas serra, tanto che, durante la COP26 di Glasgow, è stato escluso dalla tassonomia, se non bilanciato da tecnologie di cattura e stoccaggio di anidride carbonica. Queste, però, precisa Bonaccorsi, “non funzionano e costano molto”.
Bonaccorsi sostiene che l’atto delegato sia frutto di un accordo tra Italia e Francia, le quali principalmente vorrebbero poggiare la propria sicurezza energetica rispettivamente su gas e su nucleare. “L’apertura sul gas fa comodo a tutti, dalla Germania alla Polonia, ma il testo della Commissione sembra studiato per dare la patente green a tutte le centrali a gas che vuole fare l’Eni”, spiega il direttore della Finanza Sostenibile dell’ONG Transport & Environment, “per permettere al nostro Paese di fare questa ondata di investimenti in centrali, accedendo ai finanziamenti pubblici destinati ai progetti green”.
La Commissione Europea sta attualmente valutando la richiesta di rimandare l'adozione dell'atto delegato, in modo che la bozza di legge venga cambiata radicalmente.

Foto: it.depositphotos.com

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