Dopo il G20, la COP26 doveva essere l’ultima occasione per contrastare la crisi climatica, ma i leader dei quasi 200 Paesi partecipanti sembra abbiano voluto fare piuttosto un passo indietro. I risultati raggiunti non hanno, infatti, soddisfatto il mondo che seguiva la conferenza in attesa di decisioni risolutive drastiche.
La ventiseiesima Conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite sarebbe dovuta terminare la sera di venerdì 12 novembre, dopo quasi due settimane di lavori dal suo inizio. Ma l’accordo dei governi è stato raggiunto solo la sera di sabato 13.
Il documento finale firmato dai Paesi presenti rappresenta una vera e propria sconfitta per il pianeta, mentre accontenta le grandi compagnie dei combustibili fossili. Dopo diverse bozze, il linguaggio è stato ammorbidito ed indebolito per andare incontro alle lamentele dell’India e della Cina. Quello che doveva essere un processo di “eliminazione graduale” del carbone è diventato una “riduzione graduale”. Riduzione, tra l’altro, che riguarderà solo l’energia a carbone le cui emissioni non possono essere riassorbite tramite la cattura e lo stoccaggio di CO2.
Mentre l’India e la Cina hanno ottenuto ciò che avevano richiesto, paesi come le Isole Marshall e le Isole Fiji sono rimaste sgomente e “a bocca asciutta”. In effetti, proprio quest’ultime si erano fatte portavoce di richieste di aumento dei finanziamenti per i 134 Paesi attualmente più vulnerabili nel mondo, i quali rappresenterebbero l’85% della popolazione mondiale. Queste nazioni stanno già subendo sulla loro pelle i gravissimi danni della crisi climatica. Ma nemmeno davanti a tale urgenza si è riusciti a concordare una riapertura dei negoziati. In particolare, gli USA e la UE non hanno voluto scendere ad alcun compromesso. Nessuno ha voluto assumersi la responsabilità delle proprie emissioni.
È rimasto l’impegno a non superare la soglia di +1,5 gradi centigradi rispetto alle temperature precedenti alla rivoluzione industriale. Risultato che, alla luce dei grandi passi indietro fatti durante la conferenza, appare però impossibile da raggiungere. Entro il 2030, le emissioni di anidride carbonica dovrebbero abbassarsi del 45%, mentre per il 2050 dovrebbero arrivare a zero nette. Analizzando però le emissioni dell’Unep, non solo questi obiettivi risultano irraggiungibili, ma la temperatura dovrebbe addirittura alzarsi fino a +2,4 gradi. Rispetto a ciò, il documento approvato raccomanda ai Paesi di rivedere i propri impegni entro il 2022. Dopo due settimane di lavori e tre bozze, i risultati raggiunti sono stati decisamente deludenti. Ma forse, non ci si poteva aspettare qualcosa di diverso.
In effetti, durante il corso di tutti i lavori, il summit dell’ONU è stato accompagnato da una lunga serie di proteste e manifestazioni contro l’ipocrisia delle COP. A presidiare la zona circostante all’edificio in cui si teneva la conferenza c’erano numerose realtà, accumunate dalla rabbia e dalla frustrazione nei confronti di una politica che ancora si rifiuta di agire per rallentare la crisi ecologica, provocata proprio dalle azioni e dalle decisioni ambientali dei governi del mondo. Extinction Rebellion e Fridays Future guidavano le fila, con diverse modalità, ma mandando un unico messaggio. Sui social, Greta Thunberg ha commentato in modo molto chiaro la fine della COP26: “La Cop è finita, ecco un breve riassunto: bla, bla, bla. Ma il vero lavoro continua fuori da queste sale. E non ci arrenderemo mai, mai”.
Tra le grida di protesta, emergono quelle delle popolazioni indigene che hanno denunciato una vera e propria “continuazione del colonialismo”. Le voci di coloro che più di chiunque altro proteggono la terra dalle grinfie delle multinazionali rimangono ancora inascoltate all’interno della COP26. Dagli Accordi di Parigi, almeno 1,005 attivisti che lottavano per la difesa dei diritti della natura sono stati uccisi. Di questi, un terzo sono persone appartenenti a tribù indigene. È chiaro che le politiche adottate dall’ONU durante le Conferenze sui Cambiamenti Climatici hanno da tempo rinunciato ad avere come obiettivo la reale protezione del pianeta e quindi la sopravvivenza dei popoli indigeni.
Il dissenso non è rimasto, però, solo fuori dal summit. La mattina di venerdì 12, infatti, centinaia di rappresentanti della società civile sono usciti dalla conferenza in segno di protesta. Gli attivisti si sono poi uniti alla folla che stava manifestando fuori dall’edificio.
Questa COP avrebbe dovuto distinguersi da quelle precedenti per l’inclusività, ma sono state molte decine le persone che, nonostante fossero riuscite a ricevere il permesso di partecipare, hanno denunciato con forza il fatto di essere state escluse dagli spazi in cui si svolgevano le effettive negoziazioni.
A lasciare la conferenza sono stati rappresentanti dei popoli indigeni, giovani, accademici, sindacati e tanti altri. Prima di uscire, davanti alla People’s Plenary, hanno denunciato la profonda ipocrisia di tutti gli esponenti politici e di tutti i rappresentanti dei governi presenti alla COP. “La Cop26 è una performance” è il messaggio che ha voluto trasmettere l’attivista indigena Ta'Kaiya Blaney della Tla A'min Nation poco prima di lasciare l’edificio. Le parole usate sono state forti e dirette: “È un’illusione costruita per salvare l'economia capitalista radicata nell'estrazione delle risorse e nel colonialismo. Non sono venuta qui per correggere l’agenda, sono venuta qui per distruggerla”.
Adesso sono in molti che aspettano la COP27, che si svolgerà in Egitto il prossimo anno. Ma attivisti ed esperti, ovviamente, non ripiegano in tale ulteriore ed ipocrita conferenza le proprie speranze e non aspetteranno altri 12 mesi senza che nulla cambi. Non è ammissibile, infatti, procrastinare ancora una forte prese di posizione che riguardano la nostra stessa sopravvivenza, come genere umano. Viviamo una gravissima crisi ed ingiustizia ecologica ed è folle e profondamente preoccupante che, nei vertici alti del potere politico, nessuno si opponga a tutto questo. Il tempo non è più solo agli sgoccioli, ma è finito. I nostri rappresentanti politici hanno dimostrato di non volere agire in difesa dell’ambiente in diverse occasioni e la COP26 non ha fatto altro che confermare tutto questo. Ancora una volta si è preferito difendere gli interessi di banche, multinazionali e lobbies, invece di rappresentare il volere del popolo e il benessere dell’ambiente da cui dipende il nostro stesso futuro.
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