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Alla vigilia di un vertice sul clima essenziale come quello del COP26, tenutosi ormai qualche settimana fa, è trapelato un documento particolarmente critico, che rivela la posizione assunta da alcuni dei più importanti paesi produttori di combustibili fossili e carne: una posizione che ha subito allarmato e che continua tutt'ora ad allarmare moltissimi ambientalisti.

Il documento è stato diffuso grazie al gruppo di giornalismo investigativo Unearthed, di GreenPeace UK e mostra il vero modus operandi di paesi come Australia, Arabia Saudita, Giappone, Brasile ed Argentina.

Vengono analizzate, all’interno del documento, come alcuni tra i più importanti ed influenti paesi al mondo stiano tentando di influenzare ed ostacolare, naturalmente per interesse, l’IPCC. Tali paesi seguono una logica che va a beneficio di gruppi di lobbies economiche internazionali legate al mercato della carne e dei combustibili fossili.

L’IPCC, gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico creato dalle Nazioni Unite, è definibile a tutto tondo, in effetti, come una delle maggiori autorità globale sul cambiamento climatico e ha pubblicato una media di 8 reports tra il 2015 ed il 2021.

Tra i suoi più ambiziosi progetti, possiamo sicuramente trovare “The Sixth Assessment Report”, all’interno del quale sono presenti ricerche ed evidenze scientifiche fornite da centinaia di scienziati volontari, informazioni utili, trasparenti e necessarie affinché gli stessi governi possano essere informati e consapevoli. Il report fornisce anche una solida base scientifica riguardo il cambiamento climatico.

La notizia che è tuttavia trapelata ha mostrato come molti governi - tra i più influenti all’interno dell’economia, del mercato globale - stiano tentando di rimuovere ed indebolire parti del report legate alla graduale eliminazione dei combustibili fossili e del consumo della carne.

L’impatto ambientale dei carbon-fossili sul pianeta è di giganti proporzioni. In effetti, ad oggi esso è responsabile della metà delle emissioni di gas serra a livello globale: la sua pericolosità è quindi evidente.

Arabia Saudita ed Opec insieme producono circa il 40% del petrolio mondiale, mentre l’Australia è tra i maggiori esportatori di carbone e di gas. Ma la rimozione dei combustibili fossili non rientra nell’annovero di azioni urgenti per limitare il cambiamento climatico per questi paesi, visto e considerato che andrebbe contro gli interessi economici dei paesi stessi.

L’Arabia Saudita sostiene che “non è necessaria un’azione urgente, immediata, per affrontare la crisi climatica”, e addirittura “l’uso della parola trasformazione dovrebbe essere evitato in quanto porta con sé delle implicazioni politiche”.

La retrovia proposta dall’Arabia Saudita e conseguentemente supportata da Australia ed OPEC è quella della DAC, ovvero la “Direct Air Capture”: tecnica non collaudata, che rischierebbe di portare ad una crisi climatica irrecuperabile, arrivando ad uno scenario in cui le emissioni raggiungerebbero livelli esponenziali ed irrimediabili. Tale tecnica consisterebbe nell’attirare il diossido di carbonio fuori dall’atmosfera, così da utilizzarlo poi in processi industriali successivi. Puntare su questa pratica può rivelarsi un’arma a doppio taglio, che spingerebbe le nazioni ad emettere più gas serra, poiché avendo incamerato l’idea di circolarità del diossido di carbonio, non si penserebbe più a come limitare le emissioni. 

Anche molte evidenze scientifiche mostrano l’inefficacia del Direct Air Capture. Arabia Saudita ed OPEC recriminano quindi al report dell’IPCC di non approfondire e di non dare abbastanza credito a questa pratica, la quale dovrebbe essere considerata, secondo loro, come una valida opzione.

Emerge così, da queste dichiarazioni, quanto siano prioritari gli interessi economici, anche sopra la vita delle persone e della vita ambientale stessa: interessi che veicolano le azioni dei singoli governi, i quali non realizzano che la posta in gioco da pagare sarà ben più alta. “La promessa di una tecnologia futura, funziona meglio per l'industria fossile, se poi in pratica è troppo costosa da applicare e rendere effettiva”. Come se non bastasse, anche il Giappone e l’Iran supportano le tesi di Arabia Saudita, Australia ed OPEC. Il primo, inoltre, sta tentando di convincere l’IPCC a rimuovere espliciti riferimenti legati alla rimozione delle centrali alimentate a carbone e gas, sostenendo che ciò renderebbe il rapporto “più politicamente neutrale”.

Secondo questo gruppo di paesi, l’IPCC dovrebbe rimanere “tecnologicamente neutro” e dovrebbe piuttosto incoraggiare tecniche come quella della Cattura e dello Stoccaggio del Carbonio (CCS).

Una soluzione che ad oggi, appare rischiosa. L’unica stazione funzionante, infatti, è quella di Boundary Dam in Canada, che ha mancato l’obiettivo originale di cattura del 90% delle emissioni di carbonio, ed ora ha una capacità ridotta solamente al 65%

Se da un lato sono stati rivelati gli interessi legati ai grandi produttori di carbon fossile, dall’altro sono emerse numerose controversie anche rispetto al mercato della carne. Preoccupante è la posizione del Brasile e dell’Argentina, paesi in cui prospera il mercato delle lobbies agroalimentari. Questi paesi sono tra i più grandi produttori mondiali di manzo e mangime animale, e la loro posizione circa queste politiche si dimostra assai preoccupante.

Il Brasile possiede immense colture estensive del mangime per il bestiame da macello. Per guadagnare sempre più terreni coltivabili, ogni giorno l’Amazzonia è soggetta ad incendi che, disboscando le terre, permettono la realizzazione di monocolture di soia.

La posizione presa da Argentina e Brasile è, quindi, facilmente intuibile: i paesi hanno numerose volte tentato di sviare il contenuto del report dell’IPCC affinché venisse rimossa la parte riguardante la necessità di diminuire il consumo di carne. L’Argentina è arrivata a scoraggiare campagne come quella del Meatless Monday, definendola come “faziosa” e “piena di pregiudizi”.

Quando, in realtà, i dati scientifici legati ai benefici di una dieta plant-based pullulano di evidenze: sarebbe addirittura “possibile ridurre le emissioni di carbonio del 49%, passando dalle diete attuali ad una dieta priva di prodotti animali”, ha affermato la rivista Science in uno studio del 2018.

Eppure, il business legato all’agricoltura è crescente, soprattutto sotto l’influenza del presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Nell’inchiesta è evidente come il leader abbia tentato in ogni modo di sviare i collegamenti tra consumo di carne e riscaldamento globale, tentando di rimuovere integralmente le parti in cui si parla di una alimentazione vegetale.

“Non ci sono basi scientifiche che affermano ciò” ha affermato Rodrigo Rodriguez Tornquist, segretario argentino per il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l’innovazione, rispetto agli studi dell’IPCC sull’alimentazione plant-based. Tornquist ha chiesto, infatti, la cancellazione totale di questo paragrafo dal rapporto, sostenendo che “la discussione è distorta”.

A ridosso di un vertice sul clima cruciale, vedere li posizioni e le tattiche adottate da questi paesi è indispensabile per rendersi conto di quale sia il futuro che ci attende.

La COP26 è stata definita come “ultima occasione per affrontare il cambiamento climatico”. Osservando le premesse e le intenzioni di questi paesi membri delle Nazioni Unite, la situazione appare più che preoccupante. Vedere che tale atteggiamento complice e colpevole dei governi di fronte all’emergenza ambientale che sta travolgendo il pianeta è sconvolgente. È ridicolo il modo in cui le dinamiche geopolitiche, economiche, commerciali continuano a frenare e rallentare le azioni che potrebbero potenzialmente salvare il pianeta: così la scienza viene ancora una volta ostacolata e messa da parte, ostracizzata dall’economia e dal volere dei più potenti.

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