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Dal rapporto di Legambiente, nel nostro Paese gli ecosistemi in pericolo superano il 20% della superficie nazionale

"È iniziato il decennio cruciale per fermare la perdita di biodiversità”. Inizia così il nuovo report di Legambiente Biodiversità a rischio 2021, uscito in occasione della Giornata mondiale della biodiversità, il 22 maggio. Per quanto chiaro, il messaggio non sembra essere però arrivato al governo italiano. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha destinato, infatti, solo 1,69 miliardi di euro alla salvaguardia della qualità dell’aria e della biodiversità del territorio, meno dello 0,9% dei fondi totali. Di questi, meno di un miliardo si divide tra bonifica dei siti orfani e ripristino e tutela dei fondali e degli habitat marini; 100 milioni sono destinati alla digitalizzazione dei parchi nazionali; 330 milioni alla tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano; 336 milioni saranno investiti nel progetto di rinaturazione del fiume Po. La biodiversità non è solo una risorsa, ma un requisito indispensabile per il mantenimento di un ecosistema equilibrato e, quindi, della vita sulla Terra. Ogni specie svolge un ruolo preciso e fondamentale e come si legge nel rapporto di Legambiente: “La scomparsa di anche una sola di queste potrebbe portare ad un’alterazione irreversibile dell’equilibrio ecologico della natura”. Senza dimenticare che "la metà del prodotto interno lordo (PIL) mondiale, 40.000 miliardi di euro, dipende dalla natura".

In Italia grande numero di ecosistemi a rischio
Ma gli esponenti politici dei governi sembrano non rendersi conto di ciò, tanto che attualmente “circa il 20-30% degli ecosistemi terrestri sono degradati”. In Italia, per esempio, nella Lista Rossa si contano molti ecosistemi a rischio. Come ha riportato Legambiente, "gli ecosistemi vulnerabili coprono il 16% della superficie nazionale e un ulteriore 20% ospita ecosistemi vicini al pericolo che potrebbero presto diventare a rischio". Tra le 672 specie di vertebrati in Italia: 6 si sono estinte in tempi recenti; 161 sono le specie minacciate di estinzione; 49 quelle in pericolo. Il Mediterraneo, caratterizzato al suo interno da grande biodiversità e studiato per questo motivo a livello mondiale, rappresenta una delle zone maggiormente a rischio. Nonostante costituisca solo lo 0,32% del volume di tutti i mari del globo, infatti, il Mare nostrum ospita tra il 4 e il 18% di tutte le specie marine viventi sul nostro Pianeta. Oggi, però, anche questo prezioso habitat si trova in una situazione di grande pericolo: su 407 specie di pesci ossei marini valutate, 8 risultano a rischio di estinzione; 9 sono vicine ad essere considerate a rischio; per 51 di queste non esistono informazioni sufficienti per valutarne il rischio. Per quanto riguarda poi le api, preziose impollinatrici, su 151 specie valutate: 5 sono considerate potenzialmente estinte; 2 sono in pericolo critico; 10 sono in pericolo; 4 sono in uno stato di vulnerabilità; 13 sono prossime ad uno stato di minaccia. Lo stesso scenario preoccupante compare rispetto alla flora italiana. Più della metà delle 396 specie valutate è da considerarsi minacciata; 4 specie risultano estinte a vari livelli; altre 11 specie sono probabilmente estinte in Italia.

Lo scenario mondiale, WWF: più distruggiamo più ci saranno malattie infettive
Nell’ultimo anno, la necessità di proteggere gli ecosistemi dall’estinzione e dal disequilibrio è diventata sempre più cruciale, anche per la salvaguardia dell’umanità. In effetti, sono molti gli studiosi che dall’inizio della pandemia hanno raccomandato ed esortato i governi del mondo ad attuare politiche veramente a sostegno dell’ambiente, anche e soprattutto attraverso una riconversione e trasformazione dei nostri metodi di produzione e di sfruttamento, per scongiurare il pericolo che la natura, come tutti i sistemi intelligenti, si inizi a difendere dalla minaccia umana. In effetti, il rischio dell’auto estinzione per la nostra specie è molto alto, ed è stato espresso anche dal WWF lo scorso marzo: "Più distruggiamo la natura, più rischiamo di scatenare malattie infettive ricorrenti ed emergenti". Oggi, ha continuato l’organizzazione, "le zoonosi rappresentano il 60% delle malattie infettive conosciute” e il numero "è quasi triplicato negli ultimi 40 anni, complice l'azione dell'essere umano sull’ambiente". Basta osservare come, solo dagli inizi del 2000, siano state altre tre le gravi epidemie arrivate all’uomo: la SARS (2003), influenza aviaria H1N1 (2009), la MERS (2012). E tutte queste sono zoonosi, ossia malattie presenti negli animali che hanno fatto un salto di specie verso l’uomo. "Quando abbattiamo foreste, prosciughiamo habitat di acqua dolce, cancelliamo ecosistemi naturali, spingiamo gli animali in aree sempre più frammentate, li cacciamo, traffichiamo, sottoponiamo a stress, alteriamo gli equilibri naturali favorendo il salto di specie dei virus e la trasmissione di altri patogeni” ha concluso il Wwf.

Capiamo quindi che lo scenario attuale e futuro è dei peggiori e dovrebbe preoccupare ognuno di noi. La nostra sopravvivenza come specie umana dipende esclusivamente dall’equilibrio e dalla stabilità dell’ecosistema naturale, e forse, tale sopravvivenza, dovrebbe rappresentare la priorità nelle agende politiche delle nazioni del mondo. Così però non è, e lo dimostrano sia dati scientifici, sia le recenti decisioni nefaste dei governi, tra cui anche quelle del Ministero italiano. 

Foto © enriquelopezgarre

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