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Diciassette test nucleari effettuati nel deserto del Sahara. E’ questa la pesante “eredità” che la Francia ha lasciato all’Algeria durante l’occupazione coloniale in un periodo compreso tra il 1960 e il 1966, precisamente nelle regioni di Reggane e Akkar.
Dagli studi storici realizzati sul posto è emerso che le esplosioni atomiche uccisero più di 42.000 algerini e molti altri vennero colpiti dalle radiazioni. Il Professor Mostafa Khayati, Capo dell’Autorità nazionale per lo sviluppo della salute e la promozione della ricerca in Algeria, in una dichiarazione rilasciata ad “Agenzia Nova”, ha affermato che le esplosioni delle bombe atomiche “possono continuare a emanare radiazioni per migliaia di anni su un’area di 700 chilometri quadrati dal sito delle esplosioni” causando nella popolazione “diversi tipi di cancro” come “tumori al seno, tiroide, ghiandole, ossa e stomaco” ed ha inoltre ribadito che “l’Algeria subisce ancora oggi le radiazioni delle scorie nucleari sepolte nel deserto algerino, stima in circa 100.000 tonnellate” e che il numero delle vittime “può essere stimato solo dopo un’indagine epidemiologica, delle regioni di Reggane e Akkar, nel Sahara algerino”.
Sempre ad “Agenzia Nova” Mohamed Mahmoudi, presidente del “Coordinamento delle vittime di esplosioni nucleari” - associazione che difende le vittime di questi test - ha dichiarato che “la Francia si rifiuta di aiutare a bonificare la regione del Sahara da queste scorie radioattive e di evitare nuove vittime” con lui ha parlato anche il capo del fronte algerino contro il pensiero coloniale Fatima Zahra Ben Braham il quale ha affermato che “le esplosioni nucleari sono un crimine continuo e l’Algeria ne soffre ancora le conseguenze” e che le vittime “hanno il diritto di chiedere un risarcimento alla Francia per quanto hanno subito”.
La questione è tornata al vertice del dibattito politico nell’ex colonia francese lo scorso 13 febbraio, durante il 61esimo anniversario del primo test nucleare francese effettuato nel 1960, conosciuto come “Gerboise bleue”.
Quel giorno venne fatto detonare il primo dei 17 ordigni atomici nel deserto del Sahara con una potenza di 70 kilotoni. I livelli di radiazione raggiunsero livelli altissimi e finirono per inglobare tutta l’Africa e una parte dell’Europa Meridionale. Le autorità francesi nonostante i gravissimi danni umani e ambientali dichiararono tre giorni dopo le esplosioni che il livello di radiazioni erano tornati sotto la soglia di allarme.
A sua volta Il Fronte di liberazione nazionale - il partito che detiene la maggioranza parlamentare - in un comunicato ha affermato che “il crimine delle esplosioni nucleari nel Sahara algerino, e altri crimini della Francia coloniale, sono la prova dell’orrore del colonialismo (…) La Francia è responsabile nei confronti della Storia dei crimini e degli altri atti disumani che ha commesso”. Inoltre il ministro degli Esteri dell’Algeria Sabri Boukadoum ha scritto in un tweet pubblicato il 13 febbraio che “gli effetti di queste bombe sono stati catastrofici”.
Dopo anni di lotta sembra che qualcosa si stia muovendo da Parigi. Lo storico Benjamin Stora, l’incaricato dal Governo francese per redigere un documento sulla guerra in Algeria, ha suggerito che si aprano delle ricerche sugli effetti delle radiazioni e dei test nucleari nel Sahara, l’Eliseo ha inoltre manifestato il proprio interesse ad aprire un negoziato sulla cosiddetta “questione della memoria” che comprende anche l’utilizzo di armi atomiche durante la Guerra D’Algeria.
Ciononostante la nazione francese si rifiuta ancora oggi di rivelare l’esatta ubicazione dei siti di stoccaggio delle scorie nucleari invocando il segreto militare.

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