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Nella notte tra sabato e domenica, alla COP29 di Baku in Azerbaijan, è stato raggiunto un accordo internazionale sui nuovi impegni per contrastare il cambiamento climatico. L'intesa, arrivata con fatica e oggetto di aspre critiche, è stata giudicata insufficiente da molti paesi, specialmente quelli più colpiti dagli effetti del riscaldamento globale.
La COP, Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico, è l'appuntamento annuale più rilevante in materia. L'edizione di quest'anno, ospitata dall'Azerbaijan, si è concentrata sulla finanza climatica: un tema cruciale che riguarda il sostegno economico dei paesi ricchi a quelli meno sviluppati, storicamente meno responsabili delle emissioni ma più vulnerabili ai loro effetti. L'accordo prevede 1.300 miliardi di dollari all'anno, di cui solo 300 miliardi in contributi e prestiti a basso interesse da parte dei paesi sviluppati. Il resto dei fondi dovrà essere raccolto attraverso fonti incerte, come investimenti privati, tasse sull’aviazione e altri meccanismi ancora da definire. 
Questa cifra è stata considerata inadeguata da molti paesi, in particolare dai piccoli stati insulari e dai paesi meno sviluppati, che hanno abbandonato i negoziati per protesta prima di un faticoso ritorno al tavolo delle trattative. La delegata indiana Chandni Raina ha descritto il documento finale come “un’illusione ottica” e ha annunciato che l'India non lo sosterrà. 
La conferenza si era aperta tra scetticismo e tensioni. Da una parte, l'Azerbaijan, importante esportatore di petrolio e gas naturale, è stato percepito come un ospite controverso; dall'altra, l'elezione di Donald Trumpnegli Stati Uniti ha gettato ombre sull'impegno futuro di una delle principali potenze mondiali nella lotta al cambiamento climatico. La delegazione americana, composta ancora dai rappresentanti dell'amministrazione Biden, è rimasta defilata, mentre gli interessi dei paesi esportatori di idrocarburi hanno dominato molte discussioni.
Un punto critico è stato il dibattito sull'allontanamento dai combustibili fossili, già sancito alla COP28, ma ostacolato quest'anno da paesi come l'Arabia Saudita. Quest'ultima è stata accusata di tentativi di alterare di nascosto documenti negoziali e di opporsi a un linguaggio più deciso sui sistemi energetici.
Le divisioni si sono estese anche alla questione dei contributi finanziari. La Cina, primo emettitore mondiale di gas serra, continua a essere considerata un paese in via di sviluppo secondo le classificazioni ONU, con obblighi volontari anziché vincolanti. Questa posizione ha alimentato polemiche tra i paesi partecipanti.
Mohamed Adow, direttore del centro studi Power Shift Africa, ha definito il summit “un disastro per il mondo in via di sviluppo» e «un fallimento per il pianeta da parte dei Paesi ricchi”. L’accordo di Baku, pur evitando un totale stallo, lascia dubbi profondi sul reale impegno della comunità internazionale nel contrasto al cambiamento climatico.

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