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Domani è l’Earth day, la Giornata della Terra, che si celebra dopo la prima concepita e realizzata negli Usa nel 1970. Nell’ultimo decennio con l’aggravarsi delle condizioni del pianeta, l’allargarsi dell’impegno giovanile su questo tema e un’opinione pubblica più attenta, si è cominciato a celebrarla più ampiamente. Ogni anno è l’occasione per misurare quanto e se si è costruito sul grande tema ambiente, e ogni anno il bilancio è negativo. E anche in questa 54esima edizione si registrano soltanto qualche buona notizia e moltissime pessime, talmente tante che non entrano in un articolo giornalistico.
Di positivo c’è la sentenza della Corte europea dei Diritti dell’uomo che pochi giorni fa ha dato ragione all’associazione di donne svizzere “Anziane per il clima” che vi aveva fatto ricorso accusando il proprio Paese di inadempienza nell’affrontare la crisi climatica; è un fatto importante perché dopo altre cause respinte è la prima volta che la Corte si esprime a favore degli attivisti, e soprattutto perché gli Stati europei non potranno non tenerne conto nel definire i propri tempi di intervento in materia e valutare i propri ritardi. Di positivo c’è anche la caparbietà crescente dei giovani militanti per il clima raggruppati in diverse organizzazioni, che sono stati capaci di trovare forme per far risuonare le loro preoccupazioni, nonostante la frequente aggressività delle forze dell’ordine denunciata anche dall’Onu.
Ma veniamo al negativo, scegliendo di focalizzare l’analisi sull’operato delle istituzioni europee e sull’European green deal. Più d’uno sono stati i provvedimenti con cui le politiche ambientali nel corso dell’iter sono state stemperate e diluite: circa gli imballaggi, il regolamento è stato alleggerito da numerosi emendamenti del centrodestra; circa gli standard di sostenibilità aziendale delle imprese che operano in Europa, compresa la catena di fornitura extra-europea, si è rimandato; sulle emissioni del trasporto stradale, è stato definito di mantenere le condizioni attuali dell’Euro 6; sull’efficienza energetica degli edifici residenziali, meglio conosciuta come Case green, il provvedimento durante l’iter è divenuto meno incisivo rispetto al testo iniziale. E poi ci sono gli alleggerimenti e le cancellazioni relativi al settore agroalimentare, importantissimo per l’ambiente, in parte avviati prima della mobilitazione contadina. Circa l’aggiornamento della direttiva sulle emissioni industriali che considera come tali anche i grandi impianti zootecnici, nell’accordo finale dell’autunno scorso sono stati stralciati gli allevamenti intensivi di bovini; sui pesticidi si puntava a dimezzarne l’uso entro il 2030 sostituendoli con altri metodi, ma si è preferito ascoltare gli agricoltori; sui gas serra agricoli a fine gennaio era circolata una bozza che prevedeva l’abbassamento del 30% entro il 2040, poi questa riduzione è scomparsa; per quanto riguarda gli obiettivi climatici dell’Unione europea, essi prevedono un taglio del 90% delle emissioni entro il 2040 rispetto al 1990, ma non è più stato compreso il 30% per l’agricoltura che era indicato nella bozza iniziale; anche l’importante legge sul ripristino della natura ha subito lo stralcio della parte riguardante l’agricoltura che proponeva di aumentare dall’attuale 4% al 10% entro il 2030 la superficie di terreno agricolo da non coltivare.
Insomma, ci si chiede cosa ne è alla data di oggi dell’European green deal che nel 2019 quando fu proposto da von der Leyen si presentava come un vasto programma che metteva d’accordo le differenti componenti politiche e che avrebbe dovuto intervenire in moltissimi ambiti, e per questo di natura epocale. Allora sembrò che sul tema ambiente l’Europa volesse costruire la sua immagine futura e dare un esempio al resto del mondo, ma oggi tale scenario alla vigilia delle elezioni appare molto ridotto. E di fronte alla transizione ecologica che non si sta compiendo, ci chiediamo se dobbiamo concludere di considerare il richiamo alle generazioni future soltanto una retorica.
Il significato di tale parabola discendente dell’Europa e insieme la sua ragione è nell’ancora forte radicamento del sistema di sviluppo che è stato vincente finora, con tutti i suoi protagonisti; un sistema basato sul fossile e sulla produzione di merci all’unico scopo dell’accumulo di profitto, senza alcun interesse per i limiti biologici e fisici del pianeta. Il suo superamento comporterebbe il trasferimento in grande misura di sovranità alle popolazioni; l’esempio più calzante in proposito è ciò che rappresentano le comunità energetiche basate sulle fonti rinnovabili rispetto alla lobby del fossile, di cui si è vista la forza alla Cop28. Per tutti i protagonisti di tale sistema la transizione ecologica è un pericolo.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano

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