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Nel 2023, nella Cisgiordania occupata, le forze israeliane hanno ucciso almeno 507 palestinesi, tra i quali almeno 81 minorenni: secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari, è stato il più alto numero di vittime da quando, nel 2005, è iniziata la raccolta di questi dati. Tra il 7 ottobre e il 31 dicembre 2023 i palestinesi uccisi sono stati 299, il 50 per cento in più rispetto ai primi nove mesi dell’anno. Dal 1° al 29 gennaio 2024 ne sono stati uccisi almeno altri 61, tra i quali 13 minorenni.
Negli ultimi mesi, dunque, mentre il mondo era concentrato su quanto stava accadendo nella Striscia di Gaza, le forze israeliane hanno scatenato una brutale campagna di violenza contro i palestinesi della Cisgiordania occupata compiendo uccisioni illegali, ricorrendo alla forza mortale senza necessità o in modo sproporzionato durante le proteste o le incursioni e impedendo i soccorsi alle persone ferite.
Amnesty International ha indagato su quattro episodi emblematici - tre risalenti a ottobre e uno a novembre del 2023 - in cui le forze israeliane hanno ucciso 20 palestinesi, tra i quali sette minorenni.
Il 19 ottobre le forze armate e la polizia di frontiera di Israele hanno avviato un raid, durato 30 ore, nel campo rifugiati di Nour Shams, a Tulkarem. Hanno ucciso 13 palestinesi, tra i quali sei minorenni – quattro di loro avevano meno di 16 anni – e ne hanno arrestati 15. Fonti dell’esercito israeliano riportate dai mezzi d’informazione hanno riferito che nell’operazione è stato ucciso un agente della polizia di frontiera e altri nove sono stati feriti dal lancio di un ordigno esplosivo da parte dei palestinesi.
Durante l’operazione, le forze israeliane hanno fatto irruzione in oltre 40 abitazioni, distruggendo effetti personali e forando le pareti per trasformarle in postazioni per i cecchini.
Taha Mahamid, 15 anni, è stato ucciso da tre proiettili di fronte alla sua abitazione, dalla quale era uscito per vedere se le forze israeliane avessero abbandonato la zona. Dalle testimonianze raccolte e dai video esaminati, era disarmato e non costituiva alcun pericolo per i soldati israeliani. Un filmato girato da una delle sorelle lo mostra mentre cammina in strada, sbirciando per vedere se ci sono soldati in giro. Poi si sentono tre spari e cade a terra.
Quando Ibrahim Mahamid, il padre di Taha, ha cercato di portare al riparo suo figlio, le forze israeliane gli hanno sparato alle spalle. In uno dei video girati dalle sorelle di Taha subito dopo che questi viene colpito, verificati da Amnesty International, si vede il padre a terra vicino al figlio prima di rialzarsi e zoppicare. L’uomo ha subito gravi danni agli organi interni ed è stato ricoverato in terapia intensiva.
Circa 12 ore dopo l’uccisione di Taha Mahamid, le forze israeliane hanno fatto irruzione nella sua abitazione, chiudendo i suoi familiari – tra cui tre bambini – per 10 ore in una stanza controllata da un soldato. Hanno forato le pareti di due stanze per collocare i cecchini in un punto dal quale potevano tenere sotto controllo la zona. Secondo un testimone, un familiare è stato picchiato e un soldato è stato visto urinare sull’uscio dell’abitazione.
Il 13 ottobre a Tulkarem, le forze israeliane stazionate in una torretta militare di controllo a uno dei principali ingressi della città e alcuni soldati sul tetto di un’abitazione vicina hanno aperto il fuoco contro un’ottantina di palestinesi non armati che manifestavano in solidarietà con la popolazione di Gaza.
Due giornalisti, un uomo e una donna, che avevano assistito alla scena hanno riferito ad Amnesty International, in momenti diversi, che i soldati israeliani hanno lanciato due candelotti di gas lacrimogeno contro la folla per poi, poco dopo, aprire il fuoco senza colpi di preavviso. Quattro persone sono state ferite mentre correvano via per ripararsi. Alcuni minuti dopo le forze israeliane hanno sparato in direzione dei due giornalisti anche se sul loro abbigliamento era riportata chiaramente la scritta “stampa”. Si sono nascosti dietro un muro insieme a tre bambini e sono rimasti lì per due ore.
Durante questo periodo, i due giornalisti hanno visto un palestinese raggiunto da uno sparo e ferito a una gamba mentre correva via in bicicletta. La giornalista ha visto un manifestante colpito alla testa e morto poco dopo per le ferite riportate.
Il 27 ottobre a Beitunia, nei pressi di Ramallah, i soldati israeliani hanno usato la forza eccessiva contro un gruppo di palestinesi che festeggiava la scarcerazione di alcuni prigionieri nell’ambito dell’accordo tra Israele e Hamas per una pausa umanitaria temporanea. Secondo il racconto dei testimoni oculari, i soldati hanno esploso proiettili veri e pallottole di gomma mentre i loro droni lanciavano gas lacrimogeni. È poi comparso un bulldozer mentre le jeep dell’esercito si dirigevano contro la folla.
Yassine Al-Asmar è stato colpito al petto mentre era tra la folla. Continuando a sparare, i soldati israeliani hanno impedito l’arrivo dell’ambulanza per soccorrerlo. Un amico è riuscito a recuperarlo e a portarlo all’ospedale di Ramallah, dove tuttavia è morto poco dopo.
Durante un’incursione nel campo rifugiati di Jenin il 9 novembre, durata 12 ore, in cui l’esercito israeliano ha fatto ricorso anche ad attacchi aerei e costata la vita a 15 palestinesi, i soldati hanno attaccato il personale medico che cercava di soccorrere un ferito.
Amnesty International ha sollecitato il procuratore della Corte penale internazionale a indagare sulle uccisioni e i ferimenti documentati considerandoli crimini di guerra di omicidio volontario e inflizione intenzionale di grave sofferenza o gravi danni.

Tratto da: ilfattoquotidiano.it

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