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Dodici anni di carcere e risarcimenti alle famiglie delle vittime, per centinaia di milioni di euro, allo Stato italiano, al Comune di Casale Monferrato, ai sindacati.
E' una sentenza di grande rilievo quella pronunciata ieri dalla Corte d'Assise di Novara nei confronti dello svizzero Stephan Schmidheiny. Un'altra tappa della lunghissima partita della giustizia con l'imprenditore dell'Eternit.
Quello di Novara è uno dei fronti scaturito dall'inchiesta bis della Procura di Torino, spezzettata in quattro tronconi dalla decisione di un giudice nel 2016.
Due anni prima la Cassazione aveva dichiarata prescritta l'accusa di disastro ambientale. A Novara Schmidheiny era imputato con l'accusa di omicidio volontario con dolo eventuale, reato che è stato poi derubricato a omicidio colposo, per la morte di 392 persone vittime dell'esposizione all'amianto nel territorio di Casale Monferrato, tutte legate al materiale lavorato nella fabbrica locale della multinazionale elvetica. I pubblici ministeri Gianfranco Colace e Mariagiovanna Compare avevano chiesto l'ergastolo. Gli avvocati della difesa, Astolfo Di Amato e Guido Carlo Alleva, l'assoluzione "perché il fatto non sussiste" per mancanza di prova sul nesso di causalità, e in seconda battuta "perché il fatto non costituisce reato".
Con la condanna pronunciata ieri, "finalmente accanto al nome di Stephen Schmidheiny è comparsa la parola colpevole. - commenta Federico Riboldi, sindaco di Casale Monferrato - È stato riconosciuto come criminale colpevole di omicidio colposo aggravato. Sicuramente la condanna a 12 anni di carcere non soddisfa appieno la sete di giustizia di un territorio e di una comunità che dopo anni continua a soffrire a causa delle conseguenze di quelle azioni commesse da chi ha anche avuto la responsabilità di fuggire da Casale abbandonando uno stabilimento nel territorio cittadino che era una vera e propria bomba nociva per la salute".
Giorgio Airaudo, segretario generale della Cgil Piemonte, ha parlato di "una sentenza importante in questo livello di giudizio, perché viene riconosciuta la colpa con una pena di 12 anni. Non si arriva all'omicidio volontario perché bisogna sottolineare che c'è una carenza, un baco nel sistema legislativo italiano che non riconosce questo tipo di giudizio, come successo per la Thyssen".
In un altro processo a Torino nel febbraio scorso, la Corte d'appello di Torino ha ridotto a un anno e otto mesi la condanna per Schmidheiny, accusato di omicidio colposo per i decessi nella filiale di Cavagnolo (Torino) della multinazionale. Dei due casi contestati, l'imprenditore è stato riconosciuto responsabile solo di uno. In primo grado, nel 2019, era stato condannato a quattro anni.

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