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A Palermo presentato il libro del fotoreporter Valerio Nicolosi con Alessia Candito ed Elvira Santangelo

Un avido continente che ha occupato e depredato terre non proprie per fini strategici e finanziari. Milioni di anime, vittime di queste usurpazioni e violenze, che, senza alternative, cercano rifugio tentando di attraversare confini per mare e per terra. E lo stesso continente usurpatore che impedisce loro di proseguire il cammino verso la salvezza. Tanti muoiono, altri scompaiono e altri ancora vengono rispediti nell’inferno dal quale sono scappati o dal quale sono dovuti passare. E’ questo il “gioco sporco” a cui, da anni, noi europei assistiamo da protagonisti. Ma c’è chi non accetta tutto ciò e si spende affinché questa catena cessi finalmente di esistere. Una di queste persone è certamente Valerio Nicolosi, giornalista, regista e fotoreporter romano. Nicolosi ha viaggiato in lungo e in largo in Europa, nei paesi dell’ex Unione Sovietica e in Levante. Dal 17 gennaio è uscito per Rizzoli il suo libro, chiamato appunto “Il gioco sporco”, in cui racconta, da testimone, le vite di chi scappa da conflitti armati, persecuzioni e dalla miseria restituendo loro quell’umanità sottratta da media e politica.

Valerio Nicolosi ha presentato il suo libro giovedì alla libreria “Feltrinelli” di Palermo assieme alla scrittrice palermitana Evelina Santangelo e alla giornalista calabrese Alessia Candito. Ad aprire l’evento è stata quest'ultima che si è soffermata sull’interpretazione impropria della parola “sicurezza”. “Da un po’ di tempo la parola sicurezza viene utilizzata contro un povero migrante che per mare e per terra cerca di attraversare confini.

Valerio racconta le storie di chi questi confini, che in realtà sono tagliole, li ha attraversati o ha tentato di attraversarli finendoci triturato”. Una di queste “tagliole” è la rotta Balcanica, dove Valerio Nicolosi ha accompagnato alcuni profughi nel loro tentativo di entrare in Europa. “Quando c’è una disgrazia ce sto io”, ha detto Nicolosi con il suo caratteristico dialetto romano, parlando dell’odissea che è costretto a vivere chi intraprende la rotta Balcanica. “Una rotta - ha spiegato - molto più battuta rispetto a quella del Mediterraneo, ma di cui conosciamo poco o niente”. “Di questa rotta - ha detto l’autore - qualcuno conosce solo il campo profughi di Lesbo che è andò a fuoco alcuni anni fa, ma poco altro”.

A parte il 2022 (anno caretterizzato dallo scoppio della guerra in Ucraina, ndr), storicamente la rotta balcanica è stato l’accesso principale all’Europa. Molti di più rispetto al Mediterraneo”. Nel suo libro Nicolosi alterna parti giornalistiche a saggistiche e in questo intervallo racconta delle vite che ha incrociato in questi anni, soprattutto quelle che hanno calpestato le migliaia di chilometri che dalla Turchia o dalla Bulgaria attraversano la Grecia, l’Ungheria, la Bosnia Erzegovina e la Croazia (per citare alcuni dei maggiori Paesi battuti) dove si assiste a vere “cacce ai migranti”.


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Reza e il “Risiko” dell’Europa
Una di queste vite è Reza, la cui storia Nicolosi definisce come “probabilmente la più rappresentativa del libro”. Reza è un ragazzo afghano. “Nel libro l’ho definito uno ‘spettro’ perché effettivamente sembrava uno spettro da quanto era magro e spento dentro. L’ho conosciuto nel 2020 in una città della Bosnia. Si tratta di un ragazzo di poco più di 20 anni in viaggio da 4 anni dall’Iran, dove arrivò quando a 12 anni la famiglia venne uccisa dai talebani”. Reza, al quale Nicolosi dedica un capitolo della sua opera, non è solo un giovane afghano ma è anche un Hazara, il gruppo etnico che vive nelle montagne dell’Afghanistan centrale. Gli Hazara sono una minoranza che, nel silenzio della comunità internazionale, è perseguitata dai talebani. E anche la famiglia lo fu tanto da venire sterminata. “Reza si è salvato solo perché quando la sua famiglia venne sterminata lui era a scuola. Dopo la strage è andato in Iran dallo zio poi si è rimesso in marcia nel 2018 perché la vita in Iran è misera per gliAzara. Io l’ho incontrato in Bosnia in questa odissea vera e propria”. Reza “come tanti provava ad arrivare in Italia ma non ci riusciva e non ci è riuscito”. Di queste persone, “molte ne ho perse, non so dove stanno”, ha detto l’autore. “E lui è uno di loro. E’ sparito dai miei radar in Grecia e ho paura che sia stato rimpatriato in Afghanistan prima del famoso 15 agosto 2021 quando eravamo ‘tutti afghani’ (cioè quando i talebani riconquistarono Kabul dopo il ritiro statunitense, ndr)”. “L’Europa a questo ragazzo, solo e giovanissimo che ha affrontato un’odissea infinita ha detto di no. Questa è la cosa che fa più male”.

Reza è un epifania del dolore del mondo, una persona che lascia il segno come questo libro”, ha detto Evelina Santangelo prendendo parola dopo il fotoreporter. Di queste vicende “noi sappiamo tanto, o abbiamo la possibilità di sapere tanto, ma abbiamo tutte notizie frammentarie. Questa frammentarietà non dà la possibilità di avere una visione d’insieme invece questo libro che si muove lungo le frontiere, interne ed esterne all’Europa, dà una visione d’insieme”. E soprattutto, ha precisato la scrittrice, “passa dal Risiko (il gioco da tavola, ndr) alla vita di ogni giorno”. Da una parte “si legge delle frontiere tra la Turchia e la Grecia e gli accordi con la Turchia del 2016, gli accordi per cui diamo enormi di quantità di denaro a Erdogan per bloccare i profughi e non farli arrivare in Grecia e quindi poi verso l’Europa, dall’altra parte l’Europa che tramite von Der Layern dice che la Turchia è il nostro scudo.

Poi ci si sposta verso la rotta balcanica e vedi un Paese come la Croazia, che fa parte dell’Ue e che è entrata nello Schengen il 1° gennaio, grazie al fatto che ha bastonato fino a ridurre cadavere chiunque cercasse di attraversare il confine”. Alla fine, ha spiegato la Santangelo, “si ha questa visione di Europa che si chiude con fortezze invalicabili e accordi”. “L’ impressione è di essere in un videogioco con pedine che si muovono a migliaia per cercare salvezza e una vita dignitosa, e questa Europa nelle sue figure rappresentative e nei suoi accordi, che gliela nega”. “Queste milioni di persone - ha aggiunto - si muovono disperatamente tra questa rete di parole che mistificano la realtà e di accordi che determinano una fortezza fatta di mura materiali e immateriali che bloccano vite. La cosa impressionante è che Valerio si accosta ad una ad una di queste vite, non dà numeri. I numeri sono de-umanizzanti. I numeri non ispirano un senso di partecipazione umana, mentre il modo in cui è costruito il libro di Valerio ha questo contrasto, questa Europa che tradisce sé stessa finanziando campi in cui vengono detenuti e torturati i migranti e demolendo tutte le garanzie che dovrebbero essere assicurate a persone in fuga, per lo più iracheni, siriani e afghani”, ha concluso.


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La politica fredda
I numeri de-umanizzano è vero”, ha detto Nicolosi riprendendo parola. “Se noi dividiamo una per una queste persone, ci rendiamo addirittura conto che sono più simili a noi di quanto pensiamo. Ci dimentichiamo che Aleppo è molto più vicina che Mariupol per esempio. Questo mare che non è più “nostrum” ma che in realtà ci divide, è diventata una barriera in cui ci abbiamo anche costruito un muro in realtà ci fa vedere lontane queste persone e quando noi giornalisti parliamo di numeri aumentiamo il fattore de-umanizzante”, ha spiegato. “Il mio obiettivo, invece, è raccontare le persone, c’è una parte saggistica in mezzo per dare questo quadro. Noi paghiamo la Bosnia per tenersi i migranti o la Libia con cui oggi (lo scorso 2 febbraio, ndr) l’Italia festeggia il compleanno del “Memorandum”. In Bosnia c’è un grande campo profughi, con container dell’Ue fuori come stendardo di garanzia dei diritti umani, dove però sono concentrate 1500 persone in mezzo al nulla. Perdiamo vite in mare e in terra. Vittime di una politica fredda decisa a Bruxelles, Trieste o Roma. Ho cercato di umanizzare e de-politicizzare. I migranti hanno un nome, una storia, hanno difetti come tutti noi, passioni e soprattuto una vita di merda. E il gioco sporco è proprio questo, questa politica fredda europea che decide come un punto di caduta sulle persone, su ciascuna delle persone che ho visto. Io mi sono vergognato di essere italiano ma soprattutto europeo. La stessa Europa di cui fa parte la Croazia in cui la polizia rappresenta la nostra gendarmeria tanto che, come ha giustamente detto Elvira, dal primo gennaio sono stati premiati perché hanno difeso bene i nostri confini, la nostra fortezza, sono entrati in area Schengen quindi possono muoversi liberamente a patto che continuino a respingere e torturare i migranti. In Croazia c’è un garage dove c’è una sospensione dei diritti umani, si entra lì e non si è più in Unione Europea, eppure è una stazione di polizia, un luogo dello Stato. Una struttura che a noi italiani può ricordare Bolzaneto. Questo è quello che hanno fatto per essere al 100% oggi nell’Unione Europea. Questa politica fredda è caduta su tutti paesi ma la caduta finale è stata su tutte queste persone. Con i nostri soldi e il nostro volere, anche se non siamo d’accordo, c’è gente che è stata picchiata torturata e resa disabile dalle nostre leggi, dal nostro gioco sporco”.

I migranti come mezzo di pressione geopolitica
Nel corso della presentazione del libro si è parlato anche di come i profughi vengono usati ogni giorno come mezzo di pressione geopolitica o di vero e proprio attacco non convenzionale. Così, chi scappa dall’inferno finisce per ritrovarsi in Paesi con situazioni politiche e sociali delicate, dove la xenofobia accende l’odio ed esplode in persecuzione dei migranti.

I numeri de-umanizzano - ha detto Alessia Candito a proposito di migranti de-umanizzati - ma se vengono usati bene dimostrano quanto sia ridicola l’impostazione del problema che viene raccontata dai vari governi, da Minniti a Piantedosi, il cui approccio non è cambiato ed è quello di trasformare l’Italia in un Paese di muri”, ha detto la giornalista. “Parliamo di numeri: secondo lo stesso rapporto Frontex, in Europa nel 2022 sono arrivati 330mila migranti, lo 0,07% della popolazione europea. Se tutta l’Europa non è in grado di gestire 330mila persone vuol dire che siamo un Continente finito”, ha affermato.


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Il ministro Piantedosi ci riempie di statistiche, ma i migranti sono davvero un problema? La risposta ce l’ha data sempre l’Europa perché dallo scoppio della guerra in Ucraina sono transitate in Europa 10 milioni di persone, di cui 5 in quattro mesi. In Italia, nello specifico, 180 mila e non hanno avuto nessun tipo di problema perché hanno avuto documenti subito, assistenza sanitaria, permessi per andare a scuola. Valerio forse è l’unico che lo abbia mai raccontato dei colleghi che sono andati in Ucraina, c’è stata una frontiera organizzata benissimo. Una frontiera che era un abbraccio e non un muro e pure era alle porte di un Paese in guerra”. Anche Valerio Nicolosi, che ha vissuto i primi giorni di guerra in Ucraina, ha parlato di questo tema. “A Medyka, al confine con la Polonia ho scoperto che accogliere è possibile. E ho trovato un’organizzazione meravigliosa a livello umanitario, con associazioni, assistenza sanitaria, giornalisti. I profughi ucraini non riuscivo nemmeno a riconoscerli tanto erano trattati bene. Eppure sapevo che scappavano guerra. In quel punto sono passate 150mila persone in un giorno solo ed era tutto perfetto. C’erano i vigli del fuoco che andavano a prendere le donne e i bambini e li portavano nei campi, dove però non voleva andare nessuno. La maggior parte poi andava in aeroporto o andavano a Cracovia o Varsavia. Abbiamo semplicemente dimostrato che si può. C’era una quantità di profughi incredibile, una quantità di giornalisti incredibile e un’organizzazione incredibile. Ed è stato bello perché in realtà ho capito che si poteva fare, soprattutto con quei numeri”, ha raccontato. “Abbiamo visto un flusso migratorio senza precedenti nella storia, 5 milioni di persone in quattro mesi provenienti dall’Ucraina. Un esodo per quantità e velocità mai vista. Avete percepito un’invasione?”, ha chiesto al pubblico l’autore. “No, perché è stata attivata la Direttiva 55 del 2001. Che è una legge europea per la quale le persone che scappano dalla guerra possono muoversi liberamente all’interno del territorio europeo. E noi non abbiamo fatto questa cosa per un milione e mezzo di persone in un anno, quello dell’’invasione’ del 2016. Si può accogliere se lo facciamo come Unione Europea”. Nicolosi ha quindi evidenziato un double-standard politico e mediatico tra profughi dell’Ucraina e profughi di altri paesi in guerra.

In Bosnia in un campo profughi a sole tre ore e mezza di macchina da Trieste dove sono stato c’erano 4000 profughi, sarebbero bastati alcuni autobus e in pochi giorni si sarebbero potuti accogliere. Veniva detto che per spostarli bisogna trovare vie legali. Ma questi profughi, per lo più afghani, erano in Bosnia anche loro perché scappati dalla guerra, scappavano dai talebani. Da almeno due anni per giunta”. Per giunta, ha tenuto a precisare Valerio Nicolosi, “i migranti non vengono tutti in Italia. Solo il 10% si ferma, anzi chiede protezione. Il 90% di coloro che arrivano dalla Sicilia, da Trieste o dalla Calabria va via. E Ventimiglia è l’unione di queste rotte. E - ha precisato ancora - Non sono respingimenti, sono deportazioni. Lo fa la Francia con l’Italia, l’Italia con la Slovenia e la Slovenia con la Croazia che poi li rimanda in Bosnia a forza. L’Italia finanzia delinquenti libici per riportarseli indietro, stiamo pagando i tunisini per riportarglieli a due settimane dall’arrivo, stiamo facendo accordi con l’Egitto per fare rimpatri veloci e andiamo a stringere le mani a quello che io nel libro chiamo ‘un ladro’, colui a cui abbiamo dato le chiavi di casa, Erdogan, dittatore del quale abbiamo bisogno, come lo definì Draghi. Gli abbiamo dato le chiavi di casa perché noi europei abbiamo tre porte, una a Occidente in Marocco, una a Sud in Libia, e Erdogan è a Tripoli dove ha praticamente vinto la guerra civile lui ha armato Al Sarraj che ha riconquista la Tripolitana dall’insurrezione del generale Haftar. Herdogan ha il controllo di Tripoli e quindi controlla il rubinetto per aprire e chiudere il flusso migratorio. E poi ha l’ultima chiave di casa nella sua Turchia al confine con la Grecia”.

Io ce l’ho chiaramente con l’Italia ma soprattutto con l’Europa, perché il problema una scelta politica europea di rinchiudersi all’interno di una fortezza. L’Europa allora - ha concluso - deve dire a queste persone che non le vuole altrimenti ci stiamo raccontando un sacco di cazzate”.

Foto © ACFB

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