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Tra barricate, arresti e manifestazioni in Kosovo la tensione continua a salire. Entrambi gli eserciti si sono mobilitati per un’eventuale guerra

Non c’è motivo di farsi prendere dal panico, ma di essere preoccupati”, ha detto il ministro della Difesa, Milos Vucevic, in un’intervista alla tv RTS.
Il motivo della tensione riguarda la richiesta dal governo Kosovaro di togliere tutte le barricate poste dai serbi in diverse città della regione e la tensione è altissima, una scintilla potrebbe innescare nuove violenze. Il presidente Aleksandar Vucic, dopo avere minacciato più volte di mandare l’esercito a proteggere la minoranza serba in Kosovo, nella notte del 26 dicembre, lo stato di massima allerta per le forze armate, ha minacciato di mandare le truppe vicino al confine. “Dobbiamo proteggere il nostro popolo in Kosovo e preservare la Serbia”, ha affermato Vucic, dicendo che Pristina si sta preparando ad “attaccare” la minoranza serba per riportala in patria.
Vucic, ha anche incontrato a Belgrado il patriarca ortodosso Porfirije, al quale lunedì le autorità di Pristina hanno vietato l'ingresso in Kosovo. Porfirije intendeva recarsi a Pec (Peja in albanese), sede del patriarcato serbo in Kosovo. "Per noi il patriarcato di Pec è come il Vaticano per i cattolici", ha detto Porfirije definendo inaccettabile il divieto. "È come se si vietasse al Papa di recarsi in Vaticano", ha osservato il patriarca, che ha definito "molto seria" e fare di tutto per preservare la pace e scongiurare lo scontro armato”, ha concluso.

Storia della crisi Kosovo-Bosnia
Dagli anni 80 lo scontro etnico e religioso ha devastato i Balcani e fatto implodere la Jugoslavia: la minoranza serba, circa 50mila persone, appoggiata da Belgrado, non accetta la presenza delle forze di polizia kosovare e non riconosce le istituzioni di Pristina; il governo kosovaro-albanese vuole svincolarsi definitivamente dalla Serbia.
Le questioni mai risolte dopo la guerra del 1999, l’ultima dei Balcani, scatenata tra la NATO e Milosevic, hanno continuato ad alimentare un conflitto permanente, anche dopo l’indipendenza decisa unilateralmente da Pristina nel 2008, sostenuta dagli Stati Uniti e dalla maggioranza dei membri dell’Onu, ma non da  Russia e Cina. Gli scontri si sono ripetuti negli anni: nei mesi scorsi con il pretesto delle targhe automobilistiche dei serbi in Kosovo e con le proteste che chiedono il rilascio di alcuni poliziotti serbi arrestati dalle autorità kosovare.

La Russia come partner amico della Serbia
Il Cremlino sostiene le misure adottate da Belgrado ed esprime il proprio parere riguardo la crisi tra i due paesi.
La Serbia è un paese sovrano”, ha sottolineato il portavoce della presidenza russa, Medvedev. “Il paese difende i diritti dei serbi che vivono in condizioni difficili. Naturalmente, reagiscono con forza quando questi diritti vengono violati”.
Le relazioni tra la Casa Bianca e il Cremlino sono prossime, almeno formalmente, allo zero. Ci potrebbe essere pertanto la spinta a ripetere lo scenario ucraino, con una conseguente intensificazione della guerra per procura tra le grandi potenze.

Poco più di cento anni dopo la famigerata “pistola di Sarajevo”
La Storia ci deve fare ricordare non deve essere dimenticata. È fondamentale tenere presente che proprio la terra balcanica ha sempre avuto una centralità indiscussa. Diede il via, ad esempio, con l’attentato a Sarajevo compiuto il 28 giugno 1914 nei confronti dell’arciduca Francesco Ferdinando (erede al trono d’Austria), alla Prima Guerra Mondiale.
Le vicende politiche, in quelle aree, hanno determinato i destini di molti popoli e provocato numerosi conflitti, emersi in particolare dopo il 1980.
Le vicende del passato devono essere rammemorate per evitare la ripetizioni e  vicende simili  o scenari di guerra che porterebbero il mondo nel totale caos in cui già stiamo vivendo.

Foto: it.depositphotos.com

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