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Nel pomeriggio del 25 novembre del 2017 Rafael Nahuel, aveva 22 anni e fu raggiunto da un proiettile alla schiena. Il colpo era stato sparato dall’arma regolare di uno dei membri del Gruppo Albatros della Prefettura Navale Argentina. Ciò è avvenuto nel bel mezzo di un’enorme operazione di sgombero nella comunità mapuche di Lafken Winkul Mapuche, a Villa Mascardi, a 35 chilometri dalla città di San Carlos de Bariloche (Argentina).
Raccontiamo i fatti: trovandosi di fronte a membri della comunità, gli agenti del Gruppo Albatros intimano l’alt e immediatamente iniziano a sparare. Inseguono i comuneros mapuche oltre il confine del territorio che dovevano “proteggere” e sparano tra le 114 e le 129 volte con munizioni di piombo utilizzando pistole Beretta e fucili MP5; i comuneros rispondono con le pietre. A distanza di cinque anni dai fatti accaduti, non c’è stata ancora giustizia.
Cinque anni di impunità per un crimine di cui lo Stato argentino è colpevole. Solo uno degli agenti è stato detenuto meno di un mese.
Oggi la causa è a un passo dal processo, ma le carte processuali mostrano incongruenze e contraddizioni, il che fa presumere che le condanne, se ci saranno, risponderanno all’accusa di omicidio aggravato per eccesso colposo in legittima difesa. Vale a dire, un delitto con un’attenuante che potrebbe permettere agli agenti di evitare la prigione effettiva.
I cinque funzionari di Albatros continuano a prestare servizio nel distaccamento di San Fernando della Prefettura Navale Argentina. Massima espressione dell’impunità che regna attorno alle forze repressive dello Stato.

Gli accusati e le imputazioni
Tra gli accusati troviamo il capo Sergio Guillermo Cavia, imputato dal giudice federale di Bariloche, Gustavo Zapata, per il reato di omicidio aggravato e violenza contro le persone mediante l'utilizzo di armi da fuoco, commesso per eccesso di legittima difesa. Gli altri, Francisco Javier Pintos, Juan Ramón Obregón, Carlos Valentín Sosa e Sergio García, sono stati accusati di aver preso parte allo stesso delitto.
I periti indicarono che il proiettile “che uccise Rafael Nahuel gli entrò nella schiena, il che significa in una situazione di fuga e non di aggressione al momento dello sparo mortale”. Per la Segreteria dei Diritti umani si tratta di omicidio, senza giustificazione alcuna che serva da attenuante.
Circa 114 spari contro alcune pietre diedero la morte al giovane mapuche quel pomeriggio; il corpo già senza vita fu portato verso la strada da due membri della comunità che lo calarono dalla montagna. Lautaro Gonzales Curuhuinca è testimone dei fatti, e la sua testimonianza è stata respinta dalla giustizia “Winka” (bianca) processando il giovane weichafe per usurpazione e resistenza all'autorità aggravata dall'uso di armi (pali, pietre ed elementi contundenti).
Precisamente González, attraverso un comunicato indicò:
“Ogni 25 novembre si ricorda Rafael Nahuel come una vittima del grilletto facile o perché è morto in quella menzogna che chiamano democrazia. Però pochi lo ricordiamo per quello che veramente era: un weichafe ucciso nella lotta che non ha dubitato delle sue convinzioni quando si è trattato di lottare per la sua terra e la sua famiglia. È questo l'esempio che dobbiamo seguire per cambiare l’attuale stato di cose: lottare per una nuova coscienza, per nuovi valori, lottare per un bene collettivo che vada a beneficio della maggioranza del nostro popolo, maggioranza che è povera e senza terre”.
“Considerando che oggigiorno dobbiamo affrontare le idee e i valori predominanti promossi dai potenti e dai grandi imperialisti, contro il “si salvi chi può”, dove ognuno cerca un modo per risolvere i propri problemi indipendentemente dal fatto che sia a discapito della sfortuna altrui. Se c’è qualcosa che caratterizza questa generazione, è che deve lottare per nuovi valori, per una nuova coscienza, opporsi alle idee predominanti, mettere in discussione ciò che la maggioranza considera verità.
Per questo motivo dobbiamo avere molti criteri propri”.
“Quello che voglio far sapere alle nuove generazioni, mapuche e no, che hanno adesso l'età più propizia per coltivare ognuno le proprie idee e principi rivoluzionari, sovversivi o ribelli, è che per fare quello che uno pensa non bisogna chiedere il permesso. È meglio commettere un errore che, in caso di dubbio, starsene seduti a guardare".
“Dobbiamo anche avere ben chiaro che in questo cammino si perde molto più di quanto si guadagna, perché affrontiamo un nemico con infinite risorse. Ma se siamo impegnati e coerenti con le decisioni che prendiamo, non importa quante volte perdiamo”.
“Detto questo, mando un saluto di lotta a tutte le comunità in resistenza in tutto il puel mapu (territorio mapuche). E dico anche che la mia decisione è sempre la stessa: non negoziare con il sistema giudiziale e non importano nemmeno le condizioni, nè il tempo, benchè sia duro, mi logorerà o mi demoralizzerà".
Maria Nahuel, zia di Rafael Nahuel e madre della machi Betiana Colhuan (detenuta dallo scorso 4 ottobre insieme ad altre donne mapuche), ha affermato: “Patricia Bullrich è un'assassina” (responsabile di aver coordinato l'operativo che diede la morte a Rafael Nahuel). “Uno morirà, due moriranno, ma 10 risorgeranno. Non ci spaventano. Continueremo a lottare. Noi non rubiamo niente a nessuno, Rafael Nahuel è stato ucciso dallo Stato”.
“Non mi preoccupa il grido dei violenti, dei corrotti, dei disonesti, degli immorali. Quello che più mi preoccupa è il silenzio dei buoni”,
diceva Martín Luther King.
Questa frase, che abbiamo letto probabilmente molte volte, racchiude la realtà del nostro tempo. La cosa incredibile è che, nonostante tutto, dormiamo quasi tutti tranquilli, il che significa che i potenti hanno saputo anestetizzare molto bene le nostre coscienze, mentre crimini aberranti continuano ad essere commessi e i diritti umani continuano ad essere calpestati.
La società è assonnata, assopita, letargica.
Il conformismo e la mancanza di impegno sociale sono una caratteristica distintiva della nostra società latino-americana; solo i popoli originari resistono insieme a quelle poche cellule che gridano contro il potere dominante, quello stesso potere che ci tiene in bilico di fronte alla minaccia latente di un'estinzione totale dovuta ad un'imminente guerra mondiale nucleare.
Ma continuiamo a dormire…
Purtroppo, Eduardo Galeano aveva ragione quando diceva: “Siamo troppo abituati ad accettare l'ingiustizia”.

Foto concessa per gentilezza di Eugenia Neme

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