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Procura di Roma attende decisione Onu su immunità diplomatica dei suoi dipendenti Pam

È stato ascoltato anche André Mushahara Murwanashaka, l’ultimo dei 5 imputati che si trovano alla sbarra per l'uccisione dell'ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e il loro autista Mustapha Milambo, uccisi in Congo il 22 febbraio dell'anno scorso. Sentito ieri nella settima udienza del processo di Kinshasa, il 24enne ha negato le accuse. Lo si è appreso dalla capitale della Repubblica democratica del Congo (Rdc) dove il processo è stato aggiornato nuovamente di una settimana, stavolta a mercoledì 30 novembre. Il nuovo rinvio è stato motivato con l'esigenza di analizzare alcune prove "in contraddittorio" nel processo “lampo” che dal mese scorso si celebra davanti a un tribunale militare di Kinshasa a carico di sei congolesi accusati per l'agguato in cui fu ucciso Attanasio. Si tratta di Murwanashaka Mushahara André, appunto, Shimiyimana Prince Marco, Bahati Antoine Kiboko, Amidu Sembinja Babu (alias Ombeni Samuel) e Issa Seba Nyani. Il sesto, Ikunguhaye Mutaka Amos, detto Uwidu Hayi Spera, è giudicato in contumacia perché latitante. Le accuse a loro carico sono, a vario titolo, di omicidio, associazione a delinquere e detenzione illegale di armi e munizioni da guerra, imputazione che giustifica il ricorso al tribunale militare. Luca Attanasio, 43 anni, era stato ferito a morte da colpi di arma da fuoco in un'imboscata tesa da criminali a un convoglio del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite (Pam) con cui viaggiava ai margini del Parco nazionale dei Virunga, nella provincia di Kivu Nord, area ad alto rischio da tre decenni. Presentato dall'accusa come il responsabile del pedinamento del convoglio dell'ambasciatore, André Mushahara ha contestato tutto il contenuto del verbale e la sua propria firma. "Da quando sono nato non sono mai stato a Kibumba, né a Nyiragongo", la zona dove è stato attaccato il convoglio di Attanasio, ha sostenuto l'imputato, come riporta l'agenzia Afp. Anche gli altri quattro imputati avevano sostenuto di aver reso iniziali confessioni perché estorte loro con la violenza. Nella scorsa udienza è stato sentito il presunto omicida, Shimimana Prince Marco. La Procura di Roma, infine, lo scorso 15 novembre ha chiesto il rinvio a giudizio di due dipendenti del Pam, Rocco Leone e il suo collaboratore Mansour Luguru Rwagaza, con l'accusa di omicidio colposo per aver "attestato il falso" organizzando la missione del nord del Paese africano durante la quale furono uccisi Attanasio, Iacovacci e Milambo. Il procuratore Francesco Lo Voi e l'aggiunto Sergio Colaiocco, contestano ai due il reato di omicidio colposo. Secondo la procura, i due indagati avrebbero "omesso, per negligenza, imprudenza e imperizia ogni cautela idonea a tutelare l'integrità fisica dei partecipanti alla missione PAM”. La missione "percorreva la strada Rn2 sulla quale, negli ultimi anni, vi erano stati almeno una ventina di conflitti a fuoco tra gruppi criminali ed esercito regolare". Il convoglio venne bloccato dai sequestratori e Luca Attanasio e Vittorio Iacovacci morirono in uno scontro a fuoco. Attanasio fu ferito all’addome, Iacovacci a un fianco e al collo. Le indagini delle autorità congolesi hanno portato all'identificazione di cinque presunti membri del gruppo di sequestratori, tutt'ora sotto processo. Secondo la procura di Roma, i due funzionari del programma alimentare mondiale, "avrebbero attestato il falso al fine di ottenere il permesso dagli uffici locali del Dipartimento di sicurezza dell'Onu, indicando nella richiesta di autorizzazione alla missione, al posto dei nominativi dell'ambasciatore Attanasio e del carabiniere Iacovacci, quelli di due dipendenti Pam così da indurre in errore gli uffici in ordine alla reale composizione del convoglio e ciò in quanto non avevano inoltrato la richiesta, come prescritto dai protocolli Onu, almeno 72 ore prima". La presenza del diplomatico e del carabiniere avrebbe obbligato l'organizzazione a fornire una scorta armata al convoglio. E proprio l'assenza di scorta segnò il destino dei due italiani. In questa vicenda - che vede coinvolti Leone e Rwagaza - il bandolo della matassa si aggira intorno alla loro potenziale immunità. È attesa infatti la reazione dell'organismo delle Nazioni unite che potrebbe avvalersi dell'immunità diplomatica per i suoi due dipendenti o, in caso contrario, permetterà lo svolgimento del processo. Con ogni probabilità, come suggerisce il giornalista Luca Attanasio (omonimo) sulle pagine del Domani, “il Pam invocherà per i suoi dipendenti l'immunità diplomatica che viene riservata a funzionari dell'Onu accreditati in tutto il mondo. La questione su cui ruota tutto è il mancato accredito dei due presso lo stato italiano che, secondo i legali dell'organismo Onu, non era necessario in quanto i due operavano in Congo”. “Per i nostri inquirenti è precondizione per avere garantita l'immunità diplomatica - scrive -: il Programma alimentare mondiale, infatti, ha sede a Roma e, come da accordi, per avere riconosciuta l'immunità dei suoi dipendenti, deve prima presentare richiesta di accreditamento presso il nostro stato. Si attende entro la fine dell'anno di capire come andrà a finire la vicenda, se il gup accoglierà l'istanza del Pam e non darà luogo a procedere o se invece la rigetterà e si potrà andare avanti con il processo”.

Foto © Imagoeconomica

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