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Xi Jimping al congresso del partito Comunista: “Non rinunceremo mai all’ipotesi di usare la forza per fermare ogni movimento separatista”

Non ci saranno ulteriori fraintendimenti sulla direzione politica della Cina, all’interno dello scontro geopolitico con l’Occidente. Lo ha chiarito il presidente Xi Jinping (in foto) che, all’apertura del 20° congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, presso la Sala del Popolo a Pechino, ha ribadito come il suo governo è impegnato nella riunificazione pacifica con Taiwan, ma potrebbe usare la forza se necessario.
Risolvere la questione di Taiwan è una questione che spetta al popolo cinese stesso e deve essere risolta dal solo popolo cinese. Aderiremo alla lotta per la prospettiva di una riunificazione pacifica con la massima sincerità e i maggiori sforzi, ma non ci impegneremo mai ad abbandonare l'uso della forza e ci riserveremo la possibilità di prendere tutte le misure necessarie", ha affermato Xi.
Parole che assumono un significato ancora più forte, se rapportate alle grandi manovre cinesi di agosto, che hanno simulato un blocco navale dell’isola, accompagnate poi da continui voli di cacciabombardieri intorno a Taiwan.
Da quando l’attuale primo ministro dell’isola Tsai Ing-wen ha ottenuto la vittoria nelle elezioni del 2016, ha messo in discussione i contenuti del "consenso del 1992", basati sul principio di un’unica Cina ed ha sostenuto un’iniziativa indipendentista della regione, avviando accordi bilaterali economici e militari con gli Stati Uniti.
L’offerta di Pechino a Taipei resta sempre quella del modello “Un Paese due sistemi”, un tipo di sovranità che “quasi tutti i paesi del mondo riconoscono, il che significa che non stabilirebbero contatti diplomatici con il governo secessionista dell'isola”.
Una strada, quella dell’indipendenza, sulla quale Washington da tempo aizza allo scontro. "Se la Cina attaccherà gli Usa difenderanno Taiwan", aveva tuonato poche settimane fa il presidente Joe Biden al programma 60 Minutes" sulla Cbs.
Intanto continuano le forniture di armamenti indirizzati a Taipei. Una versione modificata del disegno di legge sulla difesa offerta martedì dal presidente dei servizi armati del Senato Jack Reed (DRI) autorizza fino a 10 miliardi di dollari in totale assistenza per finanziamenti militari esteri del Dipartimento di Stato per Taiwan: 2 miliardi di dollari all'anno fino all'anno fiscale 2027. Mezzo miliardo di dollari in più rispetto all’emendamento originale presentato dal Sens. Bob Menendez.
Se approvato, lo stanziamento andrebbe ad aggiungersi a una vendita di armi da 1,1 miliardi di dollari a Taiwan approvata dall'amministrazione Biden a settembre che includeva missili antinave Harpoon e missili aria-aria Sidewinder per i caccia F-16 di Taipei.
"Dobbiamo anticipare una crisi futura e dare a Xi Jinping ragioni per pensarci due volte prima di invadere o costringere Taiwan", ha affermato il senatore Risch, in una dichiarazione a quotidiano politico.
La Cina oggi rappresenta la più grande sfida per l’egemonia americana: in dieci anni il Pil è più che raddoppiato, arrivando a 16 mila miliardi di euro, portando il paese a contare per il 18% nella ricchezza mondiale. Pechino già nel 2012 ha raggiunto i 3,87 trilioni di dollari di importazioni, superando il primato degli gli Stati Uniti, che nel 2019 persero anche la supremazia sui brevetti depositati: 58.990 brevetti cinesi contro i 57.840 statunitensi secondo l’Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale.
Alla fine del congresso, ai 2.296 delegati, Xi ha ricordato che i 96 milioni di comunisti tesserati dovranno affrontare una auto-rivoluzione, per “rafforzare la fiducia in noi stessi e il senso di missione gloriosa del Partito, in modo di non poter essere intimoriti dalle circostanze avverse o dalle pressioni”, ha osservato.

Foto © Imagoeconomica

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