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In ricordo del musicista cileno, e della sua arte militante

Un artista impegnato. Un militante sociale. Un musicista e compositore. Un direttore di teatro. Un marito. Un padre. Un membro delle Gioventù Comunista del Cile.
Víctor Jara è stato tante cose. Ma oggi, continua ad essere quell'uomo che trasmise il suo coraggio, la sua passione e desiderio profondo di giustizia, alle corde della sua chitarra, alla vibrazione della sua gola ed alle sue lettere combattive che inspirarono rivoluzioni.
Un uomo che senza dubbio ebbe paura, ma decise di continuare a cantare nonostante tutto.
Le sue canzoni di protesta rimangono attuali ancora oggi come 49 anni fa. Forse, se cantassi ancora oggi, i nuovi governi lo perseguiterebbero anche oggi. Perché grazie al suo carisma ed alla sua sensibilità, Victor scuoteva, e continua a scuotere migliaia di cileni, attraversando cuori e coscienze con la sua arte di denuncia.
Nel 1971 fu nominato ambasciatore culturale, lo stesso anno in cui assunse la presidenza del Cile il socialista Salvador Allende. Successivamente, fu assunto come professore al Dipartimento di Comunicazioni dell'Università Tecnica dello Stato.
L’11 settembre del 1973, quando l'Esercito comandato da Augusto Pinochet - eletto alcune settimane prima come comandante in capo - fece il colpo di Stato contro Salvador Allende, Jara si trovava all'Università Tecnica dello Stato. Ed è lì che andarono i militari, e lo fermarono insieme ad altri professori ed alunni, per poi portarlo allo Stadio del Cile, oggi chiamato Stadio Victor Jara.
Vi rimase diversi giorni sequestrato insieme a migliaia di persone, e scrisse il famoso poema, il suo ultimo grido di arte, la sua ultima espressione di denuncia:

Il sangue del Compagno Presidente
colpisce più forte che le bombe e le mitraglia.
Così colpirà di nuovo il nostro pugno.

Canto, che cattivo sapore hai
quando devo cantar la paura.
Paura come quella che vivo,
come quella che muoio, paura.

Di vedermi fra tanti e tanti
momenti di infinito
in cui il silenzio e il grido
sono i fini di questo canto.

La sua morte è un simbolo che il valore e l’impegno ci rendono eterni. Non c'è morte più grande, più degna che morire per gli amici, diceva Gesù oltre duemila anni fa. E come lui, Victor ed altri, tanti, uomini e donne, lasciarono la propria vita per i loro compagni, per gridare sempre contro ogni ingiustizia, per denunciare con amore che, giustamente, manca l’amore.

E 49 anni dopo, nonostante gli strappassero le dita, la lingua e infine crivellarono di colpi la sua umanità, l'artista militante ha superato le frontiere e riempì di musica e di idee rivoluzionarie le menti e i cuori di tanti giovani, di tanti compagni.
E come un tempo cantava, così è che ogni volta che un martire cade, migliaia di coscienze si alzano.
“Un canto che sia stato coraggioso sarà sempre una canzone nuova”.

Foto di copertina: indiehoy.com

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