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Martedì 2 agosto alle 17 (ora di Mosca) il mondo è stato sull’orlo della terza guerra mondiale. Nancy Pelosi, rappresentante della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, dopo mesi di annunci sulla visita di Taiwan martedì è atterrata a Taipei. Il colonnello Douglas McGregor, ex consigliere del capo del Pentagono dell’amministrazione di Trump, ha definito la politica americana pericolosa, affermando: “L’amministrazione di Joe Biden è stupida, la loro politica nei confronti di Taiwan è spericolata e pericolosa. Se la Cina decide che militarizzeremo Taiwan per usarla come base contro di essa, invaderà sicuramente - e non siamo in grado di fermarla”. Come riportato da “RIA Novosti” il colonnello ha asserito che gli USA non sono pronti per la guerra: “Non abbiamo infrastrutture logistiche nel Pacifico occidentale per condurre una tale guerra” e ha continuato: “Provochiamo irresponsabilmente i cinesi proprio come abbiamo provocato i russi nella situazione intorno all’Ucraina, ignorando gli avvertimenti di Pechino proprio come abbiamo ignorato gli avvertimenti del governo russo”.
Il potere esecutivo degli Stati Uniti ha preso le distanze dalla decisione di Pelosi e rispettando il principio della separazione dei poteri, Joe Biden (responsabile del potere esecutivo) non ha impedito a Nancy Pelosi (responsabile del potere legislativo) di visitare Taiwan, nonostante abbia criticato le sue azioni. Martedì un Boeing governativo è decollato da Kuala Lumpur, capitale della Malesia, in direzione sud per trasportare Pelosi a Taiwan. L’aereo è stato scortato da due portaerei americane. Nel frattempo, nello stretto di Taiwan, come già era stato preannunciato da Pechino, si stavano già svolgendo esercitazioni militari. Pechino non ha mai appoggiato la visita americana a Taiwan, in quanto considera l’isola parte della Cina e sotto il suo controllo in linea con il principio dell’Unica Cina. Da quando il primo ministro Taiwanese Tsai Ing-Wen ha vinto le elezioni del 2016, il Paese ha messo in discussione i contenuti del "consenso del 1992", basati su questo principio e ha sostenuto un’iniziativa indipendentista della regione, avviando accordi bilaterali economici e militari con gli Stati Uniti.
Il coordinatore delle comunicazioni strategiche del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby a un briefing della Casa Bianca ha asserito: “Continueremo ad operare nelle acque e nel cielo dell’Oceano Pacifico occidentale, come abbiamo fatto per decenni. Continueremo a sostenere Taiwan, proteggere la regione indo-pacifica libera e aperta e ci sforzeremo di mantenere le comunicazioni con Pechino”. Il giornalista del New York Times Thomas Friedman ha dichiarato che la Cina dovrà essere punita, ma che in questo momento gli Stati Uniti non sarebbero in grado di sostenere una guerra sue due fronti, quella contro la Russia in Ucraina e quella contro la Cina. Ha poi affermato che è necessario armare Taiwan in modo da evitare uno scontro diretto tra Cina e USA. I lettori di Friedman si sono divisi, molti hanno chiesto alle rappresentate della Camera dei Rappresentanti di non andare, altri invece la incitavano a intraprendere la visita. Gli Stati Uniti a livello globale stanno lanciando provocazioni sempre più pericolose, rischiando di distruggere il mondo intero. Molti taiwanesi non avrebbero voluto che Pelosi incontrasse Tsai Ing-wen, alcuni di essi hanno anche protestato, ma non sono stati ascoltati; tra le motivazioni le importanti relazioni commerciali che l’isola ha con la Cina.
Se ci dovesse essere uno scontro tra Cina e USA la prima a pagarne le conseguenze sarà l’Europa. Per il vecchio continente oggi la Cina è il principale alleato commerciale, per cui se gli USA decidessero di imporre sanzioni a Pechino, l’economia europea crollerà, considerando già la difficoltà in cui si trova con le sanzioni imposte alla Russia. L’attraversamento della linea rossa da parte di Washington provocherà una guerra che metterà a dura prova anche gli Stati Uniti, ma essi avranno l’Europa, distrutta economicamente, ai loro piedi. Pechino per il momento non ha ceduto alle provocazioni di Washington ed ha così dimostrato di essere più responsabile del suo nemico d’oltremare nei confronti di tutta la popolazione mondiale.

Pechino avvia la guerra delle sanzioni
Alla notizia dell’atterraggio di pelosi all’aeroporto di Taipei, per molti commentatori, pare che il dragone cinese abbia lasciato che questa “grave provocazione”, sia stata portata a termine senza una risposta netta e adeguata. La Cina aveva minacciato un’escalation se l’alto funzionario americano fosse atterrato a Taipei e a supporto di questa affermazione, le truppe cinesi sarebbero state mobilitate in massa nelle regioni costiere più vicine all’isola di Taiwan. Inoltre, le manovre militari cinesi, annunciate il 2 agosto, hanno circondato l’isola di Taiwan per intero, un chiaro segnale verso il governo di Taipei. Vi hanno partecipato più di 100 aerei da guerra e 10 vascelli di superfice della marina.
Un episodio degno di nota è il sorvolo dello spazio aereo taiwanese da parte di 2 missili cinesi, probabilmente dei DF-15B (missili balistici a corto raggio), che hanno letteralmente attraversato l’isola asiatica da ovest ad est. L’intelligence USA ipotizza che tra i vari missili lanciati ci siano anche gli sperimentali DF-17, gli ultimi missili cinesi a capacità ipersonica, che si crede abbiano una gittata di 2000 chilometri. Alcuni aerei cinesi sono perfino entrati nei cieli taiwanesi; manovra che ha scatenato il decollo di aerei statunitensi da alcune basi giapponesi e ha fatto temere il mondo di un’imminente risposta militare di Pechino.
Così non è stato, la Cina ha infatti sferrato un duro colpo a Taiwan attraverso l’imposizione di un blocco alle importazioni di sabbia: questa manovra, che, comparata ad un attacco militare sembra non aver effetto alcuno, è invece un precisissimo attacco all’economia di Taipei, che in alcune regioni del paese importa fino al 90% della sabbia dalla Cina. Questa materia prima è utilizzata principalmente in due settori: quello edilizio, dal valore di circa 82,1 miliardi di dollari nel 2021, e quello della produzione dei semiconduttori, essenziali nella produzione di chip elettronici di cui Taiwan è il principale produttore al mondo. Il ruolo della sabbia è centrale nella produzione di microchip perché dalla sabbia si produce silicio puro al 99%, necessario alla produzione di componenti fino a 60.000 volte più piccoli di un capello umano. Per dare un’idea dell’importanza di questo componente per l’isola, basti pensare che alla fine dello scorso anno, i produttori taiwanesi occupavano addirittura il 66% del mercato principale globale, mentre paesi come la Corea del Sud, o la Cina si attestano rispettivamente al 17% e all’8%.

Foto: it.depositphotos.com

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