La madre: “Abbiamo speranza nel nuovo governo colombiano affinché ci aiuti nel percorso di verità”
Emergono nuovi elementi sulla morte di Mario Paciolla, il collaboratore delle Nazioni Unite morto il 15 Luglio del 2020 in Colombia all’età di 33 anni. Dopo due anni di indagini e due autopsie, una colombiana e l’altra italiana, grazie a quest'ultima si allontana sempre di più l’ipotesi avvalorata dall’ONU e dai medici forensi colombiani, i quali, descrivono la morte di Paciolla come la conseguenza di un suicido avvenuto per depressione.
L’ipotesi, mai accettata dalla famiglia e dagli amici di Paciolla, come dicevamo, è stata invalidata dall’autopsia eseguita in Italia dalla tossicologa forense Donata Favretto e dal medico legale Vittorio Fineschi, il cui esito, consegnato alla Procura di Roma nel 2020, descrive la morte del giovane giornalista napoletano come decesso circostanziato da prove che, non trovando alcuna spiegazione alternativa all'ipotesi del suicidio, supportano prevalentemente l'ipotesi di “strangolamento con successiva sospensione del corpo”.
Inoltre, ad accreditare ulteriormente i risultati dell’autopsia eseguita dai medici forensi italiani, alcuni dettagli resi noti grazie ad un articolo firmato dalla giornalista colombiana, nonché conoscente di Paciolla, Claudia Julieta Duque dal titolo “Mario Paciolla: due autopsie contraddittorie e il timbro dell'impunità”. Nell’articolo pubblicato dal quotidiano colombiano El Espectador si apprende: "Sebbene le coltellate sul cadavere potessero a prima vista essere classificate come autoinflitte, uno studio più dettagliato delle lesioni ha permesso ai medici legali di determinare che, mentre le ferite del polso destro presentavano ‘chiari segni di reazione vitale’, nella mano sinistra mostravano ‘caratteristiche sfumate di vitalità’, o ‘vitalità diffusa’, che li portava a suggerire che alcune delle ferite potessero essere inflitte ‘in limine vitae o anche post-mortem’, cioè quando Paciolla era in uno stato agonizzante o era già morto”.
L’articolo della giornalista colombiana Duque sottolinea anche le difficoltà riscontrate dai medici legali italiani a causa della cattiva gestione del lavoro investigativo svolto in Colombia: “Gli esperti dell'Istituto di Medicina Legale italiano hanno criticato la cattiva gestione del cadavere, la descrizione imprecisa del solco (il segno che produce la pressione estrema sul collo e che permette di differenziare l’impiccagione suicida dallo strangolamento omicida) e del modo in cui era disposto il lenzuolo che lo ha provocato, l'insufficiente documentazione fotografica, così come la mancanza di dettagli su, ad esempio, i rilievi delle ferite che presentava il corpo.” - prosegue - “Tutto questo ha reso impossibile stabilire con assoluta certezza la causa della morte del 33enne napoletano".
Le indagini sulla morte di Paciolla non sono state rallentate solo dalle negligenze delle autorità colombiane ma, anche da quelle di funzionari ONU come Christian Thompson che, senza valido motivo, oltre a ripulire con della candeggina il luogo dove Paciolla aveva perso la vita, decide di portare in discarica diversi elementi presenti sulla scena.
Per questi ed altri motivi, a due anni dalla morte di Mario, i suoi genitori Giuseppe Paciolla e Anna Maria Motta, continuando la loro battaglia per la verità, hanno presentato a Bogotà una denuncia contro i due funzionari ONU Christian Thompson e Juan Vasquez, e quattro agenti di polizia con l’ipotesi di “alterazione della scena (della morte) e ostruzione della giustizia”.
Intervistata dai colleghi di Fanpage.it, la mamma di Paciolla, Anna Maria, non manca di pronunciare parole di speranza rivolte al nuovo governo progressista colombiano: “Abbiamo la speranza che questo nuovo governo colombiano ci aiuti in questo percorso di verità.” - continua - “Mario era un ragazzo con la schiena diritta e non avrebbe mai accettato compromessi, questa certezza, senza dubbio, ce l'abbiamo”.
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