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Stefania Maurizi: “Non è tutto perduto, solo pressione pubblica può salvarlo”. La moglie di Julian annuncia nuovo estremo ricorso

Stop the extradition!” “Journalism is not a crime”. Sono questi alcuni degli striscioni che una quarantina di cittadini hanno sollevato martedì scorso davanti a Porta Pia, a due passi dall’ambasciata del Regno Unito nel corso del sit-in organizzato da Amnesty International per chiedere la liberazione di Julian Assange. Una manifestazione di solidarietà nei confronti del ‘giornalista australiano fondatore di Wikileaks celebrata a Roma e in contemporanea in altre città del mondo come Londra, dove centinaia di persone si sono radunate davanti al ministero dell'Interno britannico, che avrà l’ultima parola sull’estradizione del cinquantenne. Estradizione che è stata approvata di recente dalla Corte di Westminister, negli Stati Uniti dove - se processato - in base all’”Espionage Act”, una legge USA del 1917, rischia 175 anni di carcere, praticamente tre vite. A Priti Patel, ministra degli Interni britannico molto vicina alla compagine Tory del premier Boris Johnson, spetta la firma del decreto di estradizione che come sottolineano le varie piazze che martedì hanno solidarizzato con Assange, significherebbe morte certa oltreoceano. La firma era attesa per ieri ma è probabile che giunga nei prossimi giorni o ad ore. Nel mentre, Stella Moris, moglie di Assange, ha annunciato che insieme ai legali del marito tenterà un ultimo, estremo ricorso alla giustizia britannica per fermare l'estradizione. “Non tutto è perduto”, ci dice Stefania Maurizi, giornalista de Il Fatto Quotidiano e amica di Assange. “Dobbiamo rendercene conto, altrimenti non saremmo qui. Ci sono ancora dei margini”. Stefania Maurizi, che di recente ha scritto un libro per Chiarelettere dal titolo “Il potere segreto” ha ribadito che mobilitazioni internazionali come quella di martedì - alle quali hanno partecipato, tra le varie sigle, anche Articolo 21, #Retenobavaglio, Usigrai e artisti come Davide Dormino e i giovani di Our Voice - sono fondamentali per impedire l’estradizione di Julian.
La presenza della società civile accanto ad Assange è decisiva. Julian non vincerà con la legge, perché i tribunali e le corti lo hanno distrutto. La soluzione non è la legge ma la pressione dell’opinione pubblica, ecco perché è cruciale che ci siano manifestazioni, sit-in, proteste”. “Qualsiasi cosa - ha affermato - aiuta a creare la pressione pubblica”.
"Qui in gioco non ci sono notizie su hobby e tempo libero, bensì su crimini di guerra commessi dalle forze statunitensi in Iraq e Afghanistan”, ha dichiarato ancora all'Agenzia Dire Riccardo Noury, portavoce di Amnesty. "Il paradosso è che chi ha commesso quei crimini è rimasto impunito, mentre chi li ha denunciati rischia una condanna a 175 anni di carcere, un processo iniquo, e ha già subito anni di carcere duro equivalente a tortura".


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L’occasione mancata con la respinta della mozione
Attualmente Assange è detenuto nella prigione inglese di massima sicurezza di Belmarsh a Londra ormai da tre anni, dopo un'annosa permanenza per ragioni di sicurezza nell'ambasciata dell'Ecuador della capitale britannica. Ha perso la libertà il 7 dicembre del 2010, quando cominciarono a piovere su di lui accuse di vario genere, la più grave delle quali è quella di essere una spia al soldo di potenze straniere. Secondo i suoi sostenitori i dossier segreti che, tramite Wikileaks, sono stati resi pubblici, documentano i crimini di guerra compiuti dagli Stati Uniti nel corso dei conflitti in Iraq e Afghanistan, ma anche affari sporchi di lobbies, banche e governi di ogni colore e nazione. “Assange rischia concretamente di morire per via delle condizioni carcerarie terribili nelle quali si trova e verrebbe portato in un buco nero per 175 anni”, ha detto Pino Cabras, deputato di Alternativa C’è. “Questo è il lato che ci angoscia di più. Ma c’è anche un aspetto politico: l’Occidente ha fallito nel raccontare sé stesso e difendere la sua capacità di essere autenticamente democratico. C’è molta retorica nel giornalismo occidentale che oramai cade di fronte alla vicenda Assange, che ormai è un perseguitato che fa d’esempio per chiunque voglia cercare la verità”. Cabras, insieme al suo partito, aveva portato in Parlamento una mozione per riconoscere al fondatore di Wikileaks lo status di rifugiato politico. Mozione che, però, è stata respinta per via dell’ondata di astensioni contro la quale si è dovuta infrangere. Astensioni giunte anche da chi, come il M5S, per anni, da forza di opposizione, aveva battagliato a difesa del giornalista. Quella mozione, ha affermato Cabras ai nostri microfoni, “se approvata sarebbe stata una prova di intelligenza diplomatica e democratica da parte dell’Italia”. “Certo - ha precisato Cabras - la mozione avrebbe creato qualche problema diplomatico con l’ambasciata britannica ma nulla di irrimediabile”.  “Prevedo che nello Stato italiano ci saranno molte lacrime di coccodrillo”, ha aggiunto il deputato. “Sentiremo molta retorica da parte di deputati che si lamenteranno che non è stato fatto abbastanza. Avrebbero potuto fare molto di più con le iniziative che abbiamo intrapreso noi di Alternativa C’è”. Sulla questione della mozione, una delle poche e buone iniziative intraprese dal parlamento Italiano a difesa di Assange si è espresso anche Nicola Morra, senatore e presidente della Commissione Antimafia. “Il Parlamento negli ultimi è chiamato soltanto a ratificare decreti legge che devono essere convertiti in legge attraverso voti di fiducia, per cui la funzione parlamentare negli ultimi anni si è degradata in maniera vergognosa e gravissima per la democrazia Italiana e la coerenza coi valori costituzionali”, ha affermato Morra. “Però quantomeno, chi di dovere, penso alle nostre istituzioni governative e ministeriali, dovrebbe far capire, sia all’Inghilterra, sia agli Stati Uniti, che forse sarebbe il caso di manifestare apertura, intelligenza e rispetto - non misericordia - nei confronti di un uomo che ha fatto semplicemente il suo dovere”.


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Lo scultore, Davide Dormino


Diritto di informazione per la vera democrazia
Sempre il senatore Morra ha aggiunto, riferendosi però alla vicenda drammatica che ha sta subendo Assange, che “la democrazia è concessione di libertà di parola e dunque anche di informazione, stampa ed espressione”. “Mi sembra che in maniera inequivocabile il caso di Julian Assange ci faccia comprendere come a parole si sia democratici in tante parti del mondo salvo poi calpestare in maniera violenta e aggressiva il diritto di tutti noi ad essere informati e il diritto/dovere di Julian Assange, giornalista esemplare, a informare”, ha dichiarato. “Di conseguenza chi sta cercando, nel silenzio di tanti, di far scomparire dalla scena mediatica il caso Assange è complice di questo silenzio omertoso”. Di media, infine, ha parlato anche Marco Rizzo, anche lui presente al sit-in di fronte a Porta Pia a Roma.

Oggi siamo abituati, a partire dall’Italia ad un giornalismo conformista, venduto, fatto di persone che sostanzialmente sono pronte a cambiare bandiera sulla base di qualunque potere”, ha affermato. “Assange dimostra che si può essere liberi”. “La battaglia per la libertà di Julian Assange è una battaglia per lui, per l’informazione e per la vera democrazia”. Come italiani, però, ha aggiunto, “abbiamo un modello di autodifesa che possiamo mettere in campo. Ma i grandi giornali e le grandi trasmissioni televisive segnano un pensiero unico, dicono sempre le stesse cose e la stessa velina. Noi sappiamo che sono cose finte e quindi dobbiamo leggere i giornali, guardare le televisioni e poi pensare esattamente l’opposto e scopriremmo che i buoni sono i cattivi e molte volte i cattivi non sono poi così tanto cattivi”, ha spiegato. 

Nel frattempo, ad aggiungersi alle richieste di scarcerazione e di no all’estradizione negli USA, ieri ci sono state anche quelle del Consiglio d’Europa. Dunja Mijatovic, commissaria del Consiglio d'Europa per i diritti umani, ha scritto alla ministra degli interni Patel, domandando di non procedere con l'estradizione di Julian Assange verso gli Stati Uniti. Mijatovic ha affermato che "le ripercussioni su un ampio ventaglio di diritti umani di un'eventuale estradizione non sono state ancora adeguatamente considerate" riferendosi in particolare agli effetti negativi che questa decisione avrebbe sulla libertà di stampa. "Le accuse rivolte ad Assange negli Stati Uniti sollevano importanti questioni sulla protezione di coloro che divulgano informazioni classificate segrete nell'interesse dell'opinione pubblica" e procedere con l'estradizione "potrebbe compromettere il compito della stampa nel fornire informazioni e quello di 'cane da guardia' nelle società democratiche", sostiene Mijatovic.


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