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30 anni senza giustizia, 30 anni senza indagini, 30 anni di menzogna

Alle 14:45 di martedì 17 marzo 1992 un'esplosione fece crollare parte dell'edificio dove si trovava l'Ambasciata di Israele in Argentina, situato all'incrocio tra le vie Arroyo e Suipacha, nel quartiere Retiro, nella Città Autonoma di Buenos Aires (CABA). 29 morti e oltre duecento feriti furono il saldo del primo attentato terroristico nel paese, nel contesto di profonde tensioni geopolitiche, scaturite alla fine della cosiddetta guerra fredda, e dall'inizio dell'instaurazione di democrazie neoliberiste.
"Quel terribile 92", è un termine coniato in Italia, che ricorda un anno segnato da fatti di sangue e di terrore. Quell'anno furono assassinati in attentati terroristici i giudici Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Francesca Morvillo, insieme ai membri delle loro scorte. Falcone e Borsellino sono stati, e continuano ad essere, i massimi esponenti dell'antimafia a livello mondiale, e le loro indagini miravano alle grandi cupole dei sistemi criminali che condizionano i destini della geopolitica. Una dimostrazione inequivocabile di ciò, è che in questi attentati parteciparono non solo i grandi capi mafia dell'epoca, ma anche agenti dei servizi segreti deviati. E, ancora più importante, le indagini giudiziarie portate avanti sono state costantemente alterate, al fine di produrre deviazioni e insabbiamenti, non solo per assicurare l'impunità dei diretti protagonisti, dei loro mandanti e delle cupole sulle quali i giudici investigavano, ma anche per utilizzare politicamente le loro morti.
In quel terribile ‘92, in Argentina, iniziò una scia di attentati terroristici, tra cui l’attacco all'edificio dell'AMIA (Associazione Mutual Israelita Argentina) avvenuto a CABA, nel 1994, dove morirono 85 persone e ci furono più di 300 feriti; e l'attentato alla Fabbrica Militare di Rio Tercero, in provincia di Cordoba, nell'anno 1995, dove morirono sette persone, ci furono oltre 300 feriti e la distruzione di numerosi edifici. Un attentato pianificato per occultare e insabbiare un traffico di armi gestito dal ‘menemato’ (governo Menem). Questi attentati, seppur perpetrati contro il popolo argentino, non avevano nulla a che fare con la cultura argentina; questi attacchi rispondevano a una logica sovranazionale, nel quadro delle tensioni geopolitiche che dominavano quei giorni.
Per quanto riguarda le indagini sugli attentati, una delle voci più coerenti è quella offerta dal giornalista Juan José Salinas, che ha avuto l'opportunità di seguire i casi sin dall’inizio. Da allora -resistendo all'apatia di gran parte della popolazione e alla disinformazione dei mass media e del sistema giudiziario menemato-, Salinas ha messo insieme una teoria che contrasta nettamente con quella imposta dal potere; partendo da questa ha scritto quattro libri, che descrivono non solo i fatti di quei tragici giorni, ma anche il contesto geopolitico e le correnti di influenza a cui appartenevano e appartengono, i distinti protagonisti che hanno preso parte a simile tragedia e al suo successivo insabbiamento. 
Durante un'intervista con la troupe giornalistica che affianca Daniel Tognietti, a radio AM 530, Salinas spiegò che “gli attentati rientravano in un regolamento di conti da parte di organizzazioni di narcotrafficanti e venditori d’armi che erano stati ‘messicanizzati’ (traditi) durante il riciclaggio di denaro sporco inerente a queste attività, in particolare nella vendita di armi a Bosnia e Croazia”.
“In entrambi gli attentati
(quello all'Ambasciata e quello all'AMIA, ndr.), erano presenti agenti dell’intelligence israeliana, non del governo di Israele. Il governo di Isaac Rabin (allora primo ministro di Israele, ndr.), occultò le indagini, perché stava lavorando agli accordi di pace con la Siria (Accordi di Oslo, ndr.), che furono rifiutati dalla destra israeliana e da certi settori dell'intelligence, in particolare quelli legati a Shin Bet o Shabak, impegnati nella contro-intelligence”. Va ricordato che Rabin finì per essere assassinato da Yigal Amir, che era legato a fazioni di estrema destra e a quei servizi di intelligence, con tutto ciò che questo implica.
L'Ambasciata di Israele era un pittoresco edificio a tre piani in stile francese, su una delle strade acciottolate di Retiro, una zona storicamente occupata dalla diplomazia internazionale. Oggi, in quel terreno c'è una piazza commemorativa, che invita a non dimenticare le vittime e i veri responsabili, dimenticati invece dalla giustizia. Secondo la versione ufficiale, costruita con il solo intento di travisare i fatti, quel terribile 17 marzo un'autobomba, una Ford F-100 guidata da un kamikaze, si schiantò contro la facciata dell'edificio, provocando danni strutturali irreparabili e uccidendo quasi immediatamente oltre 20 persone. Cifra ancora in discussione dato che inizialmente si parlava di 29 morti, per poi abbassarsi a 22. “Cosa è successo agli altri sette? Perché non c'era personale sensibile dell'Ambasciata tra le vittime?” si chiede più volte Salinas.
Per questioni di diritto costituzionale, trattandosi di territorio straniero all’interno del territorio nazionale, l'indagine ricadeva direttamente sulla Corte Suprema di Giustizia, quella corte "fedele" al ‘menemato’, come veniva definito dai media dell'epoca. La Corte scelse di aderire alle indagini del Mossad (il servizio di intelligence dello Stato di Israele) e a quelle dell'FBI americano. Entrambe, mai rese pubbliche ufficialmente, miravano a imporre la responsabilità diretta agli Hezbollah, (una fazione politica e militare islamica), con l'appoggio dello Stato iraniano. Questo "nemico", troverebbe conferma nelle teorie del complotto (non classificabili in altro modo), dell'attentato all'AMIA. Teorie sostenute dal pm Alberto Nisman, che da più di dieci anni è stato incaricato delle indagini, senza essere mai riuscito a fornire prove reali e concrete che servissero a chiarire i fatti. Invece, sostenne le sue ipotesi di lavoro fedeli alle ambasciate degli Stati Uniti e di Israele, e per questo i suoi privilegi di playboy, grazie alle informazioni che riceveva dall'ex agente (anche se per me questo tipo di gente non smette mai di lavorare), Jaime Stiusso, leader indiscusso della SIDE (Segreteria di Intelligence dello Stato, oggi AFI).
Riguardo all'esplosione, l'investigatore José Petrosino, spiega in un articolo pubblicato da pajarorojo.com.ar (diretto da Salinas), che la “Corte suprema dal 1995 ha indagato su come fosse avvenuta l'esplosione. Lo fece in primo luogo attraverso due perizie scientifiche realizzate da tre dei più noti (ingegneri) strutturalisti del paese, (Alberto) Puppo e (Arturo) Bignoli, di Buenos Aires, e (Rodolfo) Danesi dell'Università Nazionale di Tucumán, selezionati su richiesta della Corte per l'Accademia Nazionale di Ingegneria. Lo fece seguendo due metodi differenti, arrivando a una conclusione condivisa e tassativa, che l'esplosione era avvenuta dall’interno, molto probabilmente nel vuoto del portone principale che, veniva usato come deposito di materiali con i quali si stava ristrutturando la sede diplomatica. I risultati di queste perizie", segnalava Petrosino, "furono resi pubblici in agosto del 1996. Il sionismo attraverso la DAIA presieduta da Rubén Beraja ed il governo di Israele, attraverso l'ambasciatore Isaac Avirán, si opposero alla sua divulgazione, asserendo che chi presiedeva a queste indagini e gli ingegneri periti erano 'antisemiti, che volevano incolpare la vittima'; per sfuggire a queste accuse, la Corte Suprema convocò una Udienza Speciale di Compatibilità di Perizie realizzata il 15 maggio del 1997. In questa udienza speciale, in 12 ore di accesi dibattiti, i periti spiegarono come erano giunti alla conclusione che l'esplosione era avvenuta all’interno della sede diplomatica smontando gli argomenti dei 'periti' della Gendarmeria e Polizia Federale che sostenevano che la buca apparsa nella via Arroyo, di fronte alla porta principale diversi giorni dopo l'esplosione (apparentemente scavata da agenti della polizia Federale, ndr.) e alcuni pezzi di un pick-Ford evidentemente piazzati,  appartenevano ad un veicolo-bomba”.
"Gli esplosivi furono portati all’interno insieme al materiale di costruzione, in mezzo alle piastrelle, lo stesso giorno dell'attentato",
dice Salinas. Questa chiara evidenza fu contrastata dal primo momento e da lì fu creata l'ipotesi dell'autobomba. Tutto un inganno, tutta una farsa. In questo senso è importante l’analisi realizzata da Petrosino di alcuni fotografie scattate quel giorno, riassunte in un articolo di Pájaro Rojo del 19 ottobre del 2015, dove è dimostrato che l'esplosione avvenne all’interno dell'edificio e non fuori come la versione ufficiale ha voluto far passare.
Salinas demistifica per l’ennesima volta la storia ufficiale. In un articolo pubblicato nel suo sito a marzo del 2019 chiarisce che si è sempre voluto far passare che gli Hezbollah erano gli autori dell'attentato, nonostante questi lo avessero sempre negato. “Si dice che Israele pretendeva ripetutamente che la causa non fosse chiusa ma evita di fare riferimento al sorprendente fatto che Israele non si presentò come querelante nella causa a carico della Corte Suprema né fornì mai alcuna informazione rilevante che permettesse di progredire nell'identificazione dei responsabili”.
Salinas è stato sempre molto credibile nel mettere in evidenza le responsabilità dello Stato, rispetto all'occultamento degli attentati. Bisogna sapere distinguere le distinte gestioni di governo, e capire i tempi politici, non tutti i governanti hanno le stesse responsabilità, rispetto alla non azione giudiziale.
Siamo arrivati a 30 anni di impunità. 30 anni che hanno visto sostenere non solo una menzogna, ma anche il consolidarsi di numerose politiche di interesse geo-strategico allineate alle potenze occidentali, creando un contesto politico, economico, legale e soprattutto militare volto a sopraffare regioni intere nell’altro lato del mondo. Morti di vittime innocenti per giustificare gli ingiustificabili genocidi commessi dalle forze NATO, e non solo.

Foto di copertina: Telam

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