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Da Pechino no occupazione, ma cooperazione

Dopo il ritiro del contingente internazionale dall’Afghanistan ad agosto 2021, i talebani governano il Paese dell’Asia centrale. Su Kabul, ora che l’Occidente non è più presente, sta lavorando in maniera assidua Pechino, interessata a fare affari e risollevare il Paese.“Vogliamo aiutare l’Afghanistan a raggiungere la vera indipendenza e il vero sviluppo", sono state le parole del ministro degli Esteri cinese Wang Yi, in visita ufficiale a Kabul. Le tematiche trattate sarebbero state la ricostruzione del Paese, concessioni minerarie e visti. Il tutto alla luce del progetto cinese della Nuova Via della Seta.
Wang Yi, il 24 marzo, è stato in visita ufficiale a Kabul per conto del governo cinese. Ad accoglierlo in questa sua prima visita c’era il ministro degli Esteri afghano Amir Khan Muttaqi e il vice primo ministro Abdul Ghani Baradar.
Con la ripresa del potere dei talebani, l’Afghanistan - il cui governo non è riconosciuto da molti Paesi - è divenuto un Emirato islamico. La situazione sociale, economica, medica e culturale è catastrofica. Povertà estrema e carestie sono la norma. Il 97% della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Le donne e le bambine vengono represse seguendo i dettami dell’islam radicale. Non c’è libertà di espressione di alcun tipo, nemmeno artistica.
Ma la situazione attuale non è solo dovuta al governo talebano. Venti anni di occupazione degli eserciti occidentali nel Paese (Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia, Germania, Francia, Turchia, Canada, Australia, Spagna, Olanda, Danimarca, Svezia, Norvegia, ecc.) hanno provocato la dipendenza dagli aiuti umanitari ed economici, pari all’80% del bilancio statale, senza favorire la creazione di un sistema statale autosufficiente.
Inoltre i governi afghani durante l’occupazione - come quello di Hamid Karzai - erano palesemente corrotti e hanno favorito la produzione e il traffico di oppio ed eroina oltre al traffico di armi tramite signori locali. Forti erano anche i legami con i Talebani, che invece di essere combattuti venivano usati come pedine strategiche per gli interessi delle nazioni straniere. Non si può certo dire che gli attori internazionali coinvolti fossero stati all’oscuro di quanto avveniva in Afghanistan.
Tornando alla Cina, la visita di Wang Yi arriva dopo la visita in Pakistan dove ha partecipato al meeting dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica (OIC). L’interesse della Cina è di creare buoni rapporti commerciali con i Paesi vicini e con tutti i Paesi coinvolti nella Nuova Via della Seta (Belt and Road Initiative - BRI). La BRI permetterà alla Repubblica Popolare Cinese di espandere ancora di più il commercio della propria produzione interna verso l’Europa. Nel piano non sono previste solo rotte e hub commerciali, bensì ingenti finanziamenti oltre a veri e propri progetti infrastrutturali da realizzare in tutti i Paesi di transito. E l’Afghanistan non è da meno. Fondamentale per Pechino è stabilizzare il Paese risollevandolo dalla sua condizione di miseria. Sul piatto ci sarebbe la ricostruzione del Paese in cambio di concessioni minerarie.
Le risorse minerarie dell'Afghanistan sono stimate in 1 trilione di dollari. Già nel 2008 il governo afghano sostenuto dall’occidente aveva stipulato un accordo con la Cina per l’estrazione di rame a Mes Aynak. Oggi come allora ad occuparsi dei lavori estrattivi sarà l’impresa statale China Metallurgical Group Corporation (MCC). Riavviare il progetto permetterebbe ai talebani di ottenere liquidità e darebbe alla Cina una fornitura sicura di rame, un minerale sempre più difficile da reperire.
L’Afghanistan è l’esempio per eccellenza della dottrina Monroe e della strategia statunitense in politica estera: creazione di instabilità. Gli USA hanno spinto al collasso e incentivato il terrorismo internazionale in Afghanistan, Iraq e Siria al fine di colpire l’Iran, grande “nemico” dell’occidente. La strategia della Cina è completamente all’opposto: portare stabilità per incentivare i commerci.
La Repubblica Popolare mira anche a stroncare il terrorismo internazionale. Allacciare rapporti amichevoli con Kabul eviterebbe il proliferare di gruppi islamici radicali che dall’Asia centrale potrebbero entrare in territorio cinese attraverso la provincia dello Xinjiang, dove vive il gruppo separatista e a maggioranza islamica degli Uiguri.
“La Cina rispetta l’indipendenza, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Afghanistan e rispetta le credenze e i costumi religiosi dell’Afghanistan” ha affermato il ministro degli Esteri cinese, “vogliamo aiutare l’Afghanistan a raggiungere la vera indipendenza e il vero sviluppo e aiutare l’Afghanistan a padroneggiare il proprio futuro” ha concluso. Quindi sviluppare legami economici a beneficio dello sviluppo del Paese, ma sempre nel rispetto delle diversità culturali e nella non ingerenza nella politica interna.
Qui Pechino evidenzia la sua distanza rispetto all’Occidente che troppo spesso ha preso senza dare, imponendo i propri valori e divenendo un occupante dispotico invece che un interlocutore alla pari.
Dall’altra parte però viene portato alle sue estreme conseguenze il pragmatismo cinese, che pur di raggiungere i propri obiettivi riesce ad intrattenere rapporti addirittura con un regime islamista radicale, nonostante i cinesi abbiano spesso osteggiato il radicalismo di matrice islamica.
La Cina è ormai conscia del proprio ruolo di peso nel contesto internazionale. La stabilità, sia economica che politica, offerta dal dragone rosso attraverso cooperazione, commercio e sviluppo sta creando un punto di attrazione per molti Paesi allo sbando o relegati all’isolamento dalla comunità internazionale.
La Cina “promuove la pace” e “dobbiamo assumerci la nostra responsabilità per portare più stabilità e certezza in un mondo sempre più turbolento”, aveva detto il Presidente Xi Jinping a inizio marzo. Parole importanti in un momento storico irrequieto come questo che stiamo vivendo, dove lo spettro della guerra è sempre dietro l’angolo.

Foto: it.depositphotos.com

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