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La procura di Agrigento chiede al gip di archiviare l'inchiesta a carico della Mare Jonio di Mediterranea saving humans. "Certamente non può essere criminalizzato in sé lo svolgimento dell'attività di salvataggio di vite umane in mare, che anzi costituisce un obbligo giuridico per ciascun uomo di mare, come sopra meglio rappresentato", è la premessa della richiesta firmata dal procuratore aggiunto, Salvatore Vella e dal sostituto Cecilia Baravelli. L'inchiesta era a carico dell'armatore e coordinatore della missione, Giuseppe Caccia, e di Massimiliano Napolitano, quale comandante del rimorchiatore battente bandiera italiana, accusati di avere violato il testo unico sull'immigrazione, avendo effettuato il trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, consentendone illegalmente l'ingresso. E i fatti fanno riferimento al salvataggio, il 9 maggio 2019, di 30 migranti a bordo di un gommone alla deriva, poi condotti a Lampedusa il giorno dopo. Ai due era stato contestato anche di non essersi rivolti al centro soccorsi libico, pur avendo compiuto il salvataggio nella zona Sar della Libia ma, adesso sostengono, "la scelta degli indagati di non avanzare richiesta di Place of safety alle autorità libiche è assolutamente legittima e non contestabile. Il salvataggio delle vite in mare costituisce un dovere degli Stati e prevale sulle norme e sugli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell'immigrazione irregolare".
I magistrati nella richiesta di archiviazione spiegano che il rimorchiatore svolgeva effettivamente "un'attività di monitoraggio delle imbarcazioni cariche di migranti che sovente partivano dalla costa libica dirette in Italia"; era "stabilmente attrezzato" per svolgere, ove necessario, un'attività di salvataggio di vite umane in mare ("come di fatto è avvenuto nella vicenda oggetto del presente procedimento penale") e il suo personale era stato "adeguatamente formato per svolgere anche quest'attività". Soprattutto "Mare Jonio" "non era tenuto a dotarsi di alcuna certificazione Sar per le attività di salvataggio di vite umane in mare", poiché "non esisteva nell'ordinamento italiano alcuna preventiva certificazione diretta alle imbarcazioni civili per lo svolgimento di tale attività".
Quando la normativa italiana parla di "navi da salvataggio" fa riferimento alle imbarcazioni armate per il recupero e salvataggio di altre imbarcazioni e "non al salvataggio di vite umane, come si ricava dalle prescrizioni tecniche richieste per tale tipo di imbarcazioni". Una normativa nazionale che imporrebbe un numero massimo di naufraghi salvabili, "si porrebbe probabilmente in contrasto con le norme internazionali a tutela della vita umana in mare (sopra citate), che prevedono che nelle situazioni di emergenza legate a un naufragio è responsabilità del solo comandante dell'imbarcazione di salvataggio decidere quante persone imbarcare a bordo, strappandole dalla morte in mare". Decisione che deve essere presa in modo da non compromettere, sottolinea la procura agrigentina, "la stabilità della propria imbarcazione e conseguentemente le vite degli uomini a bordo (equipaggio e naufraghi salvati)". La individuazione del numero di naufraghi che, in un evento Sar, possono essere stivati a bordo di un'imbarcazione di salvataggio civile "non può certamente essere predeterminata, ma deve necessariamente essere legata anche a fatti contingenti, che variano caso per caso (composizione e numero del proprio equipaggio, condizioni climatiche, forza delle onde, vicinanza di altre imbarcazioni o dei mezzi di soccorso istituzionali, vicinanza del Pos, tempo meteorologico stimato...), oltre che alle caratteristiche strutturali dell'imbarcazione, proprio in relazione alla massima tutela che la Legislazione internazionale e nazionale riconosce alla vita umana".

Foto © Imagoeconomica

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