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La scorsa settimana, nell’insediamento che dovrebbe essere evacuato di Homesh, un adolescente palestinese è stato sequestrato dai coloni e sottoposto ad abusi fisici per più di due ore. È una pratica regolare in questo sito che la Corte ha ordinato molto tempo fa che rimanesse aperto ai Palestinesi

Tareq Zubeidi giace sul suo letto d’acciaio in un angolo del soggiorno poco illuminato, coperto fino al collo con una coperta sintetica mentre lui fissa il soffitto. Un ragazzo pallido di 15 anni, ancora senza un accenno di barba, con un sorriso dolce e una voce sussurrata. Se viene inavvertitamente toccato sulle gambe, soprattutto intorno alle ginocchia, balza su come se fosse morso da un serpente e la sua faccia impallidisce per il dolore. Incise sulla pianta dei suoi piedi ci sono due grandi cicatrici rotonde –il motivo per cui gli è impossibile alzarsi in piedi. Gli avevano coperto il volto quando i coloni gli hanno inflitto le ferite, ma è convinto che una delle ferite sia stata causata da un’ustione, probabilmente con un accendino tenuto sotto un piede fino a quando la carne non è stata bruciata, mentre l’altro piede è stato colpito con una verga di ferro. Tareq è stato costretto a letto da quella mattina di orrori di martedì scorso ed è ancora traumatizzato dall’evento.

Il grande villaggio di Silat al-Daher si trova sulla strada Nablus-Jenin, nella Cisgiordania settentrionale. Da un’alta collina si affacciano i resti dell’insediamento teoricamente evacuato di Homesh, che Israele ha smantellato in linea di principio come parte del cosiddetto processo di disimpegno del 2005. Allo stesso tempo, l’Alta Corte di Giustizia ha incaricato lo stato di annullare gli ordini militari di sequestro e chiusura che avevano proibito ai Palestinesi di accedere al sito, ma niente di tutto ciò è avvenuto in realtà. 

Poco dopo che il sito era stato evacuato, un gruppo chiamato “Homesh First” vi ha istituito una yeshiva [scuola ebraica]; i suoi studenti sono tra i più violenti dei coloni. Chiunque abbia mai provato ad avvicinarsi a Homesh sa di cosa –e soprattutto di chi– si tratta. La sentenza dell’Alta Corte è stata completamente calpestata e nessuno se ne preoccupa. A partire dal marzo 2020, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha documentato non meno di sette violenti attacchi ai Palestinesi da parte dei coloni della yeshiva di Homesh. In un caso hanno attaccato un gruppo di donne e un bambino, in un altro hanno preso a pugni un contadino con bastoni e pietre, in un terzo hanno rotto a sassate la gamba di un pastore, e per due volte hanno attaccato case e veicoli alla periferia del paese.

Il 17 agosto, un gruppo di giovani palestinesi di Silat al-Daher ha deciso di organizzare un picnic e un barbecue vicino a Homesh, nel boschetto che è il polmone verde del villaggio. Secondo quanto ci ha detto Tareq –aveva precedentemente raccontato gli eventi al ricercatore sul campo di B’Tselem Abdulkarim Sadi, che lo aveva incontrato il giorno dopo l’incidente ed era rimasto sconvolto dalle condizioni traumatizzate dell’adolescente– la storia è iniziata intorno alle 9 del mattino, quando i ragazzi si sono incontrati davanti al liceo locale, dove il nuovo anno scolastico era iniziato il giorno prima. Dei sei adolescenti, alcuni avevano abbandonato la scuola e altri avevano deciso di saltare un giorno di lezione all’inizio dell’anno. Tareq ha smesso di studiare in seconda media, quando aveva 13 anni, ed è andato a lavorare in una panetteria del villaggio che appartiene a suo zio.

Dopo aver comprato della carne di tacchino sono saliti a piedi sulla collina. La strada per i veicoli è bloccata a causa dei coloni di Homesh, che non lasciano avvicinare nessun Palestinese. Poco dopo essere arrivati ​​sul posto, dove si erano seduti sotto un albero chiacchierando del più e del meno, il gruppo ha improvvisamente sentito delle voci che parlavano ebraico. Tareq ricorda che sia lui che i suoi amici sono stati presi dalla paura. A poche decine di metri da loro, è apparsa un’auto grigio argento con a bordo quattro coloni, seguiti da altri due a piedi. Solo poche centinaia di metri separavano il luogo del picnic da quello che era Homesh, con il suo grande serbatoio, il suo marchio distintivo, che non è stato demolito nell’evacuazione del 2005.

I ragazzi si sono immediatamente alzati e sono scappati per salvarsi la vita. Ogni idea di picnic per quel giorno era sparita dalle loro menti. Ma Tareq si era fatto male a una gamba durante la salita e non poteva muoversi velocemente. L’auto gli è corsa dietro, gli ha dato una spinta e l’ha buttato a terra. I quattro coloni sono scesi dall’auto e hanno iniziato a picchiarlo dappertutto e a insultarlo. Avevano una grande kippah sulla testa e lunghi riccioli al lati, racconta. Uno è tornato alla macchina per prendere una corda, con la quale poi gli hanno legato le mani dietro la schiena e gli hanno legato anche le gambe. Tareq gridava di paura e dolore. I coloni lo hanno preso a calci, racconta, mentre giaceva immobile a terra.

Poi lo hanno sollevato e l’hanno messo sul cofano dell’auto, legandolo al veicolo con una catena di ferro per non farlo cadere. Hanno guidato l’auto per alcuni minuti fino a raggiungere lo stagno di Homesh. L’autista ha frenato bruscamente e Tareq è caduto, poiché i coloni avevano allentato la catena lungo la strada. Due autobus di coloni sono arrivati ​​sul posto, ricorda Tareq, ma non è chiaro se abbiano preso parte agli abusi. Qualcuno gli ha spruzzato sulla faccia dello spray al peperoncino, un’altra persona lo ha preso a calci. Sdraiato a terra, era certo che stesse per essere ucciso. Alcuni altri coloni si uniti ai calci. Poi lo hanno bendato con uno straccio. Tareq ha sentito che gli sputavano addosso e ha udito le loro raffiche di imprecazioni.

“È stata un’esperienza orribile e spaventosa”, dice, aggiungendo che pensa di essere rimasto sdraiato così per circa un’ora e mezza.

Poi i coloni lo hanno portato a un albero e lo hanno appeso per le mani, in modo che le sue gambe penzolassero nell’aria. Con un’altra corda hanno legato il suo corpo al tronco dell’albero. Pensa di essere stato in quella posizione per circa cinque minuti. “Proprio in quel momento ho sentito che un colono mi stava colpendo la pianta del piede con un’asta di ferro e un altro stava tenendo qualcosa che bruciava vicino alla pianta dell’altro mio piede”.

Tareq ci mostra le ferite alla pianta dei piedi. Dice che ha pianto e gridato per tutto il tempo, e che i coloni non hanno mai smesso di imprecare contro di lui. Quando lo hanno calato dall’albero uno degli assalitori lo ha colpito alla testa con una mazza. Uno di loro gli gridava: “Sono pazzo, sono pazzo”. Tareq ha perso conoscenza.

Quando si è ripreso, si è ritrovato in una jeep dell’esercito israeliano. Un soldato gli ha dato il suo cellulare in modo che potesse comunicare con qualcuno che parlava arabo, a quanto pare un agente dei servizi di sicurezza dello Shin Bet, che ha minacciato di arrestarlo se ci fosse stata una reazione con lanci di pietre nel villaggio. I soldati hanno chiesto la carta d’identità di Tareq e lui ha risposto che era ancora troppo giovane per averne una.

Il portavoce delle forze di difesa israeliane ha rilasciato questa settimana ad Haaretz la seguente dichiarazione sull’incidente: “Martedì 17 agosto è stato ricevuto un rapporto su Palestinesi che lanciavano pietre contro i coloni vicino all’insediamento evacuato di Homesh, che si trova nel settore della brigata territoriale Shomron [Samaria]. Dopo aver ricevuto il rapporto, i soldati dell’IDF hanno raggiunto il sito e hanno notato dei coloni che inseguivano un giovane palestinese. Il comandante della forza si è occupato dell’evento e ha riportato il giovane palestinese alla sua famiglia”.

Immediatamente dopo l’inizio dell’incidente, i cinque amici di Tareq hanno raggiunto Silat al-Daher e hanno detto alla sua famiglia che lui era rimasto indietro. Suo fratello maggiore Hisham e suo zio Murwah si sono precipitati all’incrocio all’ingresso di Homesh, ma avevano paura di procedere in auto sulla strada che portava all’insediamento. Dopo un po’ hanno visto un ufficiale dell’IDF, lo hanno chiamato e gli hanno raccontato cosa era successo. Poco dopo una jeep dell’IDF ha riportato loro il ferito Tareq. Un’ambulanza palestinese che è passata per caso sull’autostrada con un paziente che era stato dimesso da un ospedale di Nablus si è fermata e il paziente, che era in buone condizioni, ha suggerito che l’ambulanza prendesse Tareq al suo posto. Insieme a suo fratello e suo zio, Tareq è stato portato all’ospedale governativo Khalil Suleiman a Jenin.

Secondo i registri dell’ospedale, è arrivato lì alle 13:03, ha subito una serie di test ed è stato dimesso il giorno successivo. Le lesioni fisiche erano meno gravi di quanto sembravano inizialmente, ma la lesione mentale era apparentemente più grave. Tareq racconta che da quel giorno non è più riuscito a dormire e che si sente ansioso, soprattutto al buio. Suo fratello e suo zio hanno dormito nella stessa stanza con lui.

“Se rimango da solo al buio, comincio a pensare a quell’incubo con i coloni. Sento che sto sudando in ogni parte del corpo. Sento che il mio cuore batte forte”. Nel frattempo, Tareq non può camminare senza aiuto: viene portato in bagno dai familiari. Le piante dei suoi piedi sono ferite e le sue ginocchia sono gonfie.

Fonte: haaretz.com

Tratto da: assopacepalestina.org

Traduzione di Donato Cioli - AssoPacePalestina

In foto: Tareq Zubeidi, quindici anni. I coloni lo hanno preso a calci, dice, mentre giaceva a terra, poi lo hanno messo sul cofano dell’auto, a cui l’hanno legato con una catena © Alex Levac

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