Le testimonianza dei sopravvissuti allo scorso 24 marzo: «C’erano spari e sangue ovunque. Siamo corsi via per non morire»
Dopo l’attacco avvenuto lo scorso marzo da parte di gruppi terroristici jihadisti, la situazione a Palma, Mozambico, sembra ancora essere instabile. “Hanno bruciato le nostre case, ci hanno radunato in un parco e poi portato in barca su un’isola” racconta in una dichiarazione riportata dal “Corriere della Sera” un rifugiato che ha vissuto in prima persona l’attacco terrorista dello scorso 24 marzo. “Ci hanno obbligato a dare loro soldi, telefoni e documenti. Siamo rimasti senza nulla. Pochi giorni dopo ci hanno diviso in gruppi: io e la mia famiglia siamo riusciti a scappare. A Palma nessuno si sente più al sicuro”.
Molte zone del Mozambico, in particolare quelle settentrionali, subiscono già da tempo assalti terroristici. Solo negli ultimi mesi 80 mila persone hanno lasciato la propria casa per sfuggire a queste minacce. Laura Morisio, responsabile dell’ong Avsi, ha fatto luce sulla situazione migratoria interna: “I flussi non si sono mai interrotti, sono solo rallentati. Siamo passati dai 250mila sfollati del giugno 2020 agli oltre 750 mila di oggi". La maggior parte delle persone scappate da Palma, di cui la metà sono bambini, hanno trovato rifugio nella città di Pemba che avrebbe visto la propria popolazione raddoppiarsi nel giro di settimane. I rifugiati hanno trovato ospitalità sia nelle abitazioni delle famiglie locali che nei centri di accoglienza gestiti da associazioni.
Una madre, che ha dato alla luce la propria figlia proprio in uno di questi luoghi di accoglienza, racconta la fuga da Palma: “Terrorizzati ci siamo incamminati, e giorni dopo siamo arrivati a Quitunda. Ero incinta e mi è stato offerto un passaggio aereo con mio marito e i miei 4 figli più piccoli fino a Pemba”. “C’erano spari e sangue ovunque. Siamo corsi via per non morire. Sono scappata senza portare via nulla, con i miei figli per mano e uno ancora in pancia. Vorrei tornare a casa, ma non si può”. In queste parole risuona il dolore, non solo di una madre che vede in pericolo la vita propria e dei propri figli, ma quello di un’intera popolazione costretta ad abbandonare la vita che conosceva per sfuggire alla violenza.
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