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Riecheggiano ancora in queste ore, le voci del presunto imminente attacco russo nei confronti dell’Ucraina. Le testate giornalistiche internazionali richiamano frequentemente il progressivo ammasso di truppe ai confini del paese, le cancellerie europee, per bocca del capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, condannano i movimenti sospetti dell’esercito di Mosca.
Il presidente americano Joe Biden, parlando al primo ministro ucraino Zelensky ha affermato che gli Stati Uniti ”sostengono la sovranità e l'integrità territoriale dell'Ucraina di fronte all'aggressione della Russia nel Donbas e in Crimea”.
Non viene mosso dubbio su chi sia l’aggressore del paese: Kiev gondola nel pieno appoggio dell’alleato americano nella guerra contro le autoproclamate repubbliche indipendenti. Un'intesa confermata da colonello statunitense Brittany Stewart, addetto militare dell’ambasciata USA a Kiev, che l’8 aprile visitava i militari ucraini al fronte del Donbass e deponeva una corona di fiori sulla tomba del militante del gruppo neonazista di Settore Destro, Vasily Slipak.
In questo clima funebre e denso di tetri presagi, il nostro ministro degli esteri Luigi Di Maio ed il segretario di Stato Antony Blinken hanno discusso di una partnership Italia-Usa volta a promuovere “il benessere delle persone in Italia e negli Stati Uniti e in tutto il mondo". Una frase pronunciata mentre droni USA da ricognizione sorvolano il Donbass, due navi militari statunitensi hanno raggiunto il Mar Nero e nuovi carichi di armamenti pesanti si spostano verso l’esercito ucraino a ridosso del fronte.
Nei giorni scorsi, le forze armate di Kiev hanno colpito con mortai, cannoni controcarro e lanciagranate i territori delle repubbliche popolari, violando il cessate il fuoco per 12 volte in 24 ore. Il Rapporto giornaliero della Missione di monitoraggio speciale dell'OSCE in Ucraina del 12 aprile ha denunciato avvistamenti di un grande numero di pezzi d’artiglieria e missili terra aria 9K33 Osa e lanciarazzi BM-21 Grad in zone proibite dagli accordi.
È evidente a questo punto che per comprendere la situazione attuale, dobbiamo compiere un decisivo passo indietro e rispondere ad alcune domande fondamentali. Come si è generata questa spaccatura nel paese, la Russia ha davvero attaccato l’Ucraina ed è ora in procinto di invaderla?

La fine dell’Urss e l’avanzamento della Nato verso i confini della Russia
Con la disgregazione dell’Urss avvenuta nel 1991, l’ex Unione Sovietica si dissolse in 15 paesi tra i quali vi era l’Ucraina. Fu una svolta nello scenario geopolitico, il ruolo svolto dalla Nato, come alleanza militare di tipo difensivo doveva a questo punto essere ridimensionato allo scopo di garantire un nuovo ordine mondiale con a capo gli Stati Uniti e contenere la nascita di nuovi attori globali rivali.
Un concetto che venne enunciato sei mesi dopo la fine della guerra del Golfo nella National Security Strategy of the United States pubblicata dalla Casa Bianca nell’agosto 1991. In esso venne chiaramente riaffermato che “gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione politica, economica e militare, realmente globali: non esiste alcun sostituto alla leadership americana".
Un documento del pentagono, redatto nel febbraio 1992 chiariva inoltre come l’obiettivo primario fosse quello di “impedire il riemergere di un nuovo rivale, o sul territorio dell’ex Unione Sovietica o altrove, che ponga una minaccia nell’ordine di quella posta precedentemente dall’Unione Sovietica”.
La Nato iniziò dunque ad espandersi verso est, inglobando progressivamente gli ex paesi del patto di Varsavia: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, Lettonia, Lituania, Bulgaria, Romania, Slovacchia, Slovenia, Croazia e Albania entrano gradualmente nel “nuovo concetto strategico”.
Mentre nel 1999 veniva annientata militarmente la Serbia, uno degli ultimi ostacoli a questa dirompente espansione verso il nuovo spazio vitale, il 23 e il 25 aprile dello stesso anno l’alleanza atlantica ufficializza il novo concetto strategico: essa si impegna ad intervenire con la forza armata non più a scopo difensivo in caso di aggressione nei confronti di uno dei membri, ma anche in risposta a crisi non previste dall’articolo 5 del trattato.
Il nuovo millennio apriva le porte ad un nuovo scenario globale. La Russia, risorgendo dalle ceneri della sua dissoluzione si stava trasformando in quel nuovo rivale, che avrebbe potuto assieme alla Cina, mettere in discussione “l’insostituibile leadership americana”.
Non c’era tempo da perdere, nel 2001 gli Stati Uniti uscirono dal trattato Abm sui sistemi di difesa missilistica; premessa dell’istallazione dei complessi Aegis Ashore in Romania e Polonia rispettivamente nel 2015 al 2018. Sistemi che avrebbero potenzialmente potuto bloccare i missili balistici Russi al lancio in caso di eventuale attacco americano.
L’Ucraina, con estensione di 600.000 km quadrati di territorio rappresentava l’ultima frontiera alle porte di Mosca; un importante snodo attraversato dai corridoi energetici tra Russia e UE.
Nel 2002 venne adottato il “Piano di azione Nato-Ucraina” e il presidente Kuchma annunciò di essere intenzionato di aderire all’alleanza. Un processo di inclusione che sembrava ormai certo fino a quando nel 2010, il neoeletto presidente Yanukovych annunciò che pur continuando la cooperazione, l’entrata nella Nato non era più nell’agenda del suo governo.
Decisione fatale che avrebbe decretato l’inizio dell’operazione per un “nuovo futuro dell’Ucraina”.

I finanziamenti. La conquista economica ed ideologica del Paese
“La International Renaissance Foundation, parte delle Fondazioni Open Society, è stata fondata a Kiev nell’aprile del 1990 (…) Dopo che l’Ucraina è diventata completamente indipendente nel 1991, la nuova Fondazione ha esteso gradualmente il suo supporto per la spesso dolorosa transizione dell’Ucraina verso la democrazia e l’economia di mercato”. Ecco come si presenta la International Renaissance Foundation di George Soros. Magnate, imprenditore ed investitore ungherese naturalizzato americano, egli, grazie ai miliardi guadagnati sui mercati finanziari, ha deciso di darsi al filantropismo per il “bene comune”. Lotta alla corruzione, aiuti sanitari contro l’HIV e la tubercolosi, supporto alla Corte Penale Internazionale per l’investigazione sui crimini di guerra e contro l’umanità in Ucraina, sviluppo di media indipendenti, la creazione di “Stop Fake”, per esporre miti e menzogne sull’Ucraina, ammodernamento del sistema educativo, distribuzione di libri di testo.
L’Ucraina è stata finanziata dall’Occidente, Stati Uniti in primis. Durante un incontro del dicembre 2013 dello “US Ukraine Foundation” (USUF), un do-tank strategico, avente sede a Washington DC, e con una presenza operativa in Ucraina dal 1991, c’è stata una vera e propria ammissione da parte di Victoria Nuland, diplomatica dell’Amministrazione Obama responsabile della politica euroasiatica americana, oltre che 18° rappresentante permanente degli Stati Uniti presso la NATO dal giugno 2005 al maggio 2008.
In quell’occasione, la Nuland ebbe a dire testualmente: “Fin dall’indipendenza dell’Ucraina del 1991, gli USA hanno supportato gli ucraini, mettendo in piedi capacità ed istituzioni democratiche, e promuovendo partecipazione civica e una buona governance, tutte precondizioni per la concretizzazione delle aspirazioni europee dell’Ucraina. Abbiamo investito più di 5 miliardi di dollari per assistere l’Ucraina nell’ottenimento di questi ed altri obiettivi, che assicureranno un’Ucraina prospera e democratica”. L’USUF, come specificato sul suo sito web, ha l’obiettivo di “supportare lo sviluppo della democrazia, di un’economia di libero mercato, di diritti umani in Ucraina, e di una partnership strategica tra USA e Ucraina”.
Una intercettazione, rilasciata dal gruppo di hacker filo-russi “CyberBerkut”, e che ha coinvolto proprio Victoria Nuland e l’ambasciatore americano in Ucraina Geoffrey Pyatt, ha chiaramente mostrato le trame USA nella questione Ucraina. Conclusasi con un bel “Fuck the EU”, letteralmente “si fottano gli europei”, la telefonata riguardava la possibilità di trovare un accordo tra il governo ucraino di Viktor Yanukovich e l’opposizione guidata dall’ex pugile Vitali Klitschko. Proprio all’interno del Governo Yatseniuk, instauratosi dopo la caduta di Yanukovic, troviamo Natalie Jaresko, statunitense di origini ucraine (che ha ricevuto la cittadinanza ucraina il 2 dicembre 2014, quando è stata appunto nominata come Ministro delle Finanze in Ucraina), che ha coordinato attività del Dipartimento di Stato USA, del Dipartimento del Commercio, del Tesoro e dell’Ufficio Esecutivo del Rappresentante del Commercio USA, ma anche di altre istituzioni economiche, intrattenendo stretti rapporti con FMI, Banca Mondiale e Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. La Jaresko è cofondatrice della Horizon Capital, una società di private equity leader nell’Europa emergente, sostenuta da oltra 40 investitori istituzionali. Ma, all’interno del governo di “Yats”, come la Nuland si riferisce al Primo Ministro Yatsenyuk nella telefonata intercettata di cui sopra, troviamo anche il banchiere lituano Aivaras Abromavičius, nominato Ministro dell’Economia e del Commercio dell’Ucraina nel 2014. Co-proprietario della società di investimento East Capital dal 2002 al 2014, Abromavičius è stato anche, dal 2019 al 2020, Direttore Generale di Ukroboronprom, la più grande società ucraina nel settore militare e della difesa.
CyberBerkut. Gli stessi che, secondo il blog “IlGiornale.it”, sarebbero “penetrati del server del Presidente ucraino Poroshenko" (successore non ad interim di Ianukovich, ndr.), ed avrebbero “tirato fuori tre documenti firmati da George Soros”. Si tratterebbe di una lettera, datata dicembre 2014 ed indirizzata a Poroshenko ed al Primo Ministro Yatsenyuk, di un documento del marzo 2015, nel quale Soros “delinea la strategia globale a breve e medio termine”, ed un ultimo documento di analisi militare non datato. In quelle lettere, Soros avrebbe parlato delle pressioni fatte sull’UE e sull’FMI per concedere ulteriori prestiti all’Ucraina, “che ha bisogno di un pacchetto finanziario più grande dei 15 miliardi di dollari attualmente previsto per mantenere il tenore di vita a un livello tollerabile”, ma anche del fatto che, affinché il prestito potesse arrivare, sarebbero state necessarie “riforme radicali”. In quei documenti il finanziere multimiliardario avrebbe anche sostenuto la necessità per gli USA di fornire “assistenza militare letale” all’Ucraina, di rifornire il Paese con armi per contrastare quelle avversarie, e di addestrare il personale ucraino in Paesi esteri; dal canto suo, l’UE sarebbe dovuta intervenire sotto il punto di vista economico, mantenendo e rafforzando le sanzioni occidentali contro Mosca, ripristinando “una minima stabilità monetaria ed il funzionamento del sistema bancario” e firmando un accordo quadro per “destinare 1 miliardo di Euro all’anno all’Ucraina”. Che sia vera o meno l’esistenza di questi tre documenti non si sa con certezza. Almeno, sul web non ve ne sono le prove. Il sito di CyberBerkut risulta chiuso, ed i documenti originali non sono rintracciabili. Ma una cosa è certa. Ciò che Soros avrebbe comunicato in quelle lettere a Poroshenko, si è poi puntualmente verificato.

Il colpo di stato a Maidan
Nel febbraio 2014, legittime proteste popolari contro la corruzione e le negligenze del governo Yanukovych si trasformano rapidamente in una delle più sanguinose insurrezioni in Europa orientale del dopoguerra dopo quella ungherese del 1956. L’atmosfera apparentemente conviviale della piazza che lottava contro il “dittatore di turno”, ossessivamente mostrata dai media occidentali, nascondeva in realtà la longa manus carica di violenza e terrore che voleva rovesciare un governo con la forza. Così scrive il fotoreporter Giorgio Bianchi, presente in quei giorni a Maidan, nel libro 'Teatri di Guerra Contemporanei': “di fronte a me un manifestante armato di carabina si riparava dietro ad un albero, mentre un altro giovanissimo, venne a nascondersi proprio accanto a me. Fu a quel punto che avvenne l’impensabile: da quella posizione iniziammo a sentire distintamente un suono di colpi esplosi che sembrava provenire da sopra le nostre teste, ovvero dalle finestre dell’hotel (Hotel Ucraina)”.
Si trattava proprio di quei cecchini che falcidiarono senza distinzioni le parti in lotta tra le barricate. Come in seguito avrebbero confermato le registrazioni telefoniche tra l’alto commissario per gli affari esteri della UE Chaterine Ashton e il ministro degli esteri estone Urmas Paet, il gruppo armato sparò sia sui manifestanti che sugli stessi poliziotti. Nel colloquio delle due controparti si ipotizzava che questi mercenari appartenessero non tanto a Yanukovych, ma a “qualcuno della nuova coalizione”.
Una realtà rivelata anche dall’ex capo della Security Service of Ukraine Alexander Yakimenko e dagli stessi cecchini georgiani Koba Nergadze, Alexander Revazishvili che, intervistati dall’agenzia di stampa moscovita Interfax, affermarono di essere stati reclutati da un membro del governo Usa con lo scopo di provocare vittime da ambo le parti e gettare Kiev nel caos. La missione era compiuta: il 22 febbraio 2014 attraverso un voto incostituzionale il parlamento Ucraino si espresse per considerare vacante la poltrona del presidente eletto, che venne sostituito frettolosamente da Oleksandr Turčynov.
A seguito del colpo di stato, il partito di estrema destra Svoboda, il cui leader Oleh Tyahnybok aveva affermato limpidamente di voler “estirpare dall’Ucraina tutta la feccia russa, tedesca e giudea”, entrò nell’esecutivo ottenendo vari ministeri: da quello della Difesa a quello dell’Agricoltura passando poi per la posizione di vice primo ministro, assegnata a Oleksandr Sych e quella di Procuratore Generale.
Venne imposto immediatamente l’eliminazione del russo come lingua ufficiale mentre e si auspicava all’imposizione del divieto di essere “comunisti”, alla creazione di un arsenale nucleare ucraino e nell’adesione alla Nato esclusivamente in funzione anti-russa.

L’Ucraina entra in guerra contro il suo popolo
Una forza golpista che non poteva far altro che alimentare un irreparabile spaccatura nel paese soprattutto con le regioni a maggioranza Russa. Il Consiglio supremo della Repubblica autonoma di Crimea, con un 97% dei voti favorevoli si espresse per la secessione da Kiev e riannessione alla Federazione Russa, decisione confermata il 18 marzo 2014 dal presidente Putin, che firmò il trattato di adesione della Crimea alla Federazione Russa con lo status di repubblica autonoma, per evitare un attacco da parte delle forze di Kiev.
La violenza da parte delle nuove forze al potere stava effettivamente dilagando in modo drammatico: gruppi neonazisti, in particolare i militanti di Pravy Sector, furono fautori di soprusi e violenze contro oppositori politici e veri e propri pogrom contro la popolazione Russa, come quello avvenuto alla casa dei sindacati di Odessa, dove decine e decine di russi vennero bruciati vivi, strangolati o freddati con un colpo di pistola alla testa.
Nel Donbass, le popolazioni si auto-organizzarono nelle repubbliche di Donetsk e Lugansk con una propria milizia popolare. Fu l’inizio della guerra operata da Kiev contro il suo stesso popolo, un conflitto che ha generato oltre 13.000 morti nel cuore dell’Europa. Una guerra che ha attraversato un periodo di relativa tregua con l’apertura dei colloqui di Minsk per una soluzione pacifica, ma che ora, con il governo ucraino che si è ritirato dai colloqui, rifiutando di andare a Minsk, ha visto le forze di Kiev hanno riprendere gli attacchi armati nel Donbass. L’obbiettivo, ora come allora, rimane il medesimo: avvicinare la Nato alla Russia e spingere l’avversario ad intervenire per delegittimarlo, indebolirlo ed isolarlo a livello internazionale.

Il caso Hunter Biden, Poroschenko, il governo della colonizzazione atlantica in Ucraina
Hunter Biden
. Grande avvocato d’affari, figlio dell’attuale Presidente degli Stati Uniti Joe Biden. Un ulteriore articolo del blog “Il Giornale” riporta che, a seguito della fuggita di Yanukovich da Kiev, Joe Biden “si è incontrato con gli esponenti dell’insurrezione filo-occidentale, ha selezionato il futuro presidente ucraino Poroshenko tra i diversi candidati e ha promesso aiuti ed assistenza nel settore energetico. Obiettivo: liberare l’Ucraina dalla dipendenza economica dalla Russia”. Qualche settimana dopo, il figlio Hunter è entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione della Burisma Holdings, azienda produttrice di petrolio e gas, operante sul mercato ucraino dal 2002.
Sotto la presidenza di Poroshenko, e con il Governo guidato dal nuovo Primo Ministro Yatsenyuk, inizia la colonizzazione militare ed atlantista da una parte, ad opera degli Stati Uniti, e quella economica e del libero mercato dall’altra, capeggiata da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale.
Il 1° settembre 2017 è entrato in vigore l’Accordo di Associazione tra UE ed Ucraina, all’interno del quale la cosiddetta “zona di libero scambio globale e approfondita (DCFTA)” gioca un ruolo preminente dal punto di vista economico. I negoziati per l’accordo, in realtà, sono partiti dal 2007, ma i primi capitoli politici sono stati firmati nel marzo 2014. Insomma, il nuovo governo non ha perso tempo. Come si legge sul sito web del Consiglio Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea, nel corso della seconda sessione del Consiglio di Associazione, “tenutasi nel 2015, il consiglio di associazione ha approvato l'agenda di associazione aggiornata. Tale agenda è determinante per guidare il processo di rafforzamento delle riforme e di modernizzazione economica in Ucraina e costituisce il principale strumento politico per l'attuazione e il monitoraggio dell'accordo di associazione”. Come si legge nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 20 e 21 marzo 2014, dopo la discussione approfondita sulla situazione in Ucraina, “il Consiglio europeo non riconosce il referendum illegale in Crimea, che viola manifestamente la Costituzione ucraina. Condanna fermamente l’annessione illegale della Crimea e di Sebastopoli alla Federazione russa e non la riconoscerà”. Inoltre, vi si legge anche che “il ripristino della stabilità macroeconomica in Ucraina costituisce una priorità immediata. E’ necessario che il governo ucraino avvii rapidamente un programma ambizioso di riforme strutturali, compresa la lotta contro la corruzione e il miglioramento della trasparenza di tutte le operazioni di bilancio”.
Come riportato da “Il Sole 24 Ore”, nell’articolo dal titolo “Prestito da 40 miliardi di dollari per salvare l’Ucraina dalla bancarotta”, nel 2015 Fondo Monetario Internazionale, Unione Europa e singoli paesi hanno stanziato un pacchetto da 40 miliardi di dollari in quattro anni “per salvare un’economia sempre più vicina alla bancarotta”. Sicuramente gli ucraini stanno oggi ringraziando i “salvatori” del Paese: aumento dei prezzi del gas, pareggio di bilancio e riorganizzazione del servizio fiscale statale sono solo alcune delle riforme richieste dal FMI nel 2018, per l’erogazione di un nuovo prestito da 3,9 miliardi. Nuovo prestito che è arrivato, ma solo dopo l’aumento del prezzo del gas del 23,5%, come riportato dall’agenzia “SputnikNews”.
E, anche in questo caso, troviamo lo zampino di George Soros, molto vicino ai Rothschild grazie al suo Quantum Group of Funds. La sua International Renaissance Foundation, di cui sopra, è una dei maggiori partner della “Foundation for Support of Reforms in Ukraine”. Quest’ultima, fondata nel 2015 dal National Reform Council dell’Ucraina e dalla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo, la quale ha sede a Londra, ha l’obiettivo di “promuovere lo sviluppo dell’Ucraina e di migliorare il benessere materiale dei suoi cittadini, supportando sviluppo ed implementazione delle riforme in Ucraina”. Tra gli altri maggiori partners della Fondazione troviamo la Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa, che ha avuto un ruolo determinante nello sviluppo della Guerra di Jugoslavia, la Missione Diplomatica USA in Ucraina, l’Ambasciata del Canada in Ucraina, e l’Ambasciata Britannica a Kiev. Tramite il Reforms Delivery Office (RDO), creato nel Dicembre 2016 e posto sotto il Gabinetto dell’Ucraina, il quale detiene il potere esecutivo nel Paese, la Fondazione “gioca un ruolo essenziale nella coordinazione e nel monitoraggio dell’implementazione dei piani di riforme”. “L’RDO assicura una comunicazione ed una partnership effettive con le controparti nazionali ed internazionali, donatori e società civile…”. Insomma, grande finanza, Stati Uniti e Inghilterra sono, oggi, all’interno dell’esecutivo ucraino. D’altronde, non è questa la democrazia del libero mercato e della società liberal dei consumi proposta da Washington? Oppure è quella dei padroni universali, a cui spesso si riferiva il compianto Giulietto Chiesa? Ovviamente, la democrazia alla quale questi personaggi alludono nulla ha a che vedere con il modello socialista, comunitario ed etico previsto dalla nostra Costituzione, ad esempio. Al contrario, si tratta della costante ed onnipresente retorica del capitale, il quale sempre si presenta come amico sotto la falsa bandiera dell’accoglienza, della libertà e dell’uguaglianza. La stessa retorica che ha permesso ai plurimi “bombardamenti umanitari” di far spazio alla democrazia “made in USA”, laddove il libero mercato trovasse ostacoli alla sua invasione. La stessa retorica che, ancora oggi, permette al Potere di ridisegnare i rapporti di forza tra dominanti e classi subalterne, senza incontrare alcuna vera e degna opposizione. E questo non perché non ve ne sia la volontà da parte degli offesi, ovvero i popoli, bensì perché proprio questi ultimi si lasciano ingannare dalla suddetta retorica, la quale riesce a far accettare alle vittime di questo 'Sistema' situazioni e fatti aberranti, presentandole sempre come “progresso”, come “svolta democratica”, o come “libertà”. Il gruppo degli oppressi dalla crudeltà del Potere diventa, dunque, vorace difensore del Potere stesso. I dominati amano le proprie catene.
E sono i dati a dimostrare che il modello socioeconomico odierno non ci sta portando nella direzione voluta. La società “democratica” del libero mercato globale, ovvero la società Occidentale, è quella che, storicamente, ha prodotto le disparità socioeconomiche più profonde degli ultimi secoli. Secondo un rapporto di Credit Suisse del 2017, il 10% della popolazione più ricca detiene l’88% della ricchezza globale, mentre l’1% arriva a possederne la metà. E questa situazione è risultata sicuramente accelerata dopo il 1989, quando il modello capitalista del libero mercato washingtoniano ha visto crollare le barriere dell’ex URSS, ed ha dunque cominciato la sua avanzata verso le praterie dell’est. Del resto, come ci ha fatto sapere la Casa Bianca nel 1991, tramite la “National Security Strategy of the United States”, “non esiste alcun sostituto alla leadership americana. La nostra responsabilità, anche nella nuova era, è di importanza cardinale e ineludibile”.

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