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Arriva a 34 il numero di difensori dei diritti umani uccisi nel 2021, con l’omicidio di María Bernarda Juajibioy, sindaco e leader indigena, assassinata da un commando armato insieme alla nipotina neonata. María Bernarda Juajibioy era sindaco del Resguardo di Cabildo Camentzá Biyá, nel dipartimento di Putumayo, in Colombia, oltre che leader del popolo Kamentsá, una delle 15 popolazioni indigene della zona. Secondo le prime informazioni, alle 18.45 di mercoledì 17 marzo, Juajibioy era in viaggio con altre donne in motocicletta verso il comune di Valle del Guamuez, per effettuare un’ispezione nel paese di El Placer. Lungo la strada del Cabildo, nel villaggio di La Esmeralda, a Orito, il gruppo è stato intercettato e fermato da un commando armato. Gli uomini hanno aperto il fuoco, uccidendo la leader indigena e la nipotina di un anno e mezzo. Altre due donne sono rimaste ferite e si trovano, ora, all’ospedale di Puerto Asís. "Ci stanno sterminando davanti al silenzio complice del governo di Iván Duque Márquez" twitta l’Organizzazione nazionale indigena della Colombia (ONIC), commentando l’assassinio della donna indigena. L’ONIC ricorda, inoltre, che "Le donne indigene sono le guardiane della sopravvivenza dei popoli" e la violenza nei loro confronti è in continuo aumento. Aggiunge: "Nei territori indigeni sono presenti gruppi armati che mettono a rischio la sopravvivenza delle comunità". Anche l'Organizzazione zonale indigena Putumayo (OZIP) si è espressa in merito al delitto, manifestando la propria solidarietà ai parenti e al popolo Kamentsá, ribadendo la "preoccupazione e l’indignazione per questi atti di sterminio fisico e culturale che aumentano ogni giorno" e chiedendo l’allerta della comunità nazionale e internazionale, "per l'integrità e la protezione di donne, bambini e ragazze appartenenti alle popolazioni indigene del dipartimento di Putumay"”. L’OZIP afferma, inoltre, che eventi come questi "sono il prodotto della mancanza di garanzie da parte del governo". "Riteniamo lo Stato colombiano responsabile della continuità della violenza nei territori, a causa della sua omissione nel dovere legale di garante dei diritti umani e della sua riluttanza a rispettare ordini, sentenze e altre disposizioni legali per la protezione delle popolazioni indigene", aggiunge, alla luce anche della partecipazione del Ministro dell’Interno e del Governatore di Putumayo al tavolo territoriale delle garanzie per il lavoro dei leader sociali e dei processi comunitari, l’11 marzo 2021.

La situazione nel Paese: sempre più violenze e soprusi
Dopo la firma dello storico accordo di pace fra il governo colombiano e il gruppo guerrigliero FARC nel settembre 2016, il Paese sembra finalmente dirigersi verso una condizione di pace, mentre attraversa un processo di sviluppo senza precedenti. L’Accordo di Pace Finale ha, per la prima volta, visto entrambe le parti riconoscere di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani. Inoltre, include uno dei processi più ambiziosi di smobilitazione e disarmo. Nonostante ciò, il patto è stato respinto dal plebiscito nazionale. In seguito, sono state applicate delle modifiche rispetto alle questioni più controverse, ma non è stato proposto un secondo referendum per approvare la nuova versione. Questo duro responso popolare ha sollevato diversi dubbi su quanto il concordato e i diritti garantiti al suo interno potessero valere anche (così spieghi bene a cosa si riferisce il "valido") nei confronti di molte comunità. Le incertezze aumentano infatti, in particolare riguardo all’inclusione delle donne e dei popoli nativi. Circa il 30% dei colombiani vive in povertà e tali popolazioni indigene e afro-colombiane ne sono colpite in modo sproporzionato. In questa situazione le donne nel Paese sudamericano sono da sempre state oggetto di discriminazione storica e strutturale. Quest’ultime, insieme a minoranze sessuali e di genere, hanno finalmente avuto voce nel processo di stesura dell’Accordo. Ma le preoccupazioni dei popoli nativi hanno ricevuto solo parzialmente risposta grazie all’inserimento di un capitolo dedicato ai diritti delle donne e degli indigeni, che non sembra aver dato i risultati sperati. Secondo i dati dell’Indepaz (Instituto de estudios para el desarrollo y la paz), in effetti, i leader indigeni e i difensori dei diritti umani uccisi solo dall’inizio del 2021 sono 34, con María Bernarda Juajibioy. Le donne affrontano molteplici forme di discriminazione, sia da parte delle autorità e delle istituzioni sia all’interno degli ambienti locali e comunitari. La storia di disordini e di violenza armata colombiana ha aggravato ulteriormente la loro condizione. Le popolazioni native hanno, infatti, affrontato diverse minacce durante il conflitto, in particolare nei luoghi in cui la loro terra era teatro di scontri diretti, come minacce violente, scomparse forzate, sfollamenti e uccisione mirata di membri di spicco delle loro comunità. La firma dell'Accordo di Pace non ha diminuito la pressione dei gruppi armati illegali, che continuano con intimidazioni e assassini. Nel corso del conflitto armato donne e ragazze hanno subito violenze sessuali e condizioni di sfollamento in forma più grave e più diffusa rispetto agli uomini, soprattutto attraverso stupri, prostituzione forzata, gravidanze involontarie e aborti forzati. Ciò ha spesso portato alla loro stigmatizzazione e rifiuto sociale all’interno delle proprie comunità. In molti casi infatti, le donne indigene hanno dovuto abbandonare le terre abituali per trasferirsi in regioni sconosciute, aumentando la loro insicurezza e vulnerabilità, oltre che aver spezzato i legami con la cultura nativa e con la terra. Mentre per la comunità internazionale - per specificare chi sono i "molti" - in questo momento la Colombia sta attraversando un periodo di sviluppo e di uscita dal conflitto, le donne, in particolare quelle indigene, sono ancora vittime di discriminazioni, violenze e omicidi. Ciò che è successo a María Bernarda Juajibioy e alla piccola nipote di solo un anno e mezzo ne è sicuramente un esempio.

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