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La decisione della Corte penale internazionale sui crimini commessi nel 2014

Dopo la decisione delle scorse settimane che sancisce la giurisdizione della Corte Penale Internazionale sui territori palestinesi, la procuratrice capo Fatou Bensouda ha aperto l’indagine sui presunti crimini in quei territori, ponendo l'attenzione del tribunale verso le azioni militari israeliane e la costruzione di insediamenti sulle terre catturate nella guerra del 1967 in Medio Oriente.
La decisione ha assestato un colpo al Governo israeliano, che ha condotto un'aggressiva campagna diplomatica di relazioni pubbliche e dietro le quinte per bloccare l'indagine. Con questa indagine c’è anche la possibilità che vengano emessi mandati di arresto contro funzionari israeliani sospettati di crimini di guerra, rendendo potenzialmente rischioso viaggiare all'estero.
La decisione di mercoledì rivolge l'attenzione della corte verso due politiche israeliane chiave degli ultimi anni: le sue ripetute operazioni militari contro i militanti palestinesi nella Striscia di Gaza, evidenziate dalla devastante Operazione Margine di Protezione dell’estate 2014, e la sua espansione degli insediamenti dei coloni a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupata. Gli esperti dicono che Israele potrebbe essere particolarmente vulnerabile all'incriminazione per le sue politiche di insediamento.
Anche se i palestinesi non hanno uno Stato indipendente, hanno ottenuto lo status di osservatore non membro nell'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2012, permettendo loro di aderire a organizzazioni internazionali come la CPI. Dalla ratifica e dall’entrata nella corte nel 2015, hanno spinto per un'indagine sui crimini di guerra contro Israele. Tel Aviv, che non è un membro della corte, si è opposta alle decisioni della CPI in merito alla sua giurisdizione perché, per loro, la Palestina non è uno Stato sovrano.
Questa dichiarazione israeliana mette in discussione, oltre agli accordi di Oslo che tanto millantano per giustificare la loro occupazione della Palestina, la posizione internazionale delle Nazioni Unite che prevede “due popoli per due Stati”. Già solo questa dichiarazione avrebbe dovuto destare scandalo internazionale, ma così non è stato.
Anzi, Tel Aviv e Washington - ricordiamo che nemmeno gli Stati Uniti fanno parte della CPI e quindi non dovrebbero avere nessuna voce in capitolo nella questione - hanno diffuso dichiarazioni molto forti nei confronti della procuratrice e dell’istituzione internazionale. In una dichiarazione congiunta, la Vice Presidente Harris e il Segretario di Stato negano la legittimità della legislazione della Corte a giudicare crimini commessi in Israele, anche qui negando l’esistenza della statualità palestinese nei suoi territori.
Ricordiamo che, secondo lo Statuto di Roma, la CPI ha giurisdizione sui crimini compiuti nei territori di uno Stato membro, anche se commessi da cittadini di uno Stato non parte. La Palestina è uno Stato riconosciuto ed è uno Stato membro dello Statuto, indi per cui la Corte è legittimata ad indagare sui crimini commessi suoi suoi territori, siano essi commessi da palestinesi, siano essi commessi da cittadini di qualsiasi altro Stato del mondo.
Sarebbe gradito che qualcuno ricordasse a Washington e Tel Aviv che non sono al di sopra del diritto internazionale.

Foto © Israel Defense Forces is licensed under CC BY-NC 2.0

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