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L’Onu condanna: “Il popolo ha il diritto di riunirsi pacificamente e chiedere il ripristino della democrazia”

Non cessano le proteste in Myanmar contro il colpo di Stato e con esse non cessa la repressione dei militari. Dagli idranti e proiettili di gomma ieri, domenica 28 febbraio, si è passati ai proiettili veri. Secondo quanto riferito da diverse fonti stampa locali la polizia ha sparato indiscriminatamente su manifestanti pacifici e disarmati a Yangon e nelle città di Dawei, Mandalay, Myeik, Bago e Pokokku. 18 le vittime. Altre decine di persone sono rimaste ferite e oltre 200 sono state arrestate nelle manifestazioni del fine settimana. Le violenze sono state condannate dalle Nazioni Unite. "Condanniamo fermamente l'escalation di violenza contro i manifestanti in Myanmar e chiediamo ai militari di interrompere immediatamente l'uso della forza contro manifestanti pacifici", si legge in un comunicato dell'ufficio regionale Onu per i diritti umani. "Il popolo del Myanmar ha il diritto di riunirsi pacificamente e chiedere il ripristino della democrazia. Questi diritti fondamentali devono essere rispettati dai militari e dalla polizia, non affrontati con una repressione violenta e sanguinosa". L'Onu denuncia nella sola giornata di ieri l'arresto di 85 tra medici e studenti e 7 giornalisti e di oltre mille persone nell'ultimo mese. Ferme condanne sono arrivate anche dall’Europa. “Le autorità militari devono mettere fine immediatamente all'uso della forza contro i civili e consentire alla popolazione di esprimere il proprio diritto alla libertà di espressione e di riunione", ha dichiarato in una nota l'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell'Ue Josep Borrell, che ha anche preannunciato misure urgenti.
Nel frattempo la presidente deposta Aung San Suu Kyi, agli arresti domiciliari dal giorno del colpo di stato militare nel Paese, l'1 febbraio scorso, è apparsa questa mattina in tribunale in videoconferenza, mostrandosi "in buona salute". Ora la premio Nobel risulta incriminata per due nuovi reati: per avere violato una legge sulle telecomunicazioni e per "istigazione a disordini pubblici”.

Foto © Wikimedia

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