Continuano le violazioni dei diritti umani nella regione contesa del Kashmir, inasprite dopo che il governo indiano ha deciso unilateralmente nel 2019 di porre fine al governo semi-autonomo dello stato del Jammu e Kashmir ("istituito con specifiche garanzie di autonomia" come si legge sul sito dell’Onu). Negozi e aziende chiusi, coprifuoco per la popolazione, taglio di tutte le comunicazioni telefoniche e mobili, sospensione dell’elettricità e di Internet (solo recentemente riabilitato dopo mesi), strade popolate quasi esclusivamente da militari: questo è il clima apocalittico che si respira nella regione, una delle più militarizzate al mondo. Nel contempo, proseguono gli sforzi del governo indiano di incentivare gli investimenti esteri nella regione ormai spoglia delle sue leggi speciali, promuovendo agli occhi dei diplomatici in visita un falso senso di normalità per simulare che la popolazione locale abbia accettato il cambiamento imposto. L’ultimo comunicato stampa di due esperti delle Nazioni Unite contribuisce a smentire tale propaganda, evidenziando come le recenti politiche del governo indiano rischiano seriamente di alterare la peculiare demografia della regione, costituita da numerose minoranze etniche, religiose e linguistiche.
Le dichiarazioni dei relatori speciali delle Nazioni Unite
Fernand de Varennes, relatore speciale sulle questioni relative alle minoranze, e Ahmed Shaheed, relatore speciale sulla libertà di religione o credo, hanno rilasciato giovedì 18 febbraio delle dichiarazioni concernenti la situazione critica nello Stato del Jammu e Kashmir, peggiorata da quando il governo indiano ha unilateralmente deciso per la revoca del suo status di semi-autonomia. Unico tra gli stati indiani ad essere a maggioranza musulmana, il Jammu e Kashmir fin dal 1950 è stato tutelato da due articoli ad hoc della Costituzione indiana: l’articolo 370, che lasciava al governo centrale di New Delhi la possibilità di legiferare solo su difesa, esteri e comunicazioni; e l’articolo 35A che consentiva l’acquisto di terreni nel Jammu e Kashmir esclusivamente ai suoi residenti, misura volta a tutelare le minoranze che vivono in questa regione. Gli articoli sono stati abrogati nell’agosto del 2019 di pari passo alla semi-autonomia dello Stato; in quell’occasione il governo indu-nazionalista di Narendra Modi inviò nella regione decine di migliaia di militari, arrestò i parlamentari locali e tolse internet ed elettricità alla popolazione kashmira. Le maggiori preoccupazioni espresse dai Relatori speciali dell’ONU riguardano la minaccia di un’alterazione demografica della regione, dato che le sue minoranze etniche, linguistiche e religiose (musulmani, Dogri, Gojri, Pahari, Sikh, Ladhaki e altre) non sono più tutelate in particolare dall’articolo 35A: "Questi cambiamenti legislativi possono avere il potenziale per spianare la strada a persone al di fuori dell'ex stato di Jammu e Kashmir per stabilirsi nella regione, alterare i dati demografici della regione e minare la capacità delle minoranze di esercitare efficacemente i propri diritti umani. […] Il numero di candidati che hanno ricevuto i certificati di domicilio che sembrano provenire da fuori Jammu e Kashmir solleva preoccupazioni che il cambiamento demografico su base linguistica, religiosa ed etnica sia già in corso".
Il governo indiano commercializza il Kashmir
L’allarme lanciato dalle Nazioni Unite non arriva in un momento casuale. Le dichiarazioni dei due esperti sono state infatti rese pubbliche contemporaneamente ad una visita di due giorni di un gruppo di 24 diplomatici stranieri in Jammu e Kashmir, invitati dal governo indiano che ha promesso loro di trovare un ambiente favorevole agli affari. Fonti locali riferiscono che si è trattato di un tour guidato dal governo che, per dare un falso senso di ripristino della normalità, dopo aver rimosso ben cinque posti di blocco di sicurezza dalle principali strade, ha accuratamente scelto i luoghi da far visitare (la maggiore università e la più antica moschea di Srinagar) e le persone locali con cui far interloquire gli ospiti internazionali. La stessa Mehbooba Mufti, riconfermata primo ministro del Jammu e Kashmir questo 22 febbraio, ha affermato: "Le delegazioni vanno e vengono, ma la situazione in Jammu e Kashmir non è favorevole. Siamo rinchiusi nelle nostre case".
I negozi sono chiusi a Srinagar il giorno della visita degli inviati stranieri nella contesa regione himalayana © Shuaib Bashir/Al Jazeera
Gli sforzi dell’India di promuovere gli investimenti esteri nella regione vanno avanti da diverso tempo. Recentemente, ad inizio gennaio, il governo di Modi, non più ostacolato dalle leggi speciali locali, aveva stanziato 4 miliardi di dollari per l’industrializzazione del Jammu e Kashmir dopo aver acquistato 2.428 ettari di terra destinati alle nuove industrie. Queste manovre erano state accompagnate dalla ratifica di 168 memorandum d'intesa (MOU) con aziende pubbliche e private per investimenti in 14 settori (come il turismo, la trasformazione alimentare, le infrastrutture, l'energia, l'abbigliamento, la biotecnologia, l'artigianato, il pollame e l'istruzione). La risposta all’Onu da parte del governo indiano, colpito nei suoi interessi economici, non si è fatta attendere. Il portavoce del ministero degli Esteri indiano Anurag Srivastava ha infatti affermato che "questo comunicato stampa [le osservazioni fatte dagli Special Rapporteurs] mette in discussione i più ampi principi di oggettività e neutralità a cui si suppone che gli SR dovrebbero aderire". Un altro portavoce del partito nazionalista indù al governo (Bharatiya Janata Party) ha criticato le Nazioni Unite dicendo che questa "è una questione interna dell'India". Non è la prima volta che il governo indiano rifiuta categoricamente qualsiasi dichiarazione che verte sui diritti umani nella parte contesa del Kashmir amministrata dall’India.
Kashmir, regione frantumata e dilaniata da guerre
La storia recente del Kashmir merita di essere approfondita, sia per l’importanza geografica della regione che per il trattamento subito dalla sua popolazione. A maggioranza musulmana, il Kashmir è situato (e conteso) tra tre potenze nucleari: il Pakistan, l’India e la Cina. Al momento della spartizione tra India e Pakistan dei territori coloniali dell’impero anglo-indiano, il Maharajah (sovrano indu) che governava il Kashmir decise di non aderire a nessuno dei due Stati, optando perciò per l’indipendenza della regione. La decisione portò ad un colpo di stato nelle aree settentrionali contro il Maharajah, da quel momento il Gilgit-Baltistan divenne parte del Kashmir amministrato dal Pakistan. Il Maharajah chiese allora l’intervento militare dell’India a cui di fatto vennero ceduti i restanti due terzi della regione. La sanguinosa guerra indo-pakistana che ne seguì fu risolta dall'intervento delle Nazioni Unite che, tramite la Risoluzione 47 (21 aprile 1948), divise il Kashmir in territori amministrati dal Pakistan (zone settentrionali e occidentali) e dall'India (meridionale, centrale e nord-orientale). In realtà la situazione non venne affatto risolta soprattutto dal punto di vista della popolazione locale, frantumata da nuovi confini ultra-militarizzati. Qualche mese prima, l’ONU, con la famigerata Risoluzione 181 (29 Novembre 1947), prendeva una decisione assai simile in un’altra parte del mondo, la Palestina, dimostrando anche lì che frantumare un territorio in più parti va a tutto danno della popolazione locale. Da quel 1948 altre tre furono infatti le sanguinose guerre indo-pakistane (1965, 1971 e 1999). Si stima che attualmente nella regione ci siano almeno 600 mila militari indiani. È importante notare che lo stato di Jammu e Kashmir - nato quando la sua Conferenza Nazionale accettò l’integrazione nell’Unione Indiana- è stato istituito nel 1947 con specifiche garanzie di autonomia per il rispetto delle identità etniche, linguistiche e religiose della sua gente. È per tale motivo che nel 1950 vennero aggiunti nella Costituzione indiana degli articoli specifici per il Jammu e Kashmir. Il governo indiano ha però sistematicamente ridotto nel tempo tale autonomia accusando pretestuosamente di “terrorismo” la popolazione musulmana kashmira, retorica ampiamente sfruttata dall’India anche contro la popolazione sikh nel Punjab. Le violazioni dei diritti umani nel Jammu e Kashmir sono state descritte dettagliatamente negli anni da varie ong e anche da un rapporto delle Nazioni Unite redatto nel 2018: uccisioni extragiudiziali, detenzioni arbitrarie, torture, stupri, sparizioni forzate, accecamenti di massa e soppressione delle proteste e dell'espressione democratica, immunità legale alle forze armate e iniqui tribunali militari. In ultimo, nell’agosto del 2019 l’autonomia è stata completamente abolita e il Jammu e Kashmir di fatto annesso dall’India. A questa situazione di altissima tensione, si aggiunse anche la Cina nel 1962 quando, dopo uno scontro militare contro l’India, annesse la regione di Aksai Chin; in seguito il Pakistan cedette alla Cina anche la valle Shaksgam. Le zone del Kashmir attualmente sotto il controllo cinese sono poste tra lo Xinjiang e il Tibet cinesi. Il Kashmir per la Cina è commercialmente importante perché lì passa il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC, in base alla sigla in inglese), di 46 miliardi di dollari, che arriva fino al porto di Gwadar in Balukistan. In tutto questo scenario ad essere dimenticata è proprio la popolazione del Kashmir che vive sotto una spietata occupazione militare indiana da ormai oltre 70 anni. Le Nazioni Unite continuano ad esortare l’India a non reprimere le proteste e tutte e tre le potenze nucleari a ritirarsi militarmente dalla regione kashmira e a svolgere un plebiscito tra la popolazione locale per far valere il loro sacrosanto diritto all’autodeterminazione che, come non di rado accade nel mondo per contrastanti interessi politici, spesso viene dimenticato.
Foto di copertina: la zona militarizzata a Srinagar, capitale estiva dello stato indiano di Jammu e Kashmir © NimishaJaiswal/irin