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Chiudere un episodio storico come un genocidio non è per niente facile. Il danno inflitto alla coscienza sociale impone un lungo e costante percorso di recupero sia da parte dell’individuo che della collettività. Questo processo implica necessariamente la trasformazione della matrice culturale ed ideologica delle istituzioni dello Stato.
Oggi l'Argentina si presenta davanti al resto del mondo come esempio in materia di processi e punizione dei colpevoli, per aver commesso o partecipato a crimini di lesa umanità. Ma in confronto alla gravità di quanto accaduto, ci chiediamo se siamo all'altezza di quello che crediamo di essere, o se, al contrario, vedere sempre il bicchiere mezzo pieno dei risultati parziali ottenuti, rientra sempre in quella cultura dell’impunità che funge da strategia affinché niente cambi.
Recentemente in un'intervista Carlos "Sueco" Lordkipanidse, ex sopravvissuto dell'ESMA e querelante in diversi processi di lesa umanità, ci spiegava la necessità di aprire gli archivi della dittatura per accelerare i processi: “Per avere una visione più o meno chiara della situazione, quello che posso dirvi è che ci sono 600 genocida condannati dai processi che si sono svolti in tutto il paese. Se si considerano i 600 centri clandestini che esistevano nel paese, risulta un repressore per centro clandestino, il che sarebbe assolutamente assurdo perché è chiaro che questi centri non possono funzionare con una sola persona”.
Secondo l’ultimo rapporto della Procura per i Crimini contro l'Umanità c’è una chiara battuta d’arresto per stabilire una giustizia efficace. In quest’ultimo periodo sono stati aperti in tutto 623 processi, 250 dei quali giunti a sentenza. Ma solo nel 30% dei casi si è arrivati ad una condanna definitiva. Il rimanente 70% sono entrati nei labirinti dei procedimenti della burocrazia giudiziaria, dove i tempi richiesti divengono una scusa puramente tecnica per snaturare la gravità dei fatti che si stanno valutando. Le ricusazioni in molti casi vengono dilatate perché la Camera Federale di Cassazione Penale, o la Corte Suprema di Giustizia, non arrivano a sentenza. Guillermo Torremar, presidente dell'Assemblea Permanente per i Diritti umani (APDH), in un'intervista alla radio nazionale ha spiegato: "Come avvocati querelanti in processi di lesa umanità, stabiliamo sempre un criterio molto differenziante tra un crimine comune e un crimine di lesa umanità. Quando parliamo di crimini di lesa umanità, parliamo non solamente di delitti che hanno offeso la vittima, ma hanno offeso la società e l'umanità nel loro insieme. Crimini che sono stati commessi dallo Stato nella più assoluta clandestinità e delitti che in molti casi si continuano a commettere, perché la sparizione di persone è un delitto continuo, i desaparecidos sono ancora oggi desaparecidos".
In casi recenti possiamo vedere esempi di come la giustizia, operando in questo modo, nel migliore dei casi (per dirlo in qualche modo), non esprime il valore istituzionale che le compete per il recupero della memoria storica. Nel processo in corso per il massacro di Trelew, avvenuto il 15 agosto del 1972, le sentenze non si sono ancora potute confermare: “Il 22 dicembre la Corte Suprema, dopo sei anni, ha deciso di riassegnare la causa per il massacro di Trelew alla Corte di Cassazione, ritenendo che il ricorso utilizzato per confermare le sentenze fosse stato concesso ingiustamente. La decisione firmata dai giudici Elena Highton de Nolasco, Juan Carlos Maqueda, Horacio Rosatti e Carlos Rosenkrantz lascia in sospeso la sentenza contro i responsabili del massacro di Trelew del tribunale di Comodoro Rivadavia del 2012, confermata poi in Cassazione nel 2014. Nel 2012 fu avviato il processo dove furono condannati all’ergastolo Carlos Amadeo Marandino, Luis Emilio Sosa ed Emilio Jorge Del Real. Nel 2014 la Corte di Cassazione Penale si è pronunciata all'unanimità, ritenendo i fatti accaduti crimini contro l’umanità, confermando le tre condanne precedenti ed annullando le assoluzioni di altre due persone implicate, Jorge Bautista e Norberto Paccagnini. Dei 5 imputati, 4 sono già deceduti nel corso di questo processo: Sosa e Del Real nel 2016, Bautista nel 2018 e Paccagnini nel 2019. Oltre a Marandino, l'altro fuciliere ancora in vita è Roberto Bravo, ma prima di poterlo imputare è necessario che sia estradato dalla sua lussuosa vita di milionario negli USA.
Alla fine dell'anno scorso, il Centro di Studi Legali e Sociali (CELS), fece una dichiarazione sui "ritardi ingiustificati" da parte della Corte Suprema di Giustizia per risolvere i ricorsi pendenti per crimini commessi dalla dittatura militare. "Il passare del tempo attenta alla giustizia. Gli imputati muoiono prima di avere una condanna definitiva. Le vittime muoiono senza aver ottenuto giustizia e risarcimento. Questa situazione è inaccettabile ed espone lo Stato argentino alla responsabilità internazionale per non investigare e punire in modo adeguato i crimini del terrorismo di Stato". "È necessario e urgente che la Corte, al vertice di uno dei tre poteri dello Stato, imponga a se stessa l'obbligo di risolvere celermente tutti i processi per crimini di lesa umanità ancora in sospeso", ha dichiarato il CELS.


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Eduardo Ascheri, genocida durante il processo "Contraofensiva" a porte chiuse per il Covid-19 © Gustavo Molfino per “El diario del juicio”


Partendo dalle leggi di Punto Finale ed Obbedienza Dovuta fino al 2006, quando furono abrogate e quindi i processi furono nuovamente riaperti, i gruppi di sopravvissuti e familiari delle vittime che hanno dato inizio alla ricerca della giustizia dall’inizio della democrazia, sono stati abbandonati dallo Stato ed esposti all'apparato repressore, che logicamente ha intrapreso la propria guerra sporca contro chi aveva avuto il coraggio di affrontarli e denunciarli. In questi ultimi 14 anni, l'impunità ha continuato ad esistere grazie ad un meccanismo ancora più raffinato e sottile, mediante la dilatazione dei processi. Mentre, per tutto il resto della società, passa proprio inosservata la mancanza di volontà dell'apparato giudiziale per giungere alla verità, giustificato dietro ai tempi propri di ogni processo. Recentemente la famiglia Stirnemann (Laura Franchi e le sue figlie Maria Laura e Silvina) hanno testimoniato nel processo “Pozos”*, con la speranza di arrivare ad ottenere per la prima volta giustizia per la morte del padre assassinato nel 1975. "Quello che ci avevano raccontato di mio padre è che lui era andato con una compagna in Brasile e ci aveva abbandonate Cercai dati su di lui e investigavo. Riuscii a trovare i suoi resti nel cimitero di Lomas de Zamora. Quando riuscì a farlo dissotterrare e dargli sepoltura grazie agli antropologi forensi, constatai che era stato un omicidio, perché lo dimostravano gli indizi sul corpo. Cercai di far aprire un processo contro lo Stato, ma l'avvocato mi spiegò che erano vigenti le leggi sull’amnistia. Lasciammo in sospeso il fascicolo fino a quando le leggi fossero annullate. Con il tempo abbiamo formato il movimento HIJOS (Figli) a Parigi per lottare da qui. Quando le leggi furono annullate cominciammo con i processi per la morte di papà. Lui fu arrestato il 4 novembre del 1975, fu torturato per 14 giorni e poi lo uccisero il 18. I fatti sono dimostrati, ma non è stato possibile processare nessuno, perché gli accusati erano morti e non ci fu modo di fare giustizia. Per questo motivo rendo questa mia testimonianza, perché questo sarebbe il primo processo a poter dare un po’ di giustizia alla sofferenza della mia famiglia”.
Il 2020 è stato l’anno peggiore (e non per la pandemia).
L'ultima relazione della procura evidenzia che il 2020 è stato il peggiore di tutti gli anni in materia di processi contro genocida. Sono stati avviati soltanto sei processi, ed emesse solo 9 sentenze. Dal potere giudiziario affermano che il lavoro della giustizia si è complicato e ha subito rallentamenti a causa della pandemia. Tuttavia la Procura per i Crimini contro l'Umanità ha segnalato che anche se avessero emesso dei verdetti per il totale dei processi non iniziati nel 2020, il risultato sarebbe stato lo stesso simile a quello dell'anno 2018, con 18 sentenze, 10 meno delle 27 del 2017. In nessun modo la pandemia giustifica la tendenza a non giungere a delle sentenze, come si sta facendo da anni.
E come se ciò non bastasse, purtroppo tutto sembra peggiorare notevolmente a partire da questo anno: dei 373 processi non giunti ancora a sentenza, 18 sono in fase dibattimentale, 75 sono rinviati e solamente per 2 di loro è stata fissata la data di inizio nel 2021.
Se c'è qualcuno che ha l'autorità morale per esprimere un giudizio su questi temi, sono giustamente i sopravvissuti del terrorismo di Stato. Le associazioni che lottano per i Diritti Umani sono quelle che più hanno contribuito per portare i genocida sul banco degli imputati, tra le altre cose, attraverso un processo di ricostruzione della memoria che permette l'identificazione dei repressori e dei CCDyE (Centri di tortura e sterminio).
L’attuale presidente dell’Associazione ‘Encuentro militante Cachito Fukman’, Carlos Lordkipanedese, ci spiega senza mezzi termini: "Ammettere la necessità dei processi, implica che si debba ricorrere al potere preposto a realizzarli. Ma il potere Giudiziario, dobbiamo averlo tutti chiaro, è il territorio nemico per qualsiasi cittadino argentino, tranne per tutti quelli che godono del privilegio dell'impunità. Quando chiediamo l’apertura di un processo e la dovuta punizione, dobbiamo apportare ogni prova possibile affinché i colpevoli siano puniti. Ma abbiamo a che fare con il più impunito dei poteri, che agì durante la dittatura e che continua ad essere presente come casta politica, dove molti di loro parteciparono attivamente alla repressione.
Tra le altre cose, ad esempio, negando oggi l’Habeas Corpus, così come veniva fatto durante la dittatura, perché quando una famiglia andava a presentare un habeas corpus per un desaparecido, i giudici glielo negavano. Molti altri giudici furono direttamente complici di sequestro di minori, quindi stiamo parlando di un potere assolutamente corrotto, con poche eccezioni. Del resto guardando i membri della corte suprema ci si rende conto dall'età che hanno i giudici, e che tutti parteciparono alla dittatura in un modo o nell’altro, all’interno del potere giudiziario".
Non possiamo negare che una certa pericolosa continuità della feroce dittatura genocida, sia ancora presente all’interno dell’apparato giudiziario.
La battaglia per la memoria, giustizia e verità continua… ancora, in qualsiasi circostanza.
Vinceremo!
Sono 30.000.
Nunca más significa nunca más!
(1 Febbraio 2021)

*Pozos: (Pozzi) Centri di detenzione durante la dittatura

Foto di copertina: Corte Suprema della nazione argentina

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