Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

I testimoni raccontano: in carcere con accuse fittizie, poi l’incubo fra abusi sessuali, pestaggi e niente cibo

“Venivamo trattati peggio degli animali ed è quello che siamo finiti per diventare”. Yoon Young Cheol lavorava per il governo nordcoreano al confine con la Cina, quando a 30 anni è stato arrestato dalla Bowibu, la “polizia segreta” di Pyongyang. “Ho chiesto per giorni e giorni: Perché? Perché sono stato arrestato?”. Che fosse stato accusato di spionaggio lo ha saputo dopo settimane di percosse. Dopo sei mesi i poliziotti hanno concluso che non era un agente segreto, ma è cominciata un’altra indagine fasulla a suo carico: su contrabbando di oro ed erbe mediche che non aveva mai commesso, un’accusa che lo ha costretto ad un processo sommario a cui è seguita una sentenza a cinque anni di reclusione in un campo di lavoro. È stata questa la sua vita prima che riuscisse a scappare e raccontare, insieme ad altri fuggitivi, la sua storia a Human Rights Watch.

Nelle carceri nordcoreane la tortura è così costante da essere “rituale”, gli assalti sessuali assidui, le umiliazioni continue. Gli uomini vengono sempre picchiati, le donne spesso violentate. Alla commerciante Kim Sun Young, 50 anni, è successo prima durante l’interrogatorio, poi in cella: “È stato impossibile ribellarsi”. A pronunciare più volte la parola coreana komun, tortura, sono stati 15 donne, 7 uomini e 8 ex ufficiali che si sono aggirati spesso per celle e uffici del dipartimento giudiziario di Pyongyang. Le loro testimonianze sono state raccolte in un impietoso report di 88 pagine sulle Kuryujang, i gulag del regime di Kim Jong-un, dove si viene divorati dall’arbitrio degli uomini del Comitato e Ministero per la sicurezza, che agiscono nel totale abuso di potere. Nel “sistema arbitrario, violento, crudele in cui vivono in costante paura, il processo è irrilevante, la colpa presupposta e l’unica via per sottrarsi è quella delle tangenti” ha descritto il direttore del dipartimento Asia dell’ong, Brad Adams. In prigione uomini e donne diventano numeri senza nome e con le cifre si rivolgono a loro i secondini. In buchi stretti senza bagno e sapone, rimangono ammassati decine di prigionieri: senza coperte, a volte senza vestiti, anche d’inverno. In altri casi senza nemmeno un motivo apparente che possa giustificarne la detenzione.

Senza cibo: gli unici che riuscivano ad averlo, raccontano i sopravvissuti, erano quelli con le famiglie capaci di corrompere le divise. Lim Ok Kyung, il cui marito è membro del Partito dei Lavoratori, ha ricevuto una sentenza meno dura degli altri ed è stata confinata a Ryanggang, dove per cinque giorni in carcere è stata costretta a rimanere in piedi ininterrottamente. Alcuni sono stati obbligati a rimanere a testa in giù e con le mani sul pavimento solo per aver incrociato lo sguardo del carceriere: “Non dovevamo guardare negli occhi gli ufficiali, eravamo considerati inferiori” ha raccontato un ex soldato scappato nel 2017. Lo conferma Park Ji Cheol: “Per punizione dovevamo allungare le braccia tra le sbarre per terra e loro ci camminavano avanti e indietro sopra, con gli stivali”. I fuggitivi, che hanno abbandonato la Nord Corea dopo il 2011, anno in cui Kim ha instaurato il suo dominio sugli apparati, raccontano che i processi equi sono una chimera e a volte non esistono neppure. Anche durante indagini ed interrogatori preliminari, ha confessato una guardia, “usiamo bastoni, calci o semplicemente le nostre mani per estorcere le confessioni, oppure leghiamo le nostre cinture al collo dei sospetti per farli correre come cani”. A volte, “stringendo le manette intorno ai pugni”, colpivano teste finché non diventavano fontane di sangue. Le testimonianze hanno fatto di nuovo eco nello sconcerto, però formale e immobile, dell’Onu: poco è stato fatto dal 2014, quando la commissione d’inchiesta accusò di “crimini contro l’umanità” il regime di Pyongyang, ora nuovamente tacciato di violazione sistemica e diffusa dei diritti umani, di omicidi extragiudiziali e di gestire una rete di gulag per prigionieri politici. Le uniche lacrime versate sono quelle del dittatore. “Scusate. Non sono stato capace di ripagare la vostra fiducia”: ha detto al popolo durante il 75° anniversario del partito, tra applausi e osanna del suo esercito in coro.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano del 25 ottobre 2020

Foto © Imagoeconomica

TAGS:

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos