Il pm Maria Teresa Gerace indaga sui finanzieri in affari con l’ormai ex cardinale
Dopo la rogatoria per l’acquisto shock di palazzine milionarie - tra le quali il palazzo Sloane Avenue di Londra, costato alle casse vaticane 200 milioni di euro, che ha visto emergere ipotesi di reato commessi in Italia - ora anche la procura di Roma sta indagando sui banchieri del Sacco di San Pietro. Il pubblico ministero Maria Teresa Gerace ha aperto un corposo fascicolo sulla vicenda. Al momento non sono dati sapere gli illeciti contestati ma nel mirino sarebbero finiti Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi e altri intermediari finanziari.
Un primo filone riguardava i rapporti tra l’Enasarco e il fondo Athena, con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione. Poi gli approfondimenti dei Finanzieri che dopo il sequestro nello scorso luglio di tablet e cellulare di Mincione avrebbero aggiunto altri spunti investigativi. Il nome di Raffaele Mincione compare nella guerra per la banca genovese Carige o nel controllo di Retelit, azienda che gestisce cavi in fibra ottica, in cui era assistito da Giuseppe Conte quando ancora era solo avvocato.
È stato Mincione a bloccare il piano alternativo benedetto dall’oramai ex cardinale Angelo Becciu, accusato di aver preso 100 mila euro da fondi riservati per darli alla cooperativa presieduta dal fratello Tonino. Il piano prevedeva una società tra il Vaticano e il magnate africano Antonio Mosquito, ma il finanziere italiano con base a Londra, che entrò nella partita grazie a Credit Suisse, si oppose rilanciando con l’acquisto dell’immobile di Kensington. Sul fondo Athena confluirono così i milioni dell’Obolo di San Pietro per l’acquisto di una parte del palazzo e per alcune speculazioni di Borsa. Il piano di trasformare la vecchia sede di Harrods però non andò in porto e alla fine decisero di prendere tutto l’immobile. A gestire la partita è Torzi sul quale giravano voci che lo raffiguravano come "figura ad alto rischio" in materia di riciclaggio. Figura nelle liste mondiali di bad press per false fatturazioni. Persino la Direzione nazionale antimafia richiese informazione su alcune sue operazioni. Ciononostante la Santa Sede decise di affidarsi comunque a lui.
Alla fine l’acquisto spregiudicato avrebbe permesso al finanziere Mincione e al broker Torzi di intascare 16 e 10 milioni di commissioni per la transazione.
Foto © Imagoeconomica
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