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di Claudio Rojas*
47 anni dopo il suo assassinio, l'omaggio a un combattente, presente oggi più che mai

Victor Jara potrebbe essere definito un artista multidisciplinare, ma soprattutto la voce di un popolo che chiedeva giustizia sociale, libertà e una soluzione ai problemi che lo affliggevano. Figlio di una famiglia di contadini, rimase presto orfano e sin da giovanissimo si interesserò alla sua grande passione, il teatro. Di Jara si possono dire molte cose: era un cantautore, un regista teatrale... ma soprattutto era un uomo che scommetteva sulla cultura come arma principale per la ribellione del popolo.

Víctor Jara ha scritto una canzone intitolata "Pongo en tus manos abiertas" (Metto nelle tue mani aperte), un omaggio a Luis Emilio Recabarren, ex leader del movimento operaio socialista che ha dato origine al partito socialista. Questo è anche il titolo di un album pubblicato durante l'entusiasmo della vittoria popolare di Salvador Allende. Uno dei suoi ultimi album si intitola "El derecho de vivir en paz" (Il diritto di vivere in pace), una canzone che rende omaggio al popolo vietnamita per la sua lotta contro l'imperialismo statunitense. In quest'ultimo periodo Victor Jara, insieme alle band Inti Illimani e Los Blops, si era lanciato alla ricerca di nuove forme musicali, forse più di massa e giovanili.

Si trattava di una nuova fase per l'artista, che già negli anni sessanta con la sua canzone di protesta aveva provocato una forte scossa contro lo pseudo folklore urbano e i costumi che lasciavano emarginati i popoli e le loro espressioni più autentiche.

jara victor manifestazione

Victor Jara ha vissuto intensamente il suo impegno di artista, e lo ha fatto in modo estremamente semplice e profondo, con le sue canzoni, le sue poesie e le sue molteplici espressioni artistiche.

Con l'arrivo di Salvador Allende alla presidenza del governo cileno è arrivata anche una rivoluzione, quella socialista. Figure culturali della cultura cilena come Pablo Neruda diedero il loro sostegno al nuovo leader del Paese, ma se c'è una voce che esprime questo movimento, è quella di Jara. Affiliato al Partito Comunista, ha creato inni che parlavano del popolo, dei suoi desideri, e che varcavano i confini, per essere cantate nelle manifestazioni in paesi come la Spagna.

Il governo socialista di Allende durò tre anni, il tempo necessario per il colpo di stato di Augusto Pinochet nel 1973. L'11 settembre di quell'anno le truppe legate al dittatore arrestarono 600 persone e le portarono allo Stadio del Cile. Tra loro c'era Jara, che dopo ore di torture subite per la sua difesa del governo Allende, fu trovato morto quattro giorni dopo nei pressi dello stadio, quasi irriconoscibile a causa dei fori di proiettile e i colpi ricevuti.

Sono trascorsi 47 anni dall'omicidio di Victor Jara, crivellato da 44 colpi a Santiago del Cile, tuttavia, la sua morte continua ad essere un'argomento attuale: dopo un lungo e tortuoso processo giudiziario, otto membri dell'esercito cileno in pensione sono stati condannati per la morte di una delle figure più importanti della cultura popolare cilena.

Fortemente impegnato nel suo ambiente politico, il suo impegno finì per costargli la vita. Dopo il colpo di stato del generale Augusto Pinochet dell'11 settembre 1973, egli si rinchiuse con altri studenti universitari nell'Università Tecnica dello Stato di Santiago per dimostrare il suo ripudio e la volontà di resistere; ma, l'esercito espugnò presto la struttura e fece prigioniero Jara portandolo allo Stadio del Cile, dove fu brutalmente torturato e ucciso il 16 settembre.

Tortura e omicidio
"Quel martedì, Victor Jara ascoltò da casa sua le ultime parole del suo amico e presidente, Salvador Allende, trasmesse da La Moneda nel bel mezzo del bombardamento”.

"Il cantautore quarantenne salutò la moglie, Joan Jara, prese la chitarra e si recò all'Università Tecnica dello Stato (UTE), oggi Università di Santiago del Cile. Lì incontrò i suoi studenti e i suoi colleghi professori e insieme decisero di passare la notte lì per resistere alle prime ore della dittatura".

"Mercoledì mattina, l'UTE fu presa d'assalto dalle truppe militari che entrarono nell'università e radunarono nel cortile principale tutti coloro che erano all'interno, compreso Victor Jara e la sua chitarra".

"Gli uomini, tra le quasi 600 persone, vennero portati allo stadio del Cile (che presto sarà ribattezzato Stadio Victor Jara), un impianto sportivo che era stato trasformato in un centro di detenzione e tortura”.

"Entrando nel complesso, con le mani sulla nuca, come il resto dei prigionieri, Victor venne riconosciuto da uno degli ufficiali. "Quel figlio di puttana è stato portato qui", gridò. Jara fu fatto uscire dalla fila con un colpo dei calcio di fucile così brutale che cadde di fronte al soldato, che iniziò a picchiarlo”.

"Lo colpiva, lo colpiva. Più e più volte. Sul corpo, sulla testa, scaricando furiosamente i calci. Gli fece quasi saltare un occhio. Non dimenticherò mai il suono di quello stivale sulle sue costole. Victor sorrideva, continuava a sorridere, aveva un viso sorridente, e questo dava ancora più fastidio al ‘facho’ (fascista). All'improvviso, l'ufficiale estrasse la pistola. Pensai che volesse ucciderlo, ma continuò a colpirlo con la canna della pistola. Gli spaccò la testa e il volto di Victor era coperto di sangue che gli scendeva dalla fronte", ricorda uno dei testimoni arrestati, Boris Navia.

Lo portarono con altri ufficiali, esibendolo quasi come un trofeo. Quella notte fu interrogato e torturato, e poi tenuto in custodia in uno dei sotterranei del luogo, senza cibo né acqua. I suoi compagni raccontano che uno di quei giorni il militare che lo sorvegliava abbandonò il suo posto, e approfittarono di quel momento per aiutarlo. Lo trascinarono dai corridoi degli spogliatoi al cortile principale, e lo nascosero tra le tribune tra le altre migliaia di detenuti. Secondo coloro che erano con lui, era ferito molto gravemente. Uno dei suoi compagni gli tagliò i capelli con un tagliaunghie per cercare di nascondere i suoi caratteristici riccioli ribelli”.

"Un altro dei detenuti, sapendo che Victor non aveva nè mangiato né bevuto, si fece dare un uovo crudo da un militare, che diedero a Victor. Fece un foro in uno dei lati e ne bevve il contenuto. "Ora il mio cuore batte come una campana", disse, e parlò di Joan e delle sue due figlie.

"Fu allora che vennero a sapere che due compagni sarebbero stati rilasciati e tutti iniziarono a scrivere messaggi da portare alle loro famiglie. In un piccolo taccuino, Victor scrisse i suoi ultimi versi: "Com’è difficile cantare, quando devo cantare l’orrore. L’orrore che sto vivendo, l’orrore di cui sto morendo".

"Nonostante il tentativo dei prigionieri, i militari dell'esercito lo scoprirono e lo picchiarono, davanti a tutti con maggiore intensità, prima di riportarlo nei sotterranei dove lo interrogarono di nuovo, lo insultarono e lo torturarono. Al calar della notte di quel sabato, trasferirono i prigionieri dallo stadio del Cile allo stadio nazionale. All'uscita, passarono attraverso una zona dove c'erano tra i 30 e i 40 cadaveri. Boris Navia riconobbe tra loro il volto di Victor Jara”.

"Erano tutti crivellati di proiettili e avevano un aspetto spettrale, coperti da una polvere bianca che copriva i loro volti e seccava il sangue. Riconobbi subito Victor", disse Navia.

"Qualche ora prima, Victor Jara era stato portato per l'ultima volta in una delle stanze degli spogliatoi del complesso. Lì, gli hanno rotto le mani calpestandole e colpendolo con il calcio delle pistole, lo costrinsero a provare a suonare la chitarra, presero in giro il musicista, lo schiaffeggiarono, lo torturarono".

"Cantante marxista, comunista figlio di puttana, cantante di merda". Quello che lo insultò di più era il tenente Edwin Dimter Bianchi, detto "Il Principe". I militari cominciarono a giocare alla roulette russa, puntandogli una pistola alla tempia e lasciando ogni tentativo al caso, finché uno dei proiettili uccise Victor Jara".

"Il soldato José Paredes Márquez testimoniò che il corpo del musicista era caduto su un fianco scosso da convulsioni. "Il Principe" diede ordine di sparargli, e così gli spararono altri 43 colpi".

"Durante le prime ore del mattino, due persone di un paese vicino al Cimitero Metropolitano di Santiago trovarono sei corpi in un luogo sperduto dietro il cimitero. Quando li girarono, si resero conto che uno di loro era Victor Jara. Insieme ad altre persone, lo portarono al Servizio Medico-Legale. Lì, uno dei funzionari lo identificò e lo comunicò alla moglie, Joan Jara. Il corpo del cantautore cileno presentava 44 ferite da arma da fuoco: 2 alla testa, 6 alle gambe, 14 alle braccia e 22 alla schiena. Grazie all'aiuto di altri compagni, Joan riescì a far uscire il suo amore dal SML e a seppellirlo in una nicchia del Cimitero Generale di Santiago. La targa non portava alcun nome, cosicché i militari non potessero trovarlo e farlo sparire, come avevano fatto con tanti uomini e donne".

"Quasi 43 anni dopo quanto accaduto, nel giugno 2016, una corte federale statunitense ha giudicato l'ex ufficiale militare Barrientos colpevole di tortura e di esecuzione extragiudiziale del cantante, attivista e politico”.

"Barrientos, nato in Cile, ma ora di cittadinanza statunitense e residente in Florida, è stato condannato a seguito delle accuse mosse della vedova del cantante e delle sue due figlie. Secondo il quotidiano "La Tercera", il giudice ha chiesto che l'ex tenente cileno paghi un risarcimento danni di 28 milioni di dollari.

"Durante il processo, durato due giorni, Barrientos ha negato di conoscere il cantautore durante il periodo delle esecuzioni perpetrate nello stadio del Cile sotto la dittatura di Pinochet, e ha assicurato di non sapere chi fosse fino a molto tempo dopo l'omicidio. Tuttavia, diversi testimoni - tra cui ex ufficiali come Paredes - hanno affermato che Barrientos era uno dei militari dietro gli omicidi dello Stadio del Cile e hanno dichiarato di aver assistito alle torture dei prigionieri, molti dei quali studenti e insegnanti. Sebbene sia stato giudicato colpevole di tortura e di esecuzioni extragiudiziali, l'avvocato ha respinto l'accusa di crimine contro l'umanità”.

Abbiamo dovuto aspettare 47 anni che qualcuno pagasse per la morte di Victor Jara. Una strada lunga e accidentata, in cui ogni speranza era praticamente persa. Il primo passo è stato compiuto nel 2009, con una solenne cerimonia di esumazione delle sue spoglie, che sono state consegnate alla sua famiglia. Ma restava ancora la cosa più importante, qualcuno doveva pagare. Ci sono voluti decenni, ma il processo del giudice Miguel Vazquez è riuscito, più di 40 anni dopo l'omicidio, a condannare gli ufficiali militari Hugo Sanchez, Raul Jofré, Edwin Dimter, Nelson Haase, Ernesto Bethke, Juan Jara, Hernan Chacon e Patricio Vasquez a una pena di 15 anni, compresa la condanna per l'omicidio, avvenuto nelle stesse fatidiche ore, dell'ex direttore del carcere Littré Quiroga.

Quindici anni di carcere sono ovviamente un gesto prettamente simbolico: ci sono state decine di morti nell'ex Stadio del Cile, oggi noto come “Stadio Victor Jara”.

Non c'è una condanna sufficiente, equivalente a migliaia di anni, che possa compensare  accaduto in quel complesso sportivo nel settembre 1973. La giustizia ha dormito per tutte quelle vittime anonime. In questo senso, l'assassinio di Victor Jara è servito come faro di luce per un piccolo frammento di condanna morale a questi militari e alla dittatura nel suo complesso.

Un'altra punizione per chi vuole negare la storia.

* dal Cile

Foto interna: www.sopitas.com / Victor Jara ad una manifestazione popolare

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