di Karim El Sadi
Sul tavolo della conferenza di Manara di domani 50 miliardi in cambio della rinuncia ai diritti del popolo palestinese (non invitato)

Dalle storiche viuzze della Città Vecchia di Gerusalemme passando per l’affollatissima piazza Al Manar di Ramallah fino al Libano, la Giordania, l’Europa e tutto il resto del pianeta, quello del popolo palestinese è un secco “No!” al “Century deal” (affare del secolo) proposto dagli Usa alla Palestina e ad alcuni paesi arabi per la risoluzione del conflitto israelo-palestinese. “Il piano Marshall” per il vicino oriente, nato da un’idea del potente architetto nonchè genero del presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, Jared Kushner, verrà annunciato a tutto il mondo domani in Bahrein ma ha già ricevuto la bocciatura di tutta la leadership palestinese nazionale e non.
Alla conferenza di Manama parteciperanno, tra i vari paesi, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Egitto, Qatar, Giordania, Marocco e Israele che andrà con una delegazione privata non politica guidata dall’ex generale in pensione Yitzhak Mordechai. Al tavolo però sarà vuota, o meglio assente, la sedia della delegazione palestinese. I palestinesi infatti non sono stati nemmeno invitati a sedere assieme alle potenze mondiali che avrebbero dovuto discutere del loro futuro poi non così lontano. Una mossa scorretta, quella dell'Amministrazione Trump, anche se fonti governative palestinesi avevano già annunciato, quando erano giunte le prime indiscrezioni sull’incontro, che non avevano comunque alcuna intenzione di partecipare. I motivi di questo forte gesto di protesta sono vari e non sono difficili da individuare. Ma andiamo con ordine. In breve la Casa Bianca ha intenzione di mettere sul tavolo circa 50 miliardi di dollari di investimenti per Egitto, Libano, Giordania, dei quali la metà (25 miliardi) spetteranno ai territori occupati palestinesi. E ancora, 179 progetti infrastrutturali, un fondo di investimento da un miliardo di dollari per il turismo palestinese e un “corridoio” di mezzi di trasporto da cinque miliardi per collegare Gaza alla Cisgiordania, la scarcerazione entro 3 anni di tutti i prigionieri politici dalle carceri israeliane e la costruzione entro 5 anni di un porto e un aeroporto. In particolare investimenti sarebbero previsti per la Penisola del Sinai, adiacente alla Striscia, chiaro riferimento all’idea più volte avanzata dalla destra israeliana di fare del Sinai una sorta di Stato palestinese.
L’affare del secolo” creerebbe in questo modo, secondo Washington, “milioni di posti di lavoro a Gaza e in Cisgiordania” e porterebbe “il tasso di disoccupazione dal 30% a poche unità, riducendo della metà il tasso di povertà” nonchè consentirebbe il raddoppiamento del pil palestinese. Un’offerta allettante, ma non è tutto oro quello che luccica soprattutto se a proporre l’affare è amico dell’estrema destra israeliana, nonchè finanziatore dei coloni israeliani. In effetti, se si analizza bene la proposta non compare nemmeno una delle richieste principali e inamovibili del popolo palestinese, le stesse avanzate da 70 anni a questa parte. Assente la voce sulla fine dell’occupazione militare israeliana, assente il punto relativo al ritorno dei milioni di profughi palestinesi e assente, infine, il riconoscimento di uno Stato contiguo e indipendente. Non solo, l’ingente investimento multimiliardario USA non sarebbe nemmeno direttamente gestito dall’Autorità nazionale palestinese, ma da una banca multinazionale di sviluppo per “assicurare buona gestione e impedire la corruzione”. Alla luce di tutto ciò, quello che il pacchetto trumpiano offre si può benissimo riassumere in soldi in cambio della rinuncia ai diritti. Una contropartita che nessun palestinese avrebbe mai accettato e questo Kushner lo sapeva fin dall’inizio. Di fatto il piano del giovane consigliere sul medio oriente di Trump era stato ideato già in origine per non avere successo, il motivo è difficile stabilirlo. Ma non è da escludere che avviando un tale progetto si sarebbe costretto inevitabilmente ai palestinesi di non trovare via di uscita se non quella della bocciatura del piano, fornendo a Israele in questo modo il “leitmotiv” per continuare la propria campagna espansionistica e colonizzatrice nei territori occupati sotto la favola, continuamente riproposta, secondo la quale “sono i palestinesi a non volere la pace”.

gerusalemme filo spinato
Qual è il senso dell’Affare del secolo?. - si è domandato Mohammad Hannoun, leader dell’associazione ANP durante una conferenza stampa tenutasi ieri a Roma presso la Stampa Estera - E’ un business tra commercianti destinato al fallimento. I termini del contratto sono prevalentemente sconosciuti, ma è iniziato, strategicamente, con il taglio dei fondi all’UNRWA e poi con il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Questo affare, tuttavia, è nato morto: tutte le realtà palestinesi lo hanno respinto, perché la Palestina non è in vendita e noi vogliamo riprendercela. Dovete rispettare i nostri diritti. Pertanto, rivolgo un appello a tutti, popolo italiano compreso, affinché si pongano a fianco della Palestina”. Anche il gruppo dei Giovani Palestinesi d’Italia ha sollevato i propri dubbi e si è detto assolutamente contrario al piano. “Tutta la Palestina storica è parte integrante della terra della nostra patria e non accettiamo la sua frammentazione o sostituzione. - ha detto il neo presidente del GPI Alaa Al Ainain - Rifiutiamo categoricamente e inequivocabilmente la forma e il contenuto del 'Century Deal'". Ma non finisce qua, dalla conclusione della bozza del documento sulle responsabilità si apprende che, nel caso in cui Hamas e OLP si opporranno a questo “storico accordo”, gli Stati Uniti annulleranno tutti i sostegni finanziari ai palestinesi e faranno di tutto per impedire a qualunque paese di trasferire dei fondi in Palestina, lo stesso accadrà allo stato ebraico se questi decidesse di declinare l’affare. In conclusione “se l’OLP accetta i termini in disaccordo con Hamas e la Jihad Islamica i leader di questi ultimi se ne assumeranno la responsabilità e nel caso di un’ondata di violenza gli Stati Uniti li perseguiteranno insieme ad Israele”. Di tutta risposta le posizioni di Hamas e OLP non si sono fatte attendere.
Rigettiamo l’Accordo del Secolo in tutte le sue dimensioni, economica, politica, di sicurezza - ha affermato Ismail Rudwan, membro del partito islamista - La questione del popolo palestinese è nazionalista, è la questione di un popolo che è in cerca di libertà dall’occupazione. La Palestina non è in vendita e non è una questione da contrattare”. “Primo, togliere l’assedio a Gaza, fermare il furto di terre, risorse e fondi da parte di Israele, darci la nostra libertà di movimento e di controllo su tutti i confini, sullo spazio aereo e le acque territoriali - ha risposto su Twitter Hanan Ashrawi, del comitato esecutivo dell’Olp - E poi guardateci costruire una vibrante e prosperosa economia come popolo libero e sovrano”. Intanto a Gaza le principali fazioni politiche palestinesi hanno indetto per domani uno sciopero generale di protesta contro il seminario economico organizzato dall'Amministrazione Trump. Lo sciopero intende ribadire la contrarietà dei palestinesi al cosiddetto 'Accordo del secolo' dell’inquilino della Casa Bianca che - a loro avviso - aggira i principali nodi politici del conflitto con Israele. La manifestazione è diretta inoltre contro ogni progresso nella normalizzazione dei rapporti fra i Paesi arabi ed Israele, in assenza di una soluzione definitiva del conflitto. Oggi decine di giornalisti di Gaza hanno organizzato di fronte alla sede della Croce Rossa internazionale un picchetto in cui hanno protestato contro l'autorizzazione concessa dal Bahrein all'ingresso di giornalisti israeliani e a trasmissioni televisive dirette da Manama verso Israele. Hanno anche lanciato un appello a tutti i media arabi affinché boicottino il seminario di Manama, in solidarietà con la causa palestinese.

Foto © Kobi Gideon/GPO via Getty Image

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