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ruotolo buondonno curzidi Karim El Sadi - Video/Foto
A Fermo un incontro sui lager Libici e i flussi migratori

"Io mi aspetto che i tribunali come quello dell'Aja intervengano e mettano sotto processo Salvini, Di Maio e il resto d'Europa che chiude i porti e lasciano morire le persone in mare". Non ha usato mezzi termini Sandro Ruotolo. Il giornalista di Fanpage.it è intervenuto presso l'Auditorium San Filippo di Fermo dove, assieme al collega de Il Fatto Quotidiano, Pierfrancesco Curzi ha partecipato all’incontro moderato dal professore Giuseppe Buondonno, “Libia, il porto insicuro". Tema della serata, appunto, le rotte di migranti che attraversano il Mediterraneo, "la più grande fossa comune dal dopo guerra”, per raggiungere le coste italiane ed europee. La questione immigrazione è un tema che riguarda trasversalmente da anni l'Italia e la sua politica. Partendo dalla legge Bossi-Fini del 2002 il tema ha fatto sempre più parte dei programmi di governo e delle pagine di quotidiani italiani. "Il punto di partenza di questa emergenza risale al 2008 con la crisi economica americana - ha detto Ruotolo - poi c'è stata la Primavera Araba (nell'africa maghrebina, ndr) e in Libia cadde Muammar Gheddafi". Ed è proprio qui che ha inizio l'esodo degli immigrati. In Libia ancora oggi non ci sono poteri costituiti. Nel paese regna l'anarchia tra tribù, clan, etnie e, anche se sconfitto, vi sono ancora presenti alcune cellule dell'Isis. Le uniche figure politiche riconosciute internazionalmente da alcuni paesi occidentali sono il premier del governo di accordo nazionale libico, Al Fayez al Sarraj e il generale Khalifa Belqasim Haftar in Cirenaica, ciascuno dei quali è appoggiato da potenze estere differenti, interessate a dare in mano il paese a chi può promettere loro introiti economici. E' in questo contesto che si sviluppa l'altra tappa, forse la più ardua, del viaggio dei migranti. Un viaggio frutto di “un’emergenza strutturale” come l’ha definita Ruotolo, che affonda le sue radici in fattori di elevata importanza e gravità per tutto il continente. Partendo dalla desertificazione causata dal cambio climatico, l'insediamento delle multinazionali "monstre", fino ad arrivare alle organizzazioni terroristiche e all'assenza di democrazia con la povertà diffusa e la fame che favorisce tutto il quadro. I migranti che partono da ogni angolo dell'Africa per fuggire a tutto questo hanno come prima meta il raggiungimento delle coste libiche dove però li attendono le bande criminali che gestiscono e sfruttano la cosa a loro favore tramite l'uso della violenza e il ricatto, approfittando della crisi in cui riversa il paese e della disperazione della povera gente. I profughi, una volta attraversato il Sahara vengono rinchiusi da criminali libici ed ex agenti di polizia in prigioni pubbliche o segrete. ”Gabbie" anguste sovraffollate.

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Il pubblico intervenuto all'incontro © ACFB


In queste carceri di fortuna i detenuti vivono in condizioni disumane, “senza acqua, luce e potendo mangiare una volta sola al giorno con del pane", per non parlare delle torture e delle uccisioni, come hanno raccontato i ragazzi intervistati da Sandro Ruotolo nel suo documentario proiettato in sala dal titolo “Dentro i lager libici”. In Libia, paese non firmatario degli accordi di Ginevra sui migranti, "c'erano prima di settembre 23 campi di detenzione ufficiali amministrate dal ministero Dcim che ha l'obiettivo di contrastare l'immigrazione clandestina tramite la deportazione dei migranti in centri di detenzione oltre a recuperare i corpi in mare" ha detto Curzi. Uno di questi centri ufficiali si trova nella periferia di Tripoli e si chiama Trik Al Sikka. “Questo posto - ha raccontato il giornalista de Il Fatto Quotidiano - è il principale centro di detenzione ufficiale dove il personale delle organizzazioni internazionali che ha il permesso di entrare (tra cui UNIHCR, ndr). Questi vedono le circostanze umanitarie delle persone con infezioni, ferite, fratture di gente che è li per morire, ma non muovono un dito”. Di questi centri di detenzione se ne parla superficialmente e a volte in maniera completamente distorta dalla realtà. “Salvini durante il primo e unico viaggio in Libia nel giugno 2018 non entra in un centro di detenzione - ha sottolineato Curzi - va a visitare un ‘SAFE Shelter’, un rifugio sicuro proprio difronte al centro di Trik Al Sikka. Un rifugio dove dovrebbero essere portate le persone vulnerabili, anziani, bambini e donne in dolce attesa. Questo ‘SAFE Shelter’ però purtroppo non è mai entrato in funzione. Salvini ha mostrato in un video su Facebook come i migranti vivono in quei centri all'avanguardia, con aria condizionata, posti letto, ecc... per far capire agli italiani come vivono i migranti (in luoghi come quello, ndr)” ha spiegato il giornalista. “Di fronte (al SAFE Shelter, ndr) c’era l'inferno, non ho mai vissuto un’esperienza del genere quando sono entrato a Trik Al Sikka sono crollato a terra piangendo senza riuscire a controllarmi vedendo quelle cose - ha rammentato Pierfrancesco Curzi - La pacchia queste persone non l’hanno mai vissuta e coloro che parlano di pacchia non hanno mai vissuto un centimetro di questo continente”.

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Rocca di Papa, 28 agosto 2018. I cittadini favorevoli all'accoglienza si scontrano con quelli contrari all'arrivo dei migranti della nave Diciotti © Imagoeconomica


Sbarchi e caso Diciotti
Sempre in tema immigrazione un altro argomento di rilievo toccato in serata è quello degli sbarchi. I relatori hanno ricordato i numeri ufficiali che parlano di una netta riduzione delle partenze dalla Libia già da quando si è insediato il governo Gentiloni con il guardasigilli Marco Minniti. L’ex ministro dell'Interno “ha messo in atto una manovra disperata per cercare di recuperare consenso all’interno del Paese dimezzando in sei mesi gli sbarchi nel nostro paese”. Mentre in Italia le cifre parlano di 120 mila immigrati sbarcati nel 2017, nel 2018 sono arrivati solo 21mila, un calo drastico dovuto ai provvedimenti duramente criticati del nuovo governo Giallo-Verde. Tra questi il decreto sicurezza voluto dal “non ministro Salvini” come l’ha descritto il giornalista Curzi, che prevede la riforma di diverse manovre su asilo, immigrazione, cittadinanza e sicurezza. Una legge figlia della percezione irreale di un’“invasione inesistente” come ha ribadito Sandro Ruotolo. Il giornalista si è inoltre espresso sulle ultime vicende riguardanti il caso Diciotti, la nave battente bandiera italiana, pattugliatore della Guardia costiera, già protagonista di molti salvataggi in mare, che lo scorso 16 agosto ha soccorso e salvato 177 migranti al largo di Lampedusa. Il ministro Salvini non aveva autorizzato il procedimento per lo sbarco dei rifugiati e ad oggi si trova indagato per sequestro di persona e abuso d’ufficio, per il quale il Capo del Carroccio rischia di dover rispondere a processo dopo la richiesta al Senato di autorizzazione a procedere del Tribunale dei Ministri di Catania. Per questo Ruotolo ha lanciato un appello “Noi vogliamo che il nostro ministro fascio-leghista, Salvini, che chiamo così - ha precisato - perché un ministro degli Interni dovrebbe tacere e lavorare invece lui parla e non lavora, finisca sotto processo per sequestro di persone straniere in territorio italiano”. “Un porto chiuso - ha concluso il giornalista - Vuol dire centinaia di morti”.

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Sandro Ruotolo sul luogo in cui il 5 luglio 2016 Emmanuel fu aggredito © ACFB


Una lapide per Emmanuel
Nella cittadina di Fermo dove si è svolto l’appuntamento, nell’estate del 2016 si è consumato un omicidio di matrice razzista. A morire sotto le percosse dell’ultrà fermano Amedeo Mancini, il 36enne nigeriano Emmanuel Chidi Namdi. In suo ricordo Ruotolo ha lanciato un appello al Sindaco di Fermo di istituire una lapide in onore dell’uomo aggredito insieme a sua moglie due anni fa. In serata il giornalista ha poi scritto sul proprio profilo Facebook “La mia è una lettera aperta al sindaco e all’amministrazione comunale di Fermo, cittadina delle Marche: non fate cadere nell’oblio l’orrendo crimine razziale che si è consumato il pomeriggio del 5 luglio 2016 nella vostra città quando un ultrà uccise un migrante nigeriano di 36 anni. Le future generazioni hanno il diritto di conoscere il passato e voi avete il dovere di conservare la memoria. Neanche una lapide ricorda Emmanuel Chidi Namdi ammazzato in via XX settembre mentre passeggiava con la sua compagna, Chenyere. L’assassino, Amedeo Mancini, accusato di omicidio preterintenzionale ha patteggiato la pena di 4 anni di reclusione e la sta scontando agli arresti domiciliari. Emmanuel aveva reagito agli insulti alla sua compagna chiamata “scimmia africana”. Anche Chenyere era stata picchiata riportando escoriazione alle braccia e a una gamba. Sindaco di Fermo, non abbia paura di perdere consenso. Emmanuel non se l’era cercata. Era scappato dalle milizie di Boko Haram e per realizzarsi era approdato nella nostra terra. Restiamo umani. Non siate complici di chi fomenta odio e razzismo”.

Foto di copertina © ACFB


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