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bambino orso wwf c imagoeconomicaIl WWF: "Non solo carini ma necessari alla vita"
di Vittorio Sabadin
Dal 1970 a oggi, in poco meno di mezzo secolo, le attività umane hanno annientato il 60% della fauna selvatica: mammiferi, pesci, uccelli, rettili e invertebrati. Se a scomparire fosse stato il 60% degli esseri umani, oggi un territorio vasto come l’America del Nord e del Sud, la Cina, l’Africa, l’Europa e l’Oceania sarebbe privo di rappresentanti della nostra specie. Questa è la scala di ciò che abbiamo fatto. Prestiamo molta attenzione ai mutamenti climatici, ma la devastazione dell’ambiente causata dall’uomo mette la civiltà e il nostro futuro ancora più a rischio.
Il Wwf non era mai apparso così allarmato come dopo avere ricevuto dalla Zoogical Society of London l’ultimo Living Planet Index, redatto con la collaborazione globale di 59 scienziati. Attraverso questo indice si monitorano da anni circa 4000 specie animali, registrandone il declino. Il vasto e crescente consumo di cibo e di risorse da parte dell’uomo sta distruggendo con rapidità l’ambiente naturale, portando all’estinzione specie che hanno impiegato miliardi di anni per svilupparsi. Sono in pericolo tigri, leoni, coccodrilli, leopardi, ma anche migliaia di altre piccole specie che vivono nelle savane. «Non si tratta di avere distrutto le meraviglie del mondo, per quanto triste sia l’idea - dice Mike Barrett, direttore del dipartimento Science and Conservation del Wwf - . Stiamo mettendo in pericolo il futuro delle persone, stiamo camminando come sonnambuli sull’orlo di un precipizio. La Natura non è solo qualcosa di carino da guardare: è il nostro sistema di supporto vitale».

I dati
La flora e la fauna, ricorda il Wwf, sono indispensabili al delicato equilibrio che ci tiene in vita: la produzione di cibo, l’acqua, l’aria, il clima, l’impollinazione, persino la riduzione dell’inquinamento dipendono dalla Natura, che mette così a disposizione dell’uomo servizi pari a un valore di 125.000 miliardi di dollari l’anno, una cifra ben superiore al prodotto globale lordo del pianeta, che è di 80.000 miliardi di dollari: anche i governanti meno sensibili dovrebbero averne rispetto. La distruzione degli habitat e la conseguente scomparsa di milioni di animali è causata soprattutto dalla necessità di avere più campi coltivabili per cibo e foraggio. In Sud America la situazione è così grave che l’89% dei vertebrati è stato annientato dalla distruzione di foreste ricchissime di vita. Ogni due mesi in Brasile scompare un’area della savana del Cerrado grande come Londra, per fare posto a campi di soia che sfameranno polli e maiali europei. Dai fiumi e dai laghi è scomparso l’83% dei pesci, a causa delle dighe e della sete dell’agricoltura. Metà degli oceani è depredato dalla pesca industriale, come non bastasse la plastica che porterà all’estinzione le orche e altri mammiferi marini.
Secondo un’altra ricerca, dall’inizio della civilizzazione l’uomo ha causato la scomparsa dell’83% dei mammiferi e del 50% delle piante. I risultati si vedono: il 1° agosto scorso è stato il giorno entro cui l’umanità ha consumato le risorse prodotte dalla Terra nell’intero anno. Questo Earth Overshoot Day, calcolato dal Global Footprint Network, cadeva nel 1970 il 29 dicembre, solo due giorni prima della fine dell’anno. Ogni paese fa ovviamente la sua parte in modo diverso: negli Stati Uniti il giorno in cui la Terra termina la sua capacità di rigenerarsi è il 15 marzo, in Italia il 24 maggio, in Vietnam solo il 21 dicembre.

I correttivi
Che si può fare? Mangiare meno carne è considerato importante nell’invertire la tendenza, perché molti terreni strappati alla foresta sono destinati all’allevamento di bestiame. Bisognerebbe poi cambiare drasticamente lo stile di vita rendendolo più sobrio, evitando anche di sprecare cibo. Si dovrebbero investire maggiori capitali nella tutela dell’ambiente e nel ripopolamento degli habitat naturali. Bisognerebbe anche attuare politiche demografiche più attente alle risorse disponibili, un argomento delicato che molti esperti considerano però ineludibile. Già oggi occorrerebbero quasi due Terre per sfamare la popolazione, ma gli scienziati ci avvisano che continuando a sostituire le foreste con campi coltivati annienteremo la nostra civiltà. Tanya Steele, chief executive al Wwf, ha spiegato con una sola frase al Guardian perché non possiamo più ignorare il problema: «Siamo la prima generazione a sapere che stiamo distruggendo il pianeta, e anche l’ultima che può fare qualcosa».

Tratto da: La Stampa

Foto © Imagoeconomica

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