di Giorgio Bongiovanni e Jean Georges Almendras
Si è sempre detto che fu un suicidio. Ma ugualmente il dubbio è stato sempre presente. Fino a che, un giorno, la farsa montata dalla dittatura di Augusto Pinochet si è mano a mano sgretolata e la verità sulle vere cause della morte del presidente cileno Salvador Allende Gossens, avvenuta l’11 settembre del 1973, nel Palacio de La Moneda di Santiago di Cile, bombardato e preso d’assalto dalle forze golpiste, è venuta alla luce. Una verità supportata da prove grafiche e testimonianze che, seppur tardive, non per questo sono prive di validità e fondatezza e che in definitiva hanno mostrato palesemente che Allende fu ucciso con una raffica di mitragliatrice quando, ormai ferito, cercava di resistere al piano della sede presidenziale, cadendo a terra con il suo corpo crivellato dai proiettili.
Una fotografia eloquente, non un fotomontaggio, che sta facendo il giro del mondo da un paio di anni, in cui si vede il cadavere di Allende crivellato di colpi. Rende ampiamente il contesto di violenza e di politica genocida che circondò il golpe militare cileno, e che provocò uno shock sociale per installare un neoliberismo proclamato dai Chicago Boys. Politiche del dittatore - forte dell’appoggio nordamericano - supportate sfacciatamente sul terreno politico dall’Unión Demócrata independiente e Renovación Nacional, settori dell’estrema destra cilena, che né fecero né dissero niente riguardo le circa 10.000 morti provocate dalla dittatura e che tinsero di sangue le strade di Santiago e i luoghi più reconditi del Cile. Tra le vittime anche due esponenti dell’arte e della letteratura del paese trasandino, ci stiamo riferendo al cantautore e docente Víctor Jara e al poeta e Premio Nobel alla Letteratura Pablo Neruda, la cui morte, secondo le ultime investigazioni, sarebbe stata causata da terzi.
Ad oltre 40 anni dai fatti accaduti al Palacio de la Moneda, il documento fotografico del corpo di Salvador Allende parla chiaro: la raffica di mitragliatrice gli attraversò il petto dalla spalla in alto fino all’addome, e il cardigan è lo stesso che indossava quando entrò nel Palazzo nelle prime ore del mattino in quel fatidico giorno dell’11 settembre.
Inoltre, stando alle diverse investigazioni giornalistiche degli ultimi anni, tra cui quella del collega della rivista Interviú, Rubén Adrián Valenzuela, Salvador Allende non aveva con sé il mitra regalatogli da Fidel Castro, ma una pistola modello Walter PPK. E ancora, grazie a delle testimonianze, è stato possibile constatare che al momento di essere colpito era ferito e si trovava al piano alto del Palazzo, vicino al punto da dove i suoi collaboratori più stretti stavano iniziando a scendere le scale per consegnarsi ai golpisti.
Ma c’è di più. Non essendo stata eseguita alcuna autopsia, immediatamente dai vertici golpisti ci fu una dichiarazione ufficiale di un Vice Commissario di Polizia identificato come Pedro Espinoza il quale, tendenziosamente, disse che la ferita che presentava Allende "era di tipo suicida”. Una valutazione non medica che di fronte al documento fotografico cade completamente.
Ma c’è dell’altro. Esperti belgi segnalarono che qualora Allende si fosse sparato con il mitra in due momenti diversi, il primo scoppio gli avrebbe strappato l'arma dalle mani, e il secondo gli avrebbe causato ferite nel cranio e nelle mani. Secondo il vice Commissario Espinoza, che sosteneva la versione dei golpisti (cercando in tutti i modi di far passare la morte come suicidio), Allende aveva l'arma nelle sue mani (la presunta mitragliatrice, regalo di Fidel Castro), ed era seduto su una poltrona senza vita e lievemente inclinato.
Gli esperti belgi determinarono che se i fatti si fossero svolti in questo modo, considerando il calibro dell'arma che si presume portasse con sé, era impossibile che il suo corpo fosse rimasto sulla poltrona.
Più di quaranta anni dopo, finalmente si è potuto accertare che i fatti furono assolutamente criminali sin dalla radice, perché nel libro di Patricia Verdugo, pubblicato anni fa, è stato definito con estrema chiarezza che l'obiettivo di Pinochet (e dei mandanti nordamericani del colpo di stato), era che Allende doveva morire durante o dopo l'assalto al Palazzo Presidenziale. Nel suo libro "Interferencia Secreta" Verdugo porta all’opinione pubblica quel dialogo dove Pinochet ordina che nel caso in cui Allende avesse accettato di salire su un aeroplano insieme alla sua famiglia, per essere portato in un qualsiasi punto del pianeta, l'aereo doveva precipitare o a causa di un bombardamento o per un incidente, ovviamente provocato.
Non solo. Nel suo lavoro il collega Valenzuela della rivista "Interviù" riferisce che c’era un testimone nel momento in cui fu assassinato Allende. Si tratta del funzionario del Palazzo che lo accompagnava in quel drammatico momento, Enrique Huertas, il quale, minuti prima di scendere a pianterreno, mentre i militari andavano verso il punto dove si trovava Allende (l’ultimo del gruppo che andava a consegnarsi), vide come venne crivellato da colpi per mano del Generale Palacios, al comando del picchetto militare che avanzava in quel settore dell'edificio.
Poco dopo, nel recinto dove erano tenute prigioniere tutte le persone catturate nel Palazzo, Huertas ratificò la versione dell'assassinio così come Arturo "Pachi" Guijón. Ma alla fine Enrique Huertas fu assassinato dai golpisti e si pensa che Guijón (il secondo testimone dell'assassinio), giunse ad un accordo con loro per dare la versione del suicidio, salvando così la sua vita.
E ancora: il giornalista Valenzuela ha scritto che Eugene M. Propper, pubblico ministero nordamericano nel "Caso Letelier", stabilì negli anni 80 che l'autore materiale degli spari sul già ferito Salvador Allende fu il tenente aiutante del Generale Palacios, Rene Riveros. E che Palacios gli avrebbe dato il colpo di grazia. Furono questi due militari cileni a mettere fine alla vita di Salvador Allende.
(12 Giugno 2018)
Foto di copertina: www.revistainterviu.com