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sparatoria paraguaydi Jorge Figueredo
Non è un caso quanto sta avvenendo nel nostro Paese negli ultimi anni: una guerra criminale tra i narcotrafficanti del Brasile e del Paraguay per il controllo degli affari illeciti che ha ormai mietuto centinaia di vite. L’aumento della violenza delle organizzazioni criminali va di pari passo con la corruzione, molto estesa nelle istituzioni preposte a combatterle, come Polizia Nazionale, SENAD, Ministero Pubblico e Potere Giudiziario.
Gli ultimi fatti di morte su commissione, decisi all’ombra dei narcos, avvenuti ad Asuncion a gennaio del 2017 e, in questi giorni, la morte di un bambino e di suo padre – il quale si sarebbe suicidato - secondo gli inquirenti rientrerebbe nell’ambito di un regolamento di conti tra narcotrafficanti: un segno sconvolgente per la nostra nascente istituzione democratica.
La gravità non sta nel fatto che il crimine organizzato può fare quello che vuole e come vuole persino nella capitale, quanto piuttosto nel fatto che si sente sempre più forte nel colpire in qualsiasi punto del paese grazie alla corruzione delle istituzioni, strettamente legate all’appoggio che ricevono dalle mafie. È proprio la mafia a beneficiare maggiormente dei diversi traffici illeciti: traffico di droga, armi, tratta di esseri umani, sequestri di persona, estorsioni, ecc.
Va sottolineato che la forza della criminalità organizzata al servizio delle mafie nazionali ed internazionali avviene in un contesto che vede una classe politica - salvo qualche eccezione - carente della più minima coscienza della grave crisi economica, sociale, di sicurezza, di crescita del crimine organizzato e di corruzione nel paese. Il governo di Cartes ha le migliori condizioni economiche, finanziarie, amministrative e legali affinché la mafia si senta sempre più fortificata e per niente intimorita di servirsi dei suoi sicari per assaltare, rubare, estorcere, minacciare, assassinare non solo elementi del crimine organizzato, ma chiunque si opponga ai loro oscuri propositi di consolidare un potere assoluto e dittatoriale in Paraguay.  
Il Governo Cartes è stato ed è un violentatore recidivo della Costituzione Nazionale. Ha fatto uso ed abuso del suo potere senza che nessuno fino a questo momento gli abbia posto dei limiti. Né il parlamento, né il potere giudiziario o il Ministero Pubblico. Ha militarizzato la zona nord del paese, violato le norme costituzionali che reggono il controllo economico-finanziario delle opere pubbliche in appalto e aggiudicate, ad esempio, secondo una legge di ‘alleanza pubblico-privata’. Ancora, ha ignorato le norme contemplate nella nostra ‘carta magna di protezione all'ambiente’ emanando un decreto per intensificare lo sfruttamento forestale delle proprietà, un ipotetico reato punibile, che renderebbe il Governo Cartes imputabile politicamente e quindi da affidare alla giustizia, se abitassimo in un autentico Stato di Diritto.  
Lo Stato paraguaiano è carente di politiche strategiche di lotta contro il crimine organizzato e le mafie, ragione per cui il questo Paese è sul sentiero di convertirsi, non in un narco-stato, che già lo è attualmente, neanche in un Stato fallito, ma in uno Stato-mafia. Cosa si intende? Stati-mafia sono quelli Stati interessati da un doppio fenomeno: le connessioni tra organizzazioni criminali ed istituzioni, rappresentate da uomini incriminati di corruzione o di mafia, e l'uso, continuato o frequente, di pratiche criminali da parte delle istituzioni stesse.
Tale connivenza, connubio o matrimonio, non solo delle istituzioni con le organizzazioni criminali, ma di determinati ambienti imprenditoriali e politici con la mafia, possono distruggere la nostra attuale democrazia.  
Non abbiamo attualmente politiche di Stato solide di vera lotta alle mafie: ne è un esempio evidente il fatto che continuiamo ad avvalerci di strumenti giuridici del secolo scorso, falliti in tutti i paesi dove la criminalità organizzata e le mafie sono state forti.  
Come affermava l'ex magistrato Antimafia e attuale Presidente del Senato Pietro Grasso, in un convegno sulla sicurezza organizzato dal Ministero della Difesa, la Polizia e la Banca Interamericana di Sviluppo (BID), parlando della Colombia e delle strategie di lotta contro il crimine in Italia: “Tra la soluzione militare e la repressione giudiziaria, sono incline alla seconda opzione, perché garantisce migliori risultati per smantellare la criminalità”. "Per raggiungere questo risultato, è indispensabile la raccolta delle prove che si traducono in condanne definitive. Lo strumento più importante di cui ci siamo avvalsi è quello dei collaboratori di giustizia. Come funziona questo metodo? Un tempo alcuni di loro facevano parte di organizzazioni mafiose ed ora ci forniscono delle informazioni di vitale importanza."
Cioè, sbagliano coloro che credono che la mafia si combatte con misure puramente militari, poiché questa si colpisce soprattutto applicando metodologie moderne di indagine che devono essere stabilite dal Codice Penale, e stabilire i suoi principi nella Costituzione Nazionale.
In Italia, culla della mafia siciliana, negli anni ‘70 nasce il “diritto premiale”, un trattamento penale favorevole che permette di applicare ad un reato un premio di depenalizzazione. Il diritto penale “premiale” risponde ad una politica criminale evidente dal punto di vista tanto scientifico quanto politico. La legge sui pentiti è stata emblematica. I pentiti sono i collaboratori di giustizia che danno un loro contributo alla polizia o all'autorità giudiziaria nell'individuare i responsabili dei reati di terrorismo o nella lotta contro le associazioni mafiose. Nella lotta contro le mafie, non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti, in Germania, in Spagna, in Colombia, in Francia, etc., vengono applicati anche altri strumenti moderni di indagine come quello dell'agente provocatore, l’agente occulto, informatori, pentiti, infiltrati, protezione dei testimoni, intercettazioni telefoniche, interviste ai fini di indagine nelle carceri, sequestro di beni pignorati.
Il crimine organizzato, la corruzione e la mafia formano un triangolo della morte che ha già causato molte vittime in Paraguay, come i giornalisti Santiago Leguizamón, Salvador Medina e Pablo Medina, tra gli altri. Soprattutto quest’ultimo è stato ucciso perché con le sue indagini aveva messo allo scoperto non solo le attività criminali dei narcotrafficanti, ma soprattutto i loro legami con i politici del dipartimento di Canindeyú con il crimine organizzato, e nel futuro avrebbe potuto rivelare perfino le attività mafiose di personalità dell'alta sfera politica ed economico-finanziaria del paese.
Di fronte a questa terribile realtà lo Stato paraguaiano deve cominciare a riflettere e ad applicare tecniche di indagine moderne, così come stabilire a livello legislativo il “diritto premiale” di emergenza, costituire delle unità specializzate nel crimine organizzato all’interno del Ministero Pubblico, giudici antimafia, una polizia giudiziaria specializzata nel crimine organizzato, soprattutto per combattere la mafia economico-finanziaria, imprenditoriale e bancaria.
Se non lo facesse, lo Stato paraguaiano si convertirebbe in uno Stato-mafia al servizio della mafia imprenditoriale, economico-finanziaria, e tutti i paraguaiani saranno prigionieri del sistema criminale del quale fa parte.

Foto di copertina: www.paraguay.com

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